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Il terzo mondo è anche nella metropoli. L’esempio inglese

Qualche tempo fa, due economisti marxisti come Joseph Halevi e Riccardo Bellofiore sottoliearono, in uno scritto, che in realtà oggi la metropoli iper-informatizzata e il terzo mondo convivono negli stessi luoghi, l’una accanto all’altro. Più precisamente sopra. L’avanzata di potenze emergenti propone uno schema molto semplificato di quel che stanno diventando i paesi centrali del capitalismo occidentale.

I perbenisti “di sinistra”, persino qualche operaista un sacco “antagonista”, storsero il naso inseguendo la mitologia del “cognitariato” che avrebbe risolto ogni vecchia contraddizione.

A volte il tempo è davvero galantuomo. Ora persino il giornale ufficiale del governo Renzi scopre che tre decenni di neoliberismo hanno ridotto in pezzi uno dei bastioni dell’ideolgia dominante: la Gran Bretagna. Un nuogo dove gli ultraricchi di tutto il mondo si precipitano a stabilire la residenza, ma dove la povertà è esplosa geometricamene, fino a coinvolgere, per ora, oltre  un terzo della popolazione.

Da Repubblica, senza soffermarvi troppo sulle fantasiose distinzioni tra Thatcher e Blair, per la vostra verifica:

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Un inglese su tre è povero: mezzo milione di bambini soffre la fame

Il tasso di povertà è triplicato da quanto prese il potere Margaret Thatcher nel 1983: 18 milioni di persone non hanno una casa. Il Regno Unito, una delle potenze industriali mondiali, vive di contrasti simili al Terzo Mondo

LONDRA – C’è un paese che ha il 33 per cento della popolazione sotto il livello di povertà. Che non riesce a dare abitazioni degne di questo nome a 18 milioni di persone. Che non riesce a sfamare adeguatamente mezzo milione di bambini. Non è il Burundi. E’ la Gran Bretagna, una delle otto potenze industrializzate della terra. Eppure ha visto il “tasso di povertà” passare dal 14 al 33 per cento delle famiglie nell’arco di tre decenni: per l’esattezza dal 1983, ossia dall’anno in cui andò Margaret Thatcher inizia il suo secondo mandato, cambiando radicalmente il Regno Unito, e si può dire anche l’intero mondo occidentale, con le sue riforme economiche all’insegna del liberismo e delle privatizzazioni.

Quelle riforme sono considerate dall’opinione dominante le radici di una necessaria e spesso scintillante modernizzazione, in Inghilterra e nelle molte nazioni che ne hanno finito per seguire il modello, sia che fossero governate da partiti di destra come quello della “lady di ferro”, sia quando a governarle c’erano partiti progressisti comunque influenzati dalla “Thatcher revolution” (anche chiamata “Reagan revolution”, in omaggio al presidente americano che condivise potere e ideologia con lei). La globalizzazione che ha trasformato Cina, India, Russia, Brasile e altri paesi in economie emergenti, vincenti e in alcuni casi ormai più forti di quelle occidentali, viene anch’essa fatta risalire al modello Thatcher. Ma il Poverty and Social Exclusion Project, il più

grande rapporto di questo genere mai condotto in Gran Bretagna, finanziato dall’Economic and Social Research Council e condotto da otto università, svela come minimo l’altro lato della medaglia: un crescente impoverimento. La prova che le strategie per affrontare e ridurre la povertà dell’attuale governo del conservatore David Cameron, e per la verità pure dei suoi predecessori laburisti Blair e Brown, “hanno fallito”, afferma il professor David  Gordon della Bristol University, coordinatore della ricerca.

La povertà appare infatti aumentata nel Regno Unito a livelli da Terzo Mondo, triplicati rispetto a quando arrivò al potere la Thatcher. Il dato forse più significativo del rapporto è che smentisce il diffuso mito o stereotipo secondo cui è la scarsità di lavoro (o la non voglia di lavorare) a causare la povertà. Ebbene, dallo studio risulta che metà delle persone al di sotto della “soglia della povertà” (definita come l’impossibilità di procurarsi tre o più dei fondamentali bisogni  della vita) lavorano 40 ore o più alla settimana. Il livello dei salari non ha evidentemente tenuto il passo con il costo della vita. E la conseguenza è che un terzo delle famiglie britanniche non hanno abbastanza da mangiare, da vestirsi, in una parola da vivere: sono poveri, la faccia nascosta della Londra dei miliardari, dello shopping  di lusso, dei ristoranti alla moda. Per combinazione, la pubblicazione del rapporto (a cui il Daily Mirror dedica oggi due pagine) coincide con la notizia della “caccia al tesoro” via Twitter lanciata da un milionario americano, che si diverte a disseminare sul social network indizi con cui trovare buste contenenti 100 dollari da lui precedentemente nascoste da qualche parte, è arrivata in Inghilterra, dopo avere fatto furore negli Usa: chissà se, tra coloro che in questi giorni frugheranno fra i cespugli dei parchi della capitale britannica, ci saranno soltanto ragazzini in cerca di uno svago extra o i nuovi poveri dell’economia nazionale. 
  

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