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Il dollaro ostaggio della crisi ucraina

L’imperialismo diventa avventurista quando è in profonda crisi – non solo economica, anche di “senso” – ma mantiene ancora una forte primazia militare. Questo è il caso degli Stati Uniti, nella vicenda ucraina.

Ma è altrettanto avventurista quando, oltre alla crisi economica e di consenso sociale interno, presenta ancora un “equipaggiamento militare” inadeguato alle ambizioni. E questo è il caso dell’Unione Europea, ansiosa di trovare un “ruolo nel mondo” che persuada meglio le popolazioni continentali alle prese con il settimo anno di crisi; ma costretta ancora a giocare di sponda con chi – gli Stati Uniti – possiede gli atout che le mancano.

E’ puro avventurismo infilarsi, com’è stato fatto, nelle vicende interne all’Ucraina – sollecitando anche finanziariamente la rivolta dei nazionalisti locali contro il governo a prevalenza russofona – senza calcolare il peso di interessi contrastanti e vitali come quelli russi. Persino un conservatore intelligente come Sergio Romano (certo non sospettabile di simpatie per Putin) ha dovuto ricordare dalle colonne del Corriere della sera che l’”imprudenza” è stata davvero eccessiva.

La Russia ha a sua volta ambizioni di tornare ad essere un mezzo impero. È relativamente debole sul piano economico, ma possiede quantitativi di gas e petrolio da cui l’Europa soprattutto non può prescindere. La cautela tedesca ed italiana si spiega senza difficoltà con la dipendenza dagli idrocarburi del Caspio, al momento insostituibili con altri (se pure ce ne fossero, di disponibili).

Ma non è inerme ed ha nel suo arsenale armi migliori di quelle militari, in buona parte obsolete. Alla prima occasione l’ha sfoderata, sia pure a livello di minaccia, e senza nemmeno toccare il tasto “fine di mondo”, ovvero un rallentamento o un blocco delle forniture energetiche ai clienti dell’Europa occidentale.

Se gli Usa introdurranno sanzioni contro la Russia, Mosca si sentirà infatti “costretta” a lasciare il dollaro adottando altre valute per i suoi scambi commerciali, nonché a creare un proprio sistema di calcolo e pagamenti, completamente sganciato dal circuito “dollarizzato”. L’annuncio del consigliere economico del Cremlino Serghiei Glaziev, citato da Ria Novosti, ha fatto immediatamente il giro del mondo, allarmando le cancellerie – e i mercati finanziari – molto più di quanto non abbiano capito i media mainstream (mandcando di spirito critico e autonomia intellettuale, arrivano a capire solo quando da quanche “potere fortissimo” arriva l’input giusto).

Va ricordato la Russia è attualmente il primo produttore di petrolio al mondo. Nel 2013 ha estratto una media di 10,9 milioni di barili al giorno; uno più dell’Arabia Saudita, 2,5 più degli Stati Uniti. Ed è così ormai da qualche anno. Questo straordinario sforzo produttivo è stato riversato sui circuiti internazionali e pagato in dollari. Così che la Russia risulta seconda soltanto alla Cina, forse alla pari con l’Arabia Saudita, nella classifica dei detentori di dollari nelle proprie riserve valutarie.

La sola minaccia di “abbandonare il dollaro” disegna scenari fin qui scartati come “apocalittici” dagli analisti finanziari globali. Il valore del dollaro, come si dovrebbe ormai sapere, è un mistero glorioso; di certo, non c’è più alcun rapporto tra valore della moneta e riserve auree (almeno a far data dal 1971…). E la “fiducia” riposta in quei pezzi di carta è in realtà più un timore reverenziale verso chi li stampa: gli Stati Uniti e i loro armamenti. La sola ipotesi che di qui a poco tempo possa uscire un fiume di dollari dalle riserve russe (e probabilmente anche da quelle cinesi, a quel punto, se non altro per “riequilibrare” la composizione delle riserve stesse) è una minaccia diretta al valore della moneta statunitense.

Va infatti ricordato anche da qualche tempo sia la Cina che altri paesi “emergenti” propongono nelle istituzioni economiche internazionali l’adozione di un “paniere di monete” o una “unità di conto” diversa dal dollaro. Per il buon motivo che gli Stati Uniti da oltre 40 anni stampano moneta a volontà – unico paese al mondo che possa permettersi di farlo senza vedere crollare il suo valore – scaricando per questa via le proprie ricorrenti crisi sul resto del mondo.

L’avventurismo imperialista sull’Ucraina si fonda dunque su basi assai fragili. Anche senza arrivare a un confronto armato – nessuno dei protagonisti è tanto deficiente da rischiarlo, viste le reciproche dotazioni ai testate nucleari – basterà poco a scatenare una nuova battaglia nella “guerra delle monete” aperta ormai da oltre un anno sui mercati globali. Un altro tipo di guerra, certamente, meno spettacolare e sanguinolenta di quella classica. Ma niente affatto indolore.

