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Alitalia parlerà arabo con Etihad

La “difesa dell’italianità” si sta concludendo con la donazione agli arabi di Etihad. Se questo paese avesse memoria delle promesse asulle lanciate da governanti e saltinbanchi vari, dovrebbe spazzare via in un attimo tutto il palcoscenico di mezze figure che appaiono ogni giorno sui media.

Si parla di Alitalia e ormai la trattativa è “alle fasi conclusive”. Non ci sono incertezze sul fatto che la compagnia sarà assorbita dal ricco socio di Dubai. Le uniche domande in campo sono quelle poste dagli sceicchi, a cominciare da “quanto sono attendibili i conti della compagnia?”

La credibilità internazionale delle “cordata patriottica” messa insieme da Berlusconi nel 2008, all’unico scopo di trarre un beneficio elettorale e breve termine, sbarrando la strada al socio storico Air France, ha accumulato in soli cinque anni di gestione ben 2,5 miliardi di perdite. E questo nonostante fossero ripartiti senza i debiti precedenti (messi in conto alle finanze pubbliche, mentre Air France se li sarebbe assunti), con metà del personale e con salari dimezzati o giù di lì.

Per fare un disastro simile bisogna avere talento, ammettiamolo. Non quello imprenditoriale, però. Soprattutto nel trasporto aereo, dove nessuna improvvisazione è possibile. Per dirne una: anche le talpe sanno che i margini di guadagano si fanno con le tratte intercontinentali, mentre sul “medio raggio” infraeuropeo si viene minacciati da compagnie low cost che possono contare su finanziamenti dei “consorzi pubblico-privato” sorti per “valorizzare” questo e quell’aeroporto. Bene.

Cosa hanno fatto i “patrioti”? Hanno cercato di competere solo sul corto raggio, proseguendo la strategia suicida dell’ultimo decennio dell’Alitalia “pubblica”, quando si era deciso di smantellarla grazie agli “accordi europei” che prevedevano soltanto tre vettori di grandi dimensioni (British Airways, Lufthansa e Air France), sotto cui dovevano ricadere tutte le altre compagnie di bandiera. Come in effetti è avvenuto (Iberia, Klm, Swissair, ecc, si sono “fuse” con qualcuno dei tre giganti).

Ma nemmeno questa “strage” di compagnie ha salvato i big dalla crisi, con il codazzo di riduzione del traffico e aumento dei debiti. Ed ecco dunque avanzate le compagnie “asiatiche”, a cominciare soprattutto da cinesi e paesi del Golfo. Ovvero le potenze costruite sui profitti della manifattura o del petrolio, le uniche ada avere ora la liquidità necessaria per operazioni di conquista in Occidente.

Emirates, per esempio, di recente ha ordinato duecento aerei – cento miliardi di dollari – , ovvero 40 in più di quelli in dotazione ad Alitalia. Etihad si è limitata a cento, ma aveva minori necessità di rinnovamento della flotta. Chi corre più rischi per questa “invasione araba” è a questo punto Lufthansa, già sotto pressione per le partecipazioni azionarie rilevantissime di Etihad in altri vettori “di area” tedesca come Air Berlin (al 29%), Air Serbia (al 40%), Germanwings l’irlandese Aer Lingus.

E infatti la compagnia tedesca stamattina è passata al contrattacco, invocando l’intervento dell’Unione Europea. Lufthansa attacca il progetto di alleanza definendolo “una forma di aiuto di Stato mascherato”. “Noi chiediamo alla Commissione Ue – si legge in una nota del gruppo tedesco – di proibire tali tattiche di aggiramento” delle regole della concorrenza.

Con il controllo di Alitalia, ora, per Etihad diventa possibile il “salto di qualità” nella presenza sul mercato continentale. Le cui difese – nessuna compagnia extrauropea può possedere più del 49% di un’azienda europea – si stanno rivelando insufficienti. Anche se la flotta attuale di Alitalia è infatti limitata, acquisendo il controllo della compagnia – al 49%, è stato deciso, ben più dei qualsiasi altra “quota di riferimento” – Etihad eredita anche gli accordi bilaterali che permettono i voli da Roma verso tutte le principali destinazioni del mondo.

Tra le condizioni poste da Etihad non poteva naturalmente mancare la drastica riduzione del personale, già ai minimi storici.

Qui di seguito il pezzo molto preciso di Gianni Dragoni, per IlSole24Ore. Un autentico esperto della storia recente – non commendevole – dell’ex compagia di bandiera “privatizzata” a perdere.

