Si fa presto a dire “asset strategico”… In teoria, non ce ne sarebbe uno più importante delle telecomunicazioni, della rete che fa da base a ogni comunicazione interna al paese, comprese quelle che avvengono tra gli organi del potere politico, militare, economico. Ma la consegna delle industrie strategiche nazionali – costruite soltanto grazie agli investimenti pubbblici, visto che “i privati” italiani si sono sempre ben guardati dall’investire capitali propri – a controllori esteri sembra l’unico destino possibile per quel che resta dei “gioielli di famiglia”.
Accade quindi che Telecom diventi “spagnola”, con il pieno contributo delle grandi banche italiane. Un intrico che la dice lunga su quanto la “finanziarizzazione dell’economia” stia desertificando l’economia reale e cancellando i “confini nazionali” delle proprietà “strategiche”.
Telefonica – società di tlc iberica – ha offerto 1 euro per azione e acquista parte delle quote Telco, la holding italiana che controlla il 22,4% di Telecom dopo la privatizzazione del colosso tlc. L’offerta è rivolta a Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo, che detengono le corrispondenti quote azionarie.
L’accordo, sraggiunto in nottata e da ufficializzare prima dell’apertura di Borsa, valorizza in modo consistente le azioni Telco (e di riflesso Telecom) a 1 euro per azione mentre in Borsa il titolo ha chiuso in rialzo del 3,4% a 0,59 euro. Tradotto il soldoni, è un grande affare per Mediobanca, Generali e IntesaSanPaolo; un disastro annunciato per il paese (il passaggio di proprietà “tra privati” non garantisce nulla rispetto alle esigenze “strategiche” rappresentate nelle telecomunicazioni del paese).
Intesa, Mediobanca e il Leone avevano rifiutato nelle ultime settimane una proposta spagnola – già soci di minoranza in Telecom – per l’acquisto di solo una parte delle quote, sono arrivati all’accordo. Contestualmente all’accordo, i tre big finanziari hanno acconsentito a far slittare di sei mesi la finestra utile per la disdetta del patto di sindacato in Telco.
Questo darà modo a Telefonica di mandare in porto l’intera operazione che interesserebbe anche Tim Brasil. La Cassa depositi e prestiti, spesso invocata come “bancomat” – raccoglie i risparmi depositati presso le Poste – per garantire “l’italianità” di investimenti startegici, si è chiamata fuori: “siamo una società con missione pubblica che utilizza risorse private. Il risparmio postale è la maggior fonte della nostra provvista, dobbiamo gestirlo oculatamente e questo fa si che molte delle cose che Governo e Parlamento ci chiedono non le possiamo fare”, ha affermato il presidente Franco Bassanini. Strano che lo si scopra soltanto ora…
Restano comunque altri nodi da sciogliere, a partire dal piano di scorporo della rete fissa. “Non è necessario imporcelo, vogliamo passare volontariamente a un modello di Equivalence of input” (parità assoluta d’accesso tra i vari gestori di telefonia, ndr), ha sottolineato Patuano. Già, perché si parla tanto di “concorrenza” ma la rete fissa telefonica – così come quelle autostradale e ferroviaria, sono dei “monopoli naturali”, che andrebbero gestiti con spirito di “servizio pubblico”. AL contrario, la “necessità” di far fare profitti a tutti i gestori privati riduce questo “luogo pubblico” a semplice campo libero per i gestori. Con buona pace degli interessi pubblici (le telecomunicazioni nazionali) e di quelli dei cittadini.
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