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Anche IlSole24Ore, nelle stesse ore, si è accorto di quale problemi stia creando l'”avventurismo” di Ue e Usa.

Ucraina, ecco perché i venti di guerra con la Russia ricadranno sull’economia Ue (e su di noi)

Prezzo del gas

Eduard Stavytsky, ministro ucraino dell’energia, lo ha già messo in chiaro: l’Ucraina “spera” che la Russia non gonfi i prezzi del gas naturale, da sempre oscillanti a seconda dei rapporti tra i Kiev e Mosca. Solo lo scorso dicembre le tariffe avevano beneficiato di uno sconto pari a quasi un terzo, dai 400 dollari per 1000 metri cubi pagati dal 2009 ai 268.50 dollari accordati in un pacchetto da 20 miliardi di dollari firmato da Mosca, con l’obiettivo teorico di “supportare l’Ucraina” e quello pratico di mantere gli influssi sull’ex satellite Urss. Unica clausola: il tetto può essere rinegoziato ogni tre mesi, con il risultato che il prossimo 1 aprile i prezzi fissati da Gazprom potrebbero (e pochi ne dubitano) lievitare fino e oltre le medie “pre-sconto” e pre destituzione di Viktor Yanukovich. Il 15% del gas esportato dalla Russia in Europa passa per le tubature ucraine: un rincaro di Gazprom, per non parlare del taglio delle forniture ipotizzato da alcuni, potrebbe tradursi in rimbalzi da record per il costo dell’energia.

Blocco del commercio con la Russia

Gli abbozzi di dialogo (telefonico) tra Obama e Putin sono naufragati senza lasciare granché né sul tavolo Kiev-Mosca né sui rapporti, già di per sé non proprio idilliaci, tra il Cremlino e il segretario di Stato Usa John Kerry. Mosca ha liquidato come «inaccettabile» il pressing di Kerry. Kerry, da par suo, insiste su un pacchetto di sanzioni che isolerebbe la Russia «dal tavolo del G8 e oltre» nella rete di scambi commerciali. Peccato che la Russia rappresenti il terzo partner commerciale per l’Unione Europea e, a parti inverse, l’Unione Europea rappresenti il primo interlocutore della Russia nei volumi dell’interscambio. Spostandosi sulla sola Italia, il blocco dei rapporti con Mosca farebbe saltare un flusso stimato a 25,6 miliardi di euro nel 2013, tra i 16,4 miliardi di dollari di importazioni e i 9,1 miliardi di direzione export.

Il default dell’Ucraina

Gli Stati Uniti hanno ipotizzato un prestito da 1 miliardo di dollari per garantire la stabilità economica dell’Ucraina. “Solo” 35 volte in meno delle cifra stimata dal Ministro delle Finanze Yuriy Kolobov per tenere a galla un paese sempre più sbilanciato sugli spettri del default. Un aggancio più saldo di altri potrebbe arrivare dal Fondo Monetario Internazionale, che avrebbe avviato delle consultazioni per rintracciare i 35 miliardi stimati da Kolobov come copertura finanziaria da qui ai prossimi due anni. Per ora, Kiev deve scontare un debito da 13 miliardi in scadenza nel 2014 e altri 16 miliardi per il 2015. Con il congelamento di 15 miliardi di aiuti garantiti in precedenza da Mosca, il tampone Fed appare come l’unica ancora di salvezza dalla bancarotta.

Effetto domino sui Brics e contagio del rublo

La crisi in Ucraina potrebbe scaricare una zavorra in più su un mercato già alle prese con le “polveri di Brics”: la flessione dei paesi emergenti dopo i primi cenni di tapering Fed. Nel frattempo le tensioni hanno già contagiato il rublo, in caduta libera fino a picchi del 10% dall’inizio del 2014. Proprio nella seduta di ieri la divisa russa ha infilato un altro record negativo, sfondando il tetto simbolico del 50 nel tasso di cambio con l’euro: 50,50 rubli per un euro. La Banca di Russa sta cercando di arginare la fuga di capitali con un rialzo dei tassi di interesse dal 5,50% al 7%.

Imprese italiane ed esposizione delle banche

Secondo dati del Ministero degli Affari Esteri aggiornati al novembre 2013, le imprese «con interesse italiano» registrate in Ucraina sono circa 300. L’Italia, settimo paese su scala mondiale per esportazioni su Kiev, perderebbe un flusso di export stimato a 1,572 miliardi di euro tra gennaio e ottobre 2013. Gli investimenti maggiori, comunque, restano nel campo finanziario: le banche italiane, come già rilevato dal Sole 24 Ore, sono seconde solo a quelle austriache per esposizione complessiva (5 miliardi di euro contro i 7 miliardi dell’Austria). Unicredit rientra addirittura nella top 10 degli istituti che effettuano prestiti in Ucraina, con un’esposizione totale di 2,3 miliardi di euro. Il titolo ha chiuso la seduta di ieri con un ribasso del 6,16%.

 

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