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La trattativa tra Alitalia e Etihad entra nella fase finale, due diligence al traguardo

di Gianni Dragoni

Gli arabi di Etihad si avvicinano all’Alitalia. Le due compagnie entrano nella fase finale del negoziato che potrebbe portare all’investimento della compagnia di Abu Dhabi in quella italiana. Gabriele Del Torchio, amministratore delegato di Alitalia, e James Hogan, presidente e amministratore delegato di Etihad Airways, hanno confermato oggi che le due compagnie «sono entrate nella fase finale di un processo di due diligence volta al possibile investimento di Etihad Airways in Alitalia».

La verifica dei conti di Alitalia
Con la due diligence verrà fatta la verifica economica, patrimoniale e finanziaria dei conti e dei contratti di Alitalia, in sostanza verrà messa a nudo la sua situazione contabile. “Nei prossimi 30 giorni – dice un comunicato congiunto delle due società – entrambe le compagnie e i loro advisor stabiliranno come sviluppare una strategia comune per raggiungere gli obiettivi che i due vettori si sono prefissati. La due diligence dovrà affrontare e risolvere tutti i temi che possano pregiudicare la definizione di un adeguato piano industriale, la cui completa realizzazione produrrà una redditività sostenibile per Alitalia».

In cinque anni 2,5 miliardi di perdite per la compagnia dei “patrioti”
L’annuncio è stato dato mentre il presidente del Consiglio, Enrico Letta, è ad Abu Dhabi, dove ha detto che «Alitalia è una priorità». La visita è stata effettuata dal presidente del Consiglio per convincere gli investitori del ricco emirato a guardare all’Italia. Nei colloqui in corso da alcuni mesi tra le due compagnie, il vettore arabo ha posto condizioni molto dure per rendersi disponibile a un investimento che è stimato in un valore fino a 300-350 milioni di euro e avverrebbe con un aumento di capitale. Nel 2013 Alitalia ha perso più di 300 milioni, il bilancio non è ancora definitivo, mentre ammontano a circa 2,5 miliardi le perdite nette nei primi cinque anni di attività, dal 2008 al 2013, per la compagnia dei Capitani coraggiosi o “patrioti”, voluta nel 2008 da Silvio Berlusconi e presieduta da Roberto Colaninno. Se non ci fosse stato il piano di salvataggio con l’intervento, voluto dal premier Letta, di Poste Italiane, che a fine dicembre hanno versato 75 milioni nel capitale, Alitalia sarebbe fallita.

Le condizioni di Etihad
Nelle prosisme settimane si dovrà verificare se le richieste di Etihad sono state soddisfatte. La prima condizione è la ristrutturazione finanziaria e l’alleggerimento del peso del debito. Alitalia prima dell’aumento di capitale di 300 milioni concluso in dicembre aveva circa 900 milioni di debiti finanziari netti, mentre il debito complessivo lordo, compreso quello commerciale, era di circa 2,5 miliardi di euro. Con le banche è ancora in discussione un nuovo finanziamento di 200 milioni di euro, senza il quale Alitalia esaurirebbe la liquidità in poche settimane.

La riduzione dei costi del personale
La seconda condizione posta da Etihad è una riduzione dei costi del personale e della forza lavoro. Alitalia sta discutendo con i sindacati un piano che prevede la cassa integrazione e contratti di solidarietà, per due anni, per oltre 2.300 dipendenti complessivi, tra gente di terra, piloti e assistenti di volo. La trattativa sindacale si è sbloccata sabato, gli incontri riprenderanno lunedì pomeriggio.

Le condizioni sul sistema aeroportuale italiano
Terza condizione posta dagli emiratini è che il sistema aeroportuale italiano funzioni e lavori bene insieme alla compagnia aerea, in particolare Roma Fiumicino, che ci siano collegamenti ferroviari veloci ed efficienti. Su questo le infrastrutture sono carenti, sia i servizi aeroportuali di AdR, per anni la società dei Benetton ha investito meno degli impegni assunti con lo Stato, sia il collegamento ferroviario tra Fiumicino e Roma, lento e inefficiente. Addirittura l’alta velocità non esiste, né a Fiumicino né in altri scali italiani. Del resto i vertici di Alitalia-Cai negli ultimi cinque anni anziché cercare un accordo con le Fs per migliorare i servizi si sono fatti la guerra per la competizione sulla Roma-Milano Linate. In questo pienamente ricambiati da Mauro Moretti, l’a.d. del gruppo Fs.

