Sarà l’aria delle elezioni, sarà la crisi che non passa, all’Eurogruppo di ieri – a Bruxelles – ha dominato un tema che dovrebbe essere in teoria tabù: il tasso di cambio della moneta unica.
A sollevare con particolare forza il problema è stato il ministro dell’economia francesce, Manuel Valls. Che ha chiesto senza mezzi termini una politica economica unitaria tale da deprezzare l’euro. Ovvero un po’ meno “austerità” e qualche iniezione di liquiditàr eale subito, anziché soltanto annunciata.
La Bce, del resto, non ha fin qui fatto molto di più che “garantire interventi appropriati e tempestivi”, restando però sostanzialmente ferma a causa dei “nein” pronnciati da Berlino per tramite del presidente di Bundesbank, Jens Weidmann.
Un euro più debole – come ai bei tempi delle “svalutazioni competitive” sempre rimproverate all'”Italietta della liretta” – aiuterebbe un po’ le esportazioni, mentre gli aumenti di prezzo sulle merci importate farebbe risalire un po’ l’inflazione; invogliano così “la gente” a comprare un po’ di più, le imprese a investire almeno qualcosa. E, non in ultimo, aiuterebbe ad abbattere il debito pubblico, svalutandolo in proporzione all’inflazione.
“Nein” secco ancora una volta dalla Germania, che sta ancora sfruttando la sua invidiabile posizione speculativa: dal lato delle importazioni, infatti, Berlino paga poco l’energia (soprattutto gas e petrolio), così come anche le merci dei suoi sub-fornitori orientali (Polonia, Slovacchia, ecc) che hanno monete deboli. Dal lato delle esportazioni, invece, soffre pochissimo la forza dell’euro, visto che i suoi prodotti di punta godono di tale fama qualitativa da far coniare il detto “si comprano, non si vendono”. A qualsiasi prezzo, insomma.
Ma quel che è bene per Berlino sta diventando un disastro per tutti gli altri. E persino il cagnolino da guardia Slim Kallas – impalpabile estone che sta tenendo l’interim degli affari economici, dopo le dimissioni elettorali di Olli Rehn – ha dovuto ammettere che la supervalutazione dell’euro “se dura a lungo non va bene”.
Berlino si trincera dietro l’autonomia assoluta della Bce in materia di politica monetaria. Ma mente spudoratamente. I trattati europei, infatti, affidano la politica del cambio (non l’emissione di moneta), proprio alla Commissione. Ovvero al “governo” dell’Unione Europea.
Per farla breve: “le regole” dell’Unione valgono per i soggetti deboli, in altri casi ci si deve passare sopra…
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