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Produzione industriale, “consolarsi con l’aglietto”

Attimi di emozione, stamattina, sui siti dei quotidiani mainstream: la produzione industriale, dopo 26 mesi di “segni meno”, a novembre 2013 ha registrato finalmente un “più”. Appena l’1,4%, nulla che giustifichi un sorriso di compicimento o proclami per il prossimo futuro; forse persino il temutissimo “rimbalzo del gatto morto” (quello che fanno anche le pietre, cadendo da una certa altezza). Ma comunque un segno positivo.

Quanto va preso sul serio, come “indicatore di tendenza”? I dati che vengono dall’Istat non giustificano particolari entusiasmi. Intanto perché quell’1,4 in più è in realtà un effetto di una correzione statistica: i giorni lavorativi del novembre 2013 sono stati 20, mentre lo stesso mese del 2012 ne aveva regstrati 21. Così la correzione che “destagionalizza” i dati – tenendo conto appunto dei giorni effettivamente lavorati – ha trasformato un (ennesimo) -0,3% in un +1,4.

Fa niente, non stiamo a sottilizzare sulle consuetudini statistiche, che hanno tutte dei perché scientificamente molto seri. Tanto più che i primi 11 mesi dell’anno (mancano solo i dati di dicembre) fanno registrare un pesante -3,1%. Con un dato preoccupante nel comparto dei beni di consumo, contrattisi di un altro 1,1%, a segnalare che “la domanda” peggiora a vista d’occhio.

Per il resto, a novembre 2013, i comparti che registrano la maggiore crescita tendenziale sono quelli della produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+10,8%), della fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+10,5%) e dei mezzi di trasporto (+10,3%).

Le diminuzioni maggiori si registrano invee nei settori dell’attività estrattiva (-10,2%), delle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-5,7%) e della fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-4,0%). Quest’ultimo è un altro dato importante, perché la “raffinazione” è da sempre uno dei comparti in cui le imprese nazionali danno di solito i risultati migliori.

Per avere un’idea di quanto sia profondo il pozzo in cui l’industria nazionale è caduta basta guardare il grafico Istat posto come immagine sopra: se il 2010 (anno che già scontava la crisi del 2008 e 2009) fa da “base=100”, siamo scesi in 24 mesi a circa 90-92. E non ci sono correzione statistiche che possano cambiare divari così grandi.

Come ha ricordato prprio oggi il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, «C’è stata una valutazione del Centro studi Confindustria che dice che recupereremo i livelli pre-crisi nel 2021, speriamo di sbagliarci».Dunque, se tutto va bene, se non ci sono intoppi, se non ci supera qualche altro “emergente”, se il petrolio sarà sufficiente e se il suo prezzo non decolla, se…. tra sette anni potremmo stare come sette anni fa. Sul piano industriale, certo; su quello sociale staremo all’inferno.

Grafico in termini tendenziali:

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