Come si usa fare nel “management” italiano, il disastro industriale si traduce sempre in grandi guadagni personali degli amministratori.
Franco Bernabè, presidente esecutivo di Telecom (sottolineiamo l'”esecutivo” per ricordare che non si tratta di una carica onorifica, ma operativa), si era lamentato nei giorni scorsi che la sua azienda era stata venduta agli spagnoli di Telefonica “a sua insaputa”. Che è certo meno ridicolo di vedersi comprare una casa “a propria insaputa”, ma egualmente insopportabile come scusa.
Secondo le indiscrezioni dell’ultima ora, Bernabé starebbe trattando con l’azienda la sua buonuscita: è verosimile che l’addio (il secondo) dal vertice del gruppo telefonico venga formalizzato nel corso del Cda del prossimo 3 ottobre. All’ordine del giorno del consiglio, tra l’altro, c’è già la voce “comunicazioni dl presidente”. Sui problemi gravissimi dell’azienda nel prossimo futuro? No, sui suoi affari privatissimi (liquidazione, uscita, quantificazione in milioni, ecc).
Per la sua successione, dato il momento delicato del gruppo Telecom alle prese con il cambio di azionista di riferimento, è presumibile che i tempi saranno brevi. I nomi “papabili” per la successione, stando alle ipotesi che circolano in ambienti finanziari, sarebbero quelli di Massimo Sarmi (attuale amministratore delegato di Poste Italiane), di Francesco Caio (Avio), o dell’attuale aministratore delegato Marco Patuano. Un giro di valzer tra habituè dei consigli di amministrazione.
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