L’idea renziana di “sforare il 3%” nel rapporto deficit/Pil è meno bislacca di quel che si pensi. Soprattutto, è condivisa dai mercati finanziari; o almeno da quella parte di mercati non dipendenti dalle preoccupazioni tedesche. E che, anzi, se ne vogliono liberare liberando la Germania dall’incubo di “dover pagare i debiti dei Piigs”.
Un economista giapponese molto noto ha elaborato una teoria sulle “crisi da recessione patrimoniale” (balance sheet recession) che spiegherebbe – il condizionale è utile – la particolare involuzione deflazionistica dell’eurozona. Il limite del 3% è quello che impedisce di fatto a qualsiasi paese dell’euro – ma anche all’Unione nel suo insieme – di reagire in modo anti-ciclico a una recessione pesantissima e comunque di natura diversa dalle “crisi normali”. Insomma, un crisi da cui – secondo Koo – si può uscire solo se lo Stato (tutti gli Stati dell’euro) ricominciano a finanziare investimenti in deficit, anziché preoccuparsi di ridurre il debito anche a costo di strozzare i malati nei letti.
La “grande bellezza” della teoria di Koo sta nello smontare le paure germaniche. Come? In aggiunta alla rimozione del limite del 3% bisognerebbe però convincere le agenzie di rating a combiare i propri criteri di “valutazione dei rischi” quando si tratta di titoli di Stato. Una differenziazione da fare a seconda degli investitori, in modo da “favorire” – per esempio – capitali italiani che investono in buoni del Tesoro nazionali rispetto a quelli esteri. In questo modo, argomenta Koo, non ci sarebbe stata la fuga dei capitali dai titoli Piigs verso quelli tedeschi; con il paradossale risultato che “i risparmi” greci o italiani sono andati a finanziare – a tasso zero, per giunta – le banche e l’economia tedesca. E ora queste economie andrebbero molto meglio.
Il ragionamento è articolato e merita di essere letto per esteso, qui di seguito. Con un’avvertenza: chi glielo dice – a Moody’, Fitche e Standard&Poor’s – che devono giocare secondo altre regole? Seconda avvertenza: chi convince Merkel e Schaeuble che sarebbe meglio – anche per loro – che i capitali “in fuga” verso Berlino possano tornare a casa? Non il solo Renzi, di sicuro. Magari un’allenza complicata tra Italia, Francia e Gran Bretagna, con la benedizione degli Stati Uniti. E qui i viaggi di questi giorni acquistano un altro senso, oltre quello di rassicurare sulla volontà di “bastonare i lavoratori” riportandoli all’800.
In sostanza: che da questa crisi si possa uscire con un “tocco di genio” fondato sulle regole è una convizione che inizia a farsi strada. Ma è sempre nei momenti di crisi che si tende a credere di più nei miracoli o nelle “uova di Koolombo”…
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da IlSole24Ore
Richard Koo: «Ecco la mia ricetta per salvare l’Europa senza oneri per i tedeschi»
dal nostro corrispondente Stefano Carrer
TOKYO – E’ l’uovo di Koolombo: l’autorevole economista del Nomura Institute, Richard Koo – in arrivo in Italia in questi giorni per il Workshop di Cernobbio di The European House-Ambrosetti – propone una ricetta per porre fine alla crisi del debito europeo e rilanciare l’Europa: una soluzione, a suo parere, semplice, efficace e possibilissima in quanto senza oneri per i tedeschi, senza necessità di una stretta integrazione fiscale, senza eurobond. In grado di risolvere il problema una volta per tutte e impedire una crisi esplosiva sempre dietro l’angolo, nonostante la relativa e provvisoria bonaccia attuale. Possibile? Vediamo.
LA PREMESSA – Koo, il massimo esperto dei problemi dell’economia giapponese dagli anni ’90 in poi, è noto soprattutto per la sua teoria della “recessione da balance sheet” – diversa dalla recessione ordinaria – che si verifica dopo lo scoppio di una bolla di asset, quando imprese e privati si concentrano nel riparare la loro situazione patrimoniale danneggiata e quindi nel minimizzare il debito anziché nel massimizzati i profitti, rifiutando quindi di assumerne altro indebitamento per investimenti o spese anche in presenza di condizioni diventate favorevolissime (tassi zero). In questa situazione, solo lo Stato può intervenire per rilanciare l’economia, prendendo a prestito e investendo, mentre la politica monetaria – normalmente efficace nelle recessioni ordinarie – rivela tutti i suoi limiti. E’ una situazione verificatasi dapprima in Giappone, poi in Usa e in Europa. “L’Europa ha commesso tutti gli errori che ha fatto a suo tempo il Giappone e sembra rifiutare di apprendere la lezione giapponese – afferma Koo – mentre le autorità americane ad un certo punto hanno capito e agito di conseguenza”.