Etihad a Roma per comandare
Se il matrimonio si farà, saranno gli arabi a prendere il comando di Alitalia, come hanno fatto in ogni compagnia nella quale sono entrati, da Air Berlin all’indiana Jet Airways, ogni volta hanno imposto un loro uomo come amministratore delegato.

Il limite del 49,9% del capitale
Etihad non potrà avere più del 49,9% del capitale di Alitalia, perché essendo extraeuropea se avesse una quota di maggioranza Alitalia perderebbe lo status di compagnie comunitaria e non potrebbe più fare voli all’interno della Ue né in Italia. Ma, in base ai trattati bilaterali internazionali, Alitalia perderebbe anche il diritto a fare voli a lungo raggio intercontinentali.

Il confronto tra le due compagnie
Del resto il confronto tra le due compagnie mostra la debolezza di Alitalia rispetto alla forza prorompente di Etihad, interamente controllata dallo Stato emiratino. Alitalia fin dal 2009 ha costantemente ridotto la flotta, prima dell’annuncio in dicembre della messa a terra di 11 aerei a medio raggio (Airbus 321 e 320) la flotta operativa era di 137 aerei, dei quali solo 22 jet a lungo raggio.

Etihad, la compagnia nazionale degli Emirati arabi uniti, è operativa dal 2003, ha una flotta di 89 aerei in prevalenza nel lungo raggio ed è in forte espansione, ha ordinato altri 220 aerei, tra cui 71 Boeing 787 Dreamliner, 25 Boeing 777-X, 62 airbus A350 e 10 superjumbo Airbus A380. Alitalia non ha neanche un aereo ordinato. La compagnia di Abu Dhabi l’anno scorso ha aumentato i passeggeri a circa 12 milioni. Alitalia, pur avendo aumentato del 3% circa i passeggeri nei voli con l’estero, l’anno scorso ha ridotto i passeggeri totali, a causa del crollo sul mercato nazionale. La compagnia di Del Torchio però è tra le poche compagnie a non aver ancora comunicato in maniera trasparente il numero dei passeggeri.

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A seguire, la scheda sui proprieatri della compagnia Etihad, fatta dall’inviato de La Stampa a Doha.

Quegli sceicchi che guardano all’Alitalia

La famiglia al Nahayan conta tra gli uomini più ricchi del mondo: governa in modo assoluto dal 1761 l’emirato petrolifero di Abu Dhabi, e insieme ad altre sei controlla la federazione degli Emirati Arabi Uniti

inviato a doha

 

che stanno discutendo con il governo italiano e la nostra compagnia di bandiera l’acquisto di Alitalia. Una famiglia che governa in modo assoluto dal lontano 1761 l’emirato petrolifero di Abu Dhabi, e che insieme ad altre sei controlla la federazione degli Emirati Arabi Uniti. Le cronache dicono che dal 1761 al 1966 – quando gli attuali Emirati erano popolati da centomila persone, e si chiamavano “Stati della Tregua” – otto degli emiri Al Nayhan sono stati assassinati, e cinque cacciati da parenti insoddisfatti. 

 

Oggi come oggi tutti i membri della famiglia dovrebbero essere decisamente soddisfatti: secondo gli esperti, collettivamente la famiglia possiede un patrimonio pari a 150 miliardi di dollari, e tutti i suoi membri dispongono di una qualche carica importante nelle istituzioni politiche, economiche, sociali di Abu Dhabi o della Federazione, di cui lo sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan, scomparso nel 2004, è considerato il padre fondatore. Attualmente l’emiro e presidente degli Emirati uniti (l’emiro di Dubai, della famiglia al Maktoum, normalmente assume la carica di premier federale) è suo figlio lo sceicco Khalifa. Dato il suo cattivo stato di salute l’uomo forte di Abu Dhabi è il terzo figlio di Zayed, il principe ereditario Mohammed. Mohammed, oltre ad essere l’erede designato al trono, è (in ordine sparso): generale e comandante supremo delle forze armate degli Emirati; presidente del Consiglio esecutivo di Abu Dhabi; membro del supremo Consiglio petrolifero; capo del Consiglio per lo sviluppo economico; presidente di Mubadala, il fondo sovrano con cui l’emirato investe in aziende in tutto il mondo; direttore di Adia, un altro fondo sovrano. E molte altre cose che ora non possiamo elencare per ragioni di spazio, tra cui fondazioni a tutela dell’ambiente, che gli hanno meritato il diritto a dare il suo nome a una rara specie di lucertola. Con lui Enrico Letta ha trattato l’affare Alitalia. 

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