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Pochi, maledetti, subito. Abbassate drasticamente le aspettative per i giovani

Secondo una ricerca dell’Ipsos, un giovane italiano su due (50,2%) accetta uno stipendio più basso rispetto a quello che considera adeguato. Di poco inferiore – il 47,4% – è la percentuale di chi risponde di aver rinunciato ad una coerenza tra lavoro e percorso di studi di fronte a un’offerta ricevuta. Dallo stesso rapporto emerge un senso di insoddisfazione nei confronti della stabilità dell’orario (36,7% degli intervistati) e della flessibilità dello stesso (34%). Il 70% dei giovani tra il 18 e 29 anni è stato costretto a tornare a casa dei genitori dopo un periodo di vita indipendente per motivi di studio o dopo una esperienza di lavoro spesso interrotto per la fine del contratto. La disoccupazione a due cifre e il l’abbassamento degli standard qualitativo delle offerte di lavoro obbligano giovani italiani a rivedere al basso le proprie aspettative professionali, e le proprie aspettative di vita. Questo abbassamento generalizzato delle aspettative fa sì che il 58% si dichiari “abbastanza soddisfatto” del lavoro che ha trovato. Il lavoro rimane il modello di autorealizzazione per l’89% e lo strumento per crearsi una famiglia per l’86% dei giovani intervistati. Un fattore quest’ultimo che si scontra con la realtà dei fatti e che vede l’85% delle giovani donne fra i 25 e i 29 anni non avere ancora un figlio, mentre solo 36% mette la maternità fra i suoi programmi nei prossimi tre anni.

Questa realtà è confermata anche  dall’Employment Outlook dell’Ocse, per ora aggiornato a dicembre 2012, secondo cui il 52,9% dei lavoratori sotto i 25 anni vive una condizione lavorativa instabile caratterizzata da un contratto a tempo determinato. Una  percentuale complessivamente elevatissima, più alta tra le donne (37,5%) che tra gli uomini (33,7%), e che,  in dodici anni, ha visto un’impennata del 50%: nel 2000, infatti, il numero dei lavoratori precari under 25 era intorno al 26%.

Ma questo abbassamento delle aspettative generali dei giovani, si riflette anche sulla qualità del “capitale umano” a disposizione delle imprese. Il 47% dei datori di lavoro italiani riferiscono che le loro aziende sono danneggiate dalla difficoltà di trovare i lavoratori idonei alle proprie esiegenze, e questa è la percentuale più alta fra tutti i Paesi esaminati dal rapporto della Mc Kinsey presentato ieri a Bruxelles. Ma le difficoltà delle imprese italiane a reperire forza lavoro qualificata emerge fra il 45% degli imprenditori greci, il 33% degli spagnoli, il 26% dei tedeschi “Non hanno le informazioni su come prendere decisioni strategiche”, lamentano gli imprenditori nelle interviste raccolte nel rapporto McKinsey, condotto su otto Paesi Ue e presentato ieri a Bruxelles presso il centro di ricerca Bruegel («Il viaggio tempestoso dell’Europa, dall’educazione all’occupazione»). Nei paesi europei Pigs la situazione è indubbiamente più pesante. Il 61% in media dei giovani europei trova un posto di lavoro al termine di uno stage ma in Italia, scendono a meno del 46%. Inoltre Portogallo, Italia e Grecia hanno la più alta percentuale di giovani che riferiscono di non aver potuto frequentare l’università per ragioni economiche. “In questi tre Paesi che la più bassa proporzione di giovani (sotto il 40%) ha completato l’istruzione post-secondaria” segnala il rapporto. I Neet sono un problema serio e a questo punto non solo per la società ma anche per le imprese.

 

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