Oggi Gad Lerner pubblica un interessantissimo commento all’ingresso dello speculatore finanziario George Soros nel fondo immobiliare Img della Lega delle Cooperative. Di seguito troverete una scheda del Sole 24 Ore e l’articolo di Lerner. Ma sulla “ragione sociale” della Lega delle Cooperative nel settore immobiliare segnaliamo a Gad Lerner e ai nostri lettori anche la vicenda – emblematica – dell’immobile in via Nola a Roma diventato uno spazio sociale occupato: lo Scup. A nostro avviso c’è materia interessante da approfondire.
Scup è il centro di sport e cultura popolare sorto dall’occupazione di uno spazio originariamente pubblico (ministero dei trasporti) abbandonato nel quartiere di San Giovanni, a Roma. Lo stabile tramite un fondo immobiliare (Fip), spiegano gli occupanti, è stato venduto ad una società, la F&F immobiliare. La società è di proprietà di due anziani signori, è stata costituita da pochi mesi, è inattiva è ha un capitale sociale di soltanto 10.000 euro ma circa 5 milioni di debito (il costo dell’immobile). «Evidentemente un prestanome», commentano a Scup.
Il 16 aprile 2013 la F&F immobiliare aveva convocato Scup in tribunale. Ma gli attivisti e gli occupanti dello Scup decisero di andare invece presso la sede della Unieco (in via principe Amedeo), che sarebbe la vera proprietaria dello stabile. Ma che cosa l’Unieco e cosa c’entra con questa vicenda? La Unieco è una società cooperativa del gruppo Legacoop ed è una dei più grandi appaltatori italiani. Fa parte della storia del mutualismo e della cooperazione italiana. Aggiungono gli occupanti in una nota: «Spiace che abbia partecipato alla svendita del patrimonio pubblico e a una operazione finanziaria. Scup, invece, in tempi di crisi riprende lo spirito iniziale della cooperazione e del mutualismo e offre servizi al quartiere e mutualismo. Chiediamo alla Unieco di trattare con gli istruttori e operatori della cultura di Scup e con il quartiere San Giovanni, e di farlo senza “la pistola sul tavolo” cioè una azione giudiziaria. È chiediamo che via Nola torni pubblica per fornire welfare».
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Sull’inquietante ingresso di Soros nel fondo Img di Lega delle Cooperative, leggete questa breve scheda del Sole 24 Ore del 3 marzo.
Il fondo Quantum Strategic Partners (gestito da Soros Fund Management), ha acquistato una quota pari al 5% di Igd società immobiliare specializzata nel settore commerciale, diventando il terzo azionista della società. Il patrimonio immobiliare di Igd, valutato in 1,89 miliardi di euro al 31 dicembre 2013, comprende in Italia: 19 tra ipermercati e supermercati, 19 tra gallerie commerciali e retail park, 1 city center, 4 terreni oggetto di sviluppo diretto, 1 immobile per trading e 7 ulteriori proprietà immobiliari.
Contestualmente, secondo una nota ufficiale, Unicoop Tirreno ha ceduto allo stesso acquirente 6,42 milioni di azioni Igd. La partecipazione di Unicoop Tirreno, che rimane secondo azionista della società immobiliare, scende così al 13,1% dal 14,9%.
A seguito dell’acquisizione di Winmarkt Magazine SA, nel 2008, il Gruppo può contare su 15 centri commerciali e un edificio a uso ufficio ubicati in 13 città rumene. Igd è quotata sotto forma di Siiq sul segmento Star di Borsa italiana. L’operazione è stata realizzata tramite la vendita di azioni proprie da parte di IGD in aggiunta a un ulteriore pacchetto di Unicoop Tirreno che resta comunque come secondo azionista con una quota residua del 13,1%.
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Qui sotto invece c’è l’articolo di Gad Lerner uscito su “La Repubblica” di oggi.
Forse non sarà necessario riscrivere l’articolo 45 della Costituzione (“La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata”); però questo ingresso del finanziere statunitense George Soros nella Igd, fondo di gestione immobiliare controllato dalla Lega delle Cooperative, in altri tempi lo avremmo definito un matrimonio contronatura. Ma come? Il re della speculazione internazionale diventa terzo azionista di un fondo delle Coop “rosse”? Va bene che Soros nel tempo libero si trasforma in filantropo liberal, ma qui ci sono di mezzo gli affari; nonché l’assetto futuro del nostro depresso sistema economico. Che frutti potrà mai generare un simile innesto?