IL PUNTO – Che molti Paesi europei siano sostanzialmente in recessione da balance sheet è dimostrato dal fatto che il settore privato ha aumentato negli ultimi anni il risparmio – comprendendo la riduzione del debito – nonostante i tassi di interesse ai minimi storici..”Se guardiamo a Paesi come Spagna, Italia, Irlanda, Portogallo – e anche Regno Unito – vediamo che il risparmio del settore privato eccede il deficit di bilancio” (l’eccezione qui è solo la Grecia). “Si pone un’attenzione enorme al budget deficit, ma se il settore privato sta risparmiando di più, il budget deficit in realtà si rivela troppo piccolo per stimolare queste economie”.
IL VERO PERCHE’ DEL PROBLEMA – Perché allora i tassi di interesse si erano alzati in Paesi come Italia e Spagna anche se il risparmio privato eccedeva il deficit di bilancio? “Se sei un gestore di fondi in Usa, Giappone o Uk regolamentato – osserva Koo – non puoi assumere un rischio di cambio eccessivo o troppi rischi sul capitale (ad es. non puoi mettere tutti i tuoi soldi in azioni e devi riservarne una parte al reddito fisso). E se il settore privato nel complesso del Paese non sta assumendo nuovo debito, dove puoi mettere i soldi? L’unico posto sono i titoli di Stato”. Ecco perche’ i tassi sui bond pubblici allora scendono a livelli molto bassi durante le balance sheet recession. “E’ come un meccanismo naturale di correzione. Con l’incoraggiamento a tassi più bassi sui bond pubblici, a un maggiore stimolo fiscale da parte del governo per evitare un collasso dell’income, dare tempo ai privati per riparare i loro balance sheet, e solo in seguito riparare il balance sheet governativo peggiorato”.
In Europa, invece, questo meccanismo non funziona per un motivo molto semplice. “Se sei un gestore italiano o spagnolo esattamente nella stessa situazione, non devi necessariamente comprare titoli italiani o spagnoli. Puoi comprare bond tedeschi, olandesi,finlandesi perché sono tutti nella stessa area valutaria. Ci sono 17 scelte, mentre in Giappone o Uk o Usa solo una”. In pratica, si è creata una fuga di capitali per cui il risparmio dei Paesi deboli dell’Eurozona va a finanziare le economie più forti dell’area. Così i tassi dei Bund diventano ridicolmente bassi anche se l’economia tedesca corre, mentre i Paesi periferici sono costretti all’austerità fiscale dai tassi domestici più alti, il che danneggia ulteriormente le loro economie provocando in un circolo vizioso ulteriori spinte a fughe di capitali.
IL SUGGERIMENTO: “RISK WEIGHT” MINORI SUL POSSESSO DI BOND DOMESTICI E DEROGHE ALLA REGOLA DEL 3% DI MAASTRICHT SUL DEFICIT.
Il suggerimento di Koo è che va introdotta una misura per assicurare che una parte consistente del risparmio di un Paese “debole” resti in quel Paese anziché finire in Bund. Il suggerimento è l’introduzione di meccanismi di incentivazione in questo senso. Inizialmente, Koo aveva pensato all’introduzione di vere “barriere” contro questo meccanismo di fughe di capitali interno all’Eurozona, ma le difficoltà strutturali di questa idea hanno indirizzato il suo pensiero soprattutto nel senso di porre precisi incentivi in un senso più che ostacoli in senso opposto. Koo pensa all’introduzione di “risk weights” più bassi per il possesso di bond domestici rispetto alla detenzione di bond esteri (con requisiti maggiori per il possesso di bond non nazionali), come meccanismo per favorire il riciclo del risparmio dentro il Paese in cui è originato. Con una intesa collettiva sui relativi requisiti, insomma, andrebbe reso un po’ più oneroso alle istituzioni finanziarie di ogni singola nazione la detenzione di bond non domestici rispetto al possesso di bond nazionali. In questo modo i tassi domestici nell’Europeriferia resterebbero bassi e non ci sarebbero più crisi. In aggiunta, la Banca Centrale Europea – anzi, la Troika – dovrebbe dare la sua piena benedizione al fatto che i Paesi in balance sheet recession possano superare il limite del 3% fissato per il deficit dal trattato di Maastricht. Se questa piena benedizione arrivasse e consentisse dunque a questi Paesi un budget deficit più alto e se fosse in essere il meccanismo di incentivazione per il risparmio domestico di questi Paesi perché resti in patria, i problemi sarebbero risolti, a parere di Koo. “La distorsione chiave per l’Europa viene da questa regola del 3% che rende impossibile all’Europa gestire le recessioni da balance sheet”.
