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Si scioglie il “patto” del Corriere della sera

 La grande borghesia italiana, quella che popola per definizione il “salotto buono”, ha grossi problemi di identità, visione, strategia, gestione. Anche per lei la cessione di molte delle prerogative della “sovranità nazionale” ha fatto venir meno abitudini e prese di possesso consolidate, in quel gioco sempre “interno” a un piccolo gruppo di decisori che poi indicava alla “politica” il che fare.

Di questo “salotto buono”, necessariamente più milan-torinese che “romano”, l’emblema stabile era rappresentato dal “patto di sindacato” che regge da quasi 30 anni il Corriere della sera. O meglio, reggeva.

Ieri, lunedì 14 ottobre 2013, quel patto è stato sciolto definitivamente, lasciando – come ha detto all’uscita il presidente del patto, Vittorio Merloni – “liberi tutti”. In pratica si scioglie la maggioranza che, con il 60% delle azioni, controllava il gruppo Rcs (Rizzoli Corriere della Sera). E una nuova maggioranza è tutta da costruire. La grande borghesia sta cercando una nuova visione strategica, è divisa al proprio interno in modo drammatico, e il riflesso di questa divisione è non troppo paradossalmente il governo di “larghe intese”. Nel mentre ci si misura col problema di trovare un nuovo equilibrio, sembra si siano detti, “fermi tutti” e non provochiamo terremoti che poi non sapremmo come gestire.

“Non è un’esplosione improvvisa. La svolta in Rcs arriva a un anno e mezzo dalla ‘rivoluzione’ nella governance, iniziata con la scelta dei soci di fare un passo indietro nominando un consiglio di indipendenti, più snello per numero di componenti e più giovane per età media. L’accordo parasociale risaliva, con le dovute variazioni alla stipula del patto Gemina nel 1984, anche se l’impianto attuale era forse più l’erede del riassetto del 1997 con la scissione parziale di Hdp dalla stessa Gemina”.

Alla riunione erano presenti tutti i membri del “patto”: il presidente Merloni, il suo predecessore Giampiero Pesenti (Italmobiliare), Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Giuseppe Lucchini (Sinpar), Renato Pagliaro (Mediobanca), Giovanni Bazoli (Mittel), John Elkann (Fiat), Pierluigi Stefanini (Unipol-Fonsai) e Angelo Provasoli, presidente della Rcs Mediagroup. La creme di un’imprenditoria quasi mai trasparente, molto intrecciata con i lavori pubblici e gli appalti, strafavorita nei rapporti con il governo e le banche, legata da compartecipazioni reciproche paralizzanti, oltre imbarazzanti (almeno per chi dice di credere al principio della “libera concorrenza”).

Nel patto Rcs siedono infatti Fiat, primo azionista con il 20,3% del capitale, seguita da Mediobanca (14,17%), Fonsai (5,43%), Pirelli (5,42%), Intesa Sp (5%), Italmobiliare (3,82%), Mittel (1,32%), Sinpar (1,3%), Edison (1%), Generali (0,96%), ErFin (0,79%) e Merloni (0,51%).

Il comunicato con cui gli ex sodali hanno reso noto lo scioglimento, recita alcune frasi di circostanza e un paio di cenni che gettano luce sul futuro del gruppo Rcs.

Il patto si è detto infatti consapevole della ”importanza della continuità, stabilità e indipendenza della gestione editoriale e della conduzione della maggior testata”. Non tutto il gruppo è considerato dunque “strategico”, ma quasi soltanto il Corriere della sera, giornale che da oltre 100 anni rappresenta il punto di vista della grande borghesia e riflette tutte le sue svolte (dalla fedeltà ai Savoia al fascismo, dalla Costituzione nata dalla Resistenza – sempre rigurdata con sospetto o freddezza – fino ai tormenti post-68 dell’”eskimo in redazione” e, infine, alla “grande restaurazione” reazionaria, dagli anno ’80 fino a oggi).

Nel comunicare lo scioglimento dell’intesa, il patto Rcs ha spiegato in particolare che in vista della scadenza dell’accordo il 14 marzo e dell’imminente termine a fine ottobre per dare disdetta, i soci ”hanno condiviso la ferma convinzione che una gestione e una governance efficiente, altamente responsabile, non richiedano più il tipo di collaborazione assicurata dal patto ora in scadenza” e che dunque l’accordo ”non verrà ulteriormente rinnovato”. ”A far data dalla cessazione del patto ciascun partecipante si riserva in piena autonomia ogni decisione in ordine all’esercizio dei diritti inerenti alle proprie azioni”.

La gestione futura del gruppo, che si trova a navigare ”in una fase congiunturale difficile e di profonda trasformazione del settore”, viene affidata a una nuova confidurazione tutta da definire, ma che “goda di stabilità e fruisca di un forte sostegno da parte dell’azionariato tutto nel perseguire gli obiettivi del piano industriale e finanziario adottato, nel quale si ribadisce piena fiducia”.

Un passaggio di mano storico, ancora molto oscuro quanto agli esiti, ma che certifica un “cambio d’epoca”. C’è un nuovo sceriffo in città. Si chiama Troika e non sopporta i vecchi giochetti di quello che – in proporzione – è un salottino affollato di “capitalisti senza capitali”, di scalatori a debito, e “prenditori” di profitti senza passare per il richio di impresa. I vecchi “capitani privi di coraggio” non diventeranno solo per questo dei “nuovi poveri”, naturalmente. Ma dovranno trovarsi un nuovo ruolo, più consono alle regole continentali. Sergio Marchionne, tre anni fa, ha indicato la via…

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