Come stanno gli industriali italiani? Molto bene, grazie. Siamo noi che siamo messi male.
Stamane ho letto un articolo de Il sole 24 ore in cui si afferma che nel primo trimestre la produzione metalmeccanica è aumentata del 16%, grazie a domanda interna e robusta crescita estera.
In particolare verso Germania (24%), Francia (23%) e Cina (48%), mentre il mercato Usa hanno fatto registrare un -20%. Attenzione, non commiserateli: sono dati fino a marzo, perché ad aprile le esportazioni totali italiane, compresa metalmeccanica, hanno fatto in Usa +112%.
Oggi è uscito il dato della produzione industriale (+1,8% mese su mese, +78% anno su anno – nel 2020 c’era il lockdown). Hanno battuto tutte le attese, la stessa Confindustria si aspettava mese su mese solo +0.3%.
Quelli che se la passano male sono il commercio e la ristorazione, chiusi per mesi, al contrario delle fabbriche.
Un anno fa scrivevo che il capitale industriale si prendeva spazi che nei decenni passati aveva lasciato al capitale commerciale. Il capitale industriale, fonte di valore, riconquista posizioni in un contesto di deflazione salariale.
Alcuni industriali inondati di commesse si sono spinti, dopo decenni, a fare un po’ di investimenti. Molti invece sono “aiutati” dalle misure governative a loro favore, con un meccanismo di protezionismo fiscale.
Se paragonata a livello europeo (continentale), la performance italiana supera quella di molti paesi.
Se questo è il quadro, uno dovrebbe chiedersi come mai non si favoriscano i redditi, per compensare i forti introiti degli industriali. Ma qui l’economia non c’entra, qui è una feroce ideologia classista che vuole noi proletari alla fame.
Un odio di classe che sarebbe ora ricambiassimo.
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