Il Trattato di Maastricht ha impedito l’applicazione degli stimoli fiscali necessari a combattere le recessioni da balance sheet fin da quando (dopo lo scoppio della bolla hi-tech) questo sarebbe stato necessario alla Germania. Se dopo lo scoppio di alcune bolle e nella scia della crisi finanziaria globale si sono innescati destabilizzanti flussi di capitali tra i mercati dei titoli di Stato dei singoli Paesi dell’Eurozona, la soluzione starebbe dunque nel consentire ai Paesi in balance sheet recession di attuare sufficienti stimoli fiscali con la piena benedizione della Troika. E parallelamente introdurre differenti “risk weights” per il possesso di bond domestici rispetto a bond di altri Paesi, per mantenere una larga quota dei risparmi nazionali nei Paesi dove questo risparmio si genera.
IL BACKGROUND: L’ORIGINE TEDESCA DELLA CRISI EUROPEA.
Koo, infine, non ha difficoltà a dire che i tedeschi sbagliano nella loro attitudine a pensare di essere stati gli unici a fare sacrifici e riforme mentre gli europei meridionali si davano a vino e bella vita. La storia è ben più complessa e, grafici alla mano, l’economista dimostra come il crescente gap di produttività tra Germania e Paesi mediterranei sia stato generato da fattori macroeconomici e monetari più che da politiche più o meno riformiste. In estrema sintesi, furono i tedeschi a darsi alla pazza gioia (finanziariamente parlando) ai tempi della bolla telecom/internet, il cui scoppio lasciò il Paese finanziariamente prostrato, in balance sheet recession, nei primi anni 2000. Non potendo Berlino ricorrere a stimoli fiscali a causa delle regole di Maastricht, intervenne la Banca centrale europea abbassando i tassi fino al 2% entro il 2003 (allora minimi storici del dopoguerra) per cercare di rimettere in sesto l’economia tedesca. Ma questa politica monetaria non ebbe effetti nel rivitalizzare l’economia tedesca e causò piuttosto un boom di indebitamento fuori dalla Germania, creando bolle altrove: la periferia dell’Europa non si era ubriacata altrettanto di dotcom e, non essendo in balance sheet recession, reagì ai tassi eccezionalmente bassi come da manuale, ossia prendendo ampiamente a prestito e investendo in asset. Il settore privato tedesco era invece ancora intento a ricostituire la situazione patrimoniale e non incrementava il suo debito, tanto che i prezzi immobiliari tedeschi calarono ancora (invece, in mancanza anche di richiesta di ulteriore indebitamento da parte del governo, le banche tedesche si misero a finanziare troppo il real estate spagnolo o a imbottirsi di prodotti derivati tossici americani). Il money supply aumentò dunque molto al di fuori dalla Germania ma non a Berlino e dintorni, diventando una fonte “monetaria” di gap nella competività (per i suoi effetti su prezzi e salari fuori dalla Germania). Una mancanza di sincronizzazione macroeconomica, insomma, alla base della successiva crisi del debito dei Paesi mediterranei. Per salvare l’economia tedesca, insomma, la Bce finì per generare bolle in altre nazioni europee e provocare un automatico gap di competitività quando l’economia tedesca ripartì sulla spinta delle esportazioni proprio verso altre nazioni dell’Eurozona. Anche se i tassi europei sono scesi ancora più in basso di prima, i Paesi periferici restano in difficoltà gravi perché il settore privato, nello loro economie depresse, non prende a prestito abbastanza mentre non ci sono stimoli fiscali compensativi. Tutto questo “pazzo ciclo”, secondo Koo, sarebbe stato evitato se la Germania avesse attuato i necessari stimoli fiscali a partire dal 2000: ciò avrebbe consentito alla Bce di mantenerei tassi a un livello più alto e impedito le successive bolle nell’Europeriferia; il che avrebbe altresì permesso alle banche tedesche di fare meno investimenti azzardati all’estero. Tutti sarebbero stati meglio.
Koo sarà nel primo weekend di aprile (4-5) al Workshop di The European House–Ambrosetti a Cernobbio intitolato “Lo scenario dei mercati finanziari, del loro governo e della finanza”.
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