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Fiducia delle imprese, dati a doppio taglio

I dati economici sono ostici quasi sempre. Così l’ideologia prende spesso il sopravvento, specie nei media mainstream che hanno l’obbligo – lo chiede il proprietario, oltre che il governo – di “diffondere ottimismo”.

Il caso della pubblicazione stamattina, da parte dell’Istat, dei dati sulla “fiducia delle imprese” è un caso di scuola. A marzo 2014 – spiega la nota dell’Istat – “l’indice composito del clima di fiducia delle imprese italiane (Iesi, Istat economic sentiment indicator), espresso in base 2005=100, cresce a 89,5 da 88,2 di febbraio”.

Tanto è bastato per far partire titoli come “Fiducia delle imprese al top da tre anni. L’Istat vede la ripresa” (Repubblica). Ma è proprio così?

Non si direbbe. Non perché l’indice dica bugie (bisogna riconoscere ai ricercatori dell’Istat una serietà superiore a quella degli ultimi presidenti che hanno avuto in sorte), ma per il buon motivo che – guardando i dati disaggregati – le cose appaiono sottto un’altra luce.

 

Spiega infatti l’istituto di statistica che “L’andamento dell’indice complessivo rispecchia un miglioramento della fiducia delle imprese dei servizi di mercato e, più lievemente, delle imprese manifatturiere; risulta invece in diminuzione la fiducia delle imprese di costruzione e di quelle del commercio al dettaglio”. Anche la fiducia, insomma, non è uguale per tutti. Manifatturiero e servizi all’industria (spesso una mascheratura delle “esternalizzazioni” compiute dalle imprese manifatturiere stesse) hanno buone propsettive in qunato più orientate all’esportazione. Basti pensare che il colo comparto metalmeccanico, pur falcidiato nella capacità produttiva – meno 25% rispetto al 2008 – rappresenta comunque il 50% delle esportazioni totali del paese.

Al contrario, costruzioni e commercio al dettaglio sono “fisicamente” impossibilitati a guardare oltre il mercato nazionale. Ovvero il territorio dove la caduta dei consumi – derivante da compressione salariale, licenziamenti, cassa integrazione, tagli alle pensioni e alla spesa pubblica – coinvolge direttamente le imprese “orientate al mercato interno”.

In ogni caso, anche dove l’indice registra spostamenti positivi, si tratta di movimenti minimi. Per esempio, l’indice del clima di fiducia delle imprese manifatturiere sale a 99,2 da 99,1 di febbraio. Mentre rimangono stabili le attese di produzione (5 il saldo) e migliorano i giudizi sugli ordini (da -25 a -23); il saldo relativo ai giudizi sulle scorte di magazzino passa da -3 a -1.

Per le imprese di costruzione, invece, scende a 75,8 da 76,9 di febbraio. Nel commercio al dettaglio, l’indice del clima di fiducia scende, passando a 94,6 da 96,3 di febbraio. L’indice diminuisce nella grande distribuzione (da 97,2 a 92,4), rimane stabile in quella tradizionale (a 96,3).

Idem per il commercio al dettaglio, dove l’indice fiducia scende passando a 94,6 da 96,3 di febbraio. A colpire negativamente, stavolta, è il fatto che crolli soprattutto nella grande distribuzione (da 97,2 a 92,4), Dove fin qui le aziende avevano retto meglio; mentre rimane stabile nel commercio tradizionale, quello dei negozi e dei mercati locali (a 96,3).

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