Desiderosi come siamo di attrarre investimenti stranieri nel belpaese, non ci permetteremo certo di fare gli schizzinosi. Né indugeremo nella dietrologia sulla firma del contratto con Soros, giunta proprio sei giorni dopo che il presidente della Lega Coop, Giuliano Poletti, è entrato a far parte del governo Renzi in qualità di ministro del Lavoro. La nomina di Poletti appariva come segno culturale adeguato alla durezza dei tempi: far ricorso all’esperienza solidaristica su cui è fondato il movimento cooperativo per favorire la nascita di nuove imprese e di nuovi strumenti di assistenza sociale. Avevamo equivocato? Le Coop sono divenute semplicemente un nuovo “potere forte” che si cimenta in campo finanziario al pari degli altri? La domanda non è oziosa, e l’arrivo di Soros ce lo conferma.
Vivendo in un’epoca di scarsità permanente, dovendoci attrezzare per un futuro di penuria, la buona pratica del mettersi insieme, aiutarsi a vicenda, superare l’individualismo proprietario, è ritornata più che mai attuale. Là dove la politica si rivela inadeguata, sopperisce –dal basso- la virtù autogestita della condivisione. Basta guardarsi intorno per constatare che la sofferenza sociale non produce sempre solo lacerazione e solitudine. Parole antiche come mutuo soccorso, fratellanza, cooperazione, riacquistano qui e là un significato concreto. Affondano le loro radici nell’umanesimo cattolico e mazziniano da cui germogliarono le società operaie e artigiane del primo movimento socialista. Ma oggi di nuovo si avverte la necessità di un’economia capace di anteporre il benessere collettivo alla rendita speculativa. Sarebbe davvero un peccato dover constatare che nel frattempo gli eredi di quella storia, i colossi della cooperazione -non importa se “rossa” o “bianca”- sono diventati inservibili a tale scopo.
Al tempo in cui l’Unipol guidata da Giovanni Consorte si alleò con furbetti di ogni sorta nel tentativo di acquisire il controllo di una banca, molti dirigenti della sinistra reagivano con stizza alle critiche: perché mai la finanza “rossa” dovrebbe restare esclusa dalle partite che contano? Poi Consorte fu assolto. Tanto che ora dà vita a un’associazione finalizzata a modernizzare la cultura riformista, e nessuno gli chiede più conto delle decine di milioni incassati per consulenze estranee alla sua attività di manager della cooperazione. Difficile eludere la constatazione di Luigino Bruni, tra i massimi studiosi dell’economia sociale italiana: “Viene da domandarsi dove sia finito lo spirito cooperativo quando alcuni direttori e dirigenti di cooperative di notevoli dimensioni percepiscono stipendi di centinaia di migliaia di euro”.
Qualche anno dopo Consorte, l’Unipol ha rilevato l’impresa assicurativa della famiglia Ligresti con tutte le partecipazioni societarie annesse nei “salotti buoni”. Niente da ridire, ma sarebbe questa la sinistra cooperativa e mutualistica che avanza?
Ora viene il turno di George Soros associato a un fondo immobiliare delle Coop specializzato in centri commerciali e ipermercati (1,9 miliardi di euro il patrimonio stimato). Va rilevato che il settore immobiliare italiano suscita un rinnovato interesse nei gruppi stranieri. Soros non è il solo a puntarci. Naturalmente ciò non ha nulla a che fare con la nostra emergenza abitativa: a fare gola sono i nuovi grattacieli per uffici direzionali, l’edilizia di lusso e, per l’appunto, i centri commerciali. E’ verosimile che tali investimenti speculativi funzionino da volano per uno sviluppo equilibrato? Piacerebbe sentire in merito l’opinione dei manager della cooperazione e dello stesso ministro Poletti. Anche perché la loro diversificazione finanziaria non ha evitato che la crisi sospinga varie cooperative in difficoltà a chiudere un occhio su materie delicate, come i subappalti precari e sottopagati.
Accolto con un doveroso benvenuto il compagno americano, ci chiediamo che strana razza di capitalismo verrà fuori dal suo incrocio con la finanza “rossa”. Le buone pratiche diffuse della cooperazione, che sia di produzione, distributiva o di cura alle persone, non attenderanno i dividendi di Borsa. La loro carica profetica e soccorrevole si esprime altrove.
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