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Se la politica economica la fa la Bce…

Come si fa a fare una politica economica “espansiva” se non c’è uno Stato che la progetta? La domanda non viene generalmente posta in questa termini, ma è esattamente questo il problema in cui si va incartando quel mostro chiamato Unione Europea.

Si può anche dire che – in fondo – una politica economica c’è, e si chiama austerità. Ma è solo mezza verità, che oltretutto si sta rovesciando persino contro i “Templari del rigore”: gli ordinativi all’industria sono calati a maggio in Germania, prima economia della zona euro, dell’1,7%. Gli economisti avevano atteso un calo più ridotto, dello 0,8%. Il calo è stato deciso soprattutto dal pessimo andamento interno (-2,5%), ma anche quelli esteri (-1,2%) non hanno fatto meglio. Erano stati proprio i tedeschi, del resto, a dare il via alla compressione della domanda interna – oltre 10 anni fa – inaugurando la stagione della precarietà e dei “mini job”, per riorientare tutta la produzione verso l’esportazione.

Con questi dati già sul tavolo, ieri, deve esser stato più semplice per Mario Draghi convincere l’iroso e supponente Jens Weidmann ad approvare un piano di “iniezioni di liquidità” (Tltro) da 1.000 miliardi di euro in due anni, ad opera della Bce.

La novità sta nelle modalità di erogazione dei prestiti Tltro (targeted long term financing operations): le banche che chiederanno di accedere a questo programma pagheranno soltanto lo 0,25% di interesse annuo, ma se dopo due anni la Bce “scoprirà” che non li hanno girati a famiglie e imprese ne chiederà la restituzione immediata.

L’intenzione della Bce è esplicita: favorire la crescita economica facilitando la trasmissione della liquidità monetaria dalla finanza all’”economia reale”. Uno scopo da governo politico, più che da banca centrale; un ruolo di supplenza per un soggetto che non c’è o che non opera come tale (l’Unione Europea funziona nel sottrarre sovranità agli stati nazionali e congelarla in trattati vincolanti, ma non possiede una politica economica comune, favorendo così la disomogeneità crescente tra i paesi membri).

Evidente anche il limite operativo: non c’è nessuna garanzia che questa “trasmissione di liquidi” avvenga davvero. Non esistono penalità o sanzioni per le banche che facessero un uso “scorretto” dei prestiti ricevuti. Ed anche la restituzione immediata, dopo due anni, non sembra una punizione sufficiente a scoraggiare “furbate”. A quel punto dovrebbero restituire appena lo 0,5% in più, in quota interessi; ed è evidente che speculando sul trading dei titoli di stato o azionario – a patto di non incappare nell’esplosione di una delle tante “bolle” che stanno riempiendo oggi i mercati – le banche avranno nel frattempo datto molti più soldi di quel che dovranno restituire.

Ma la Bce non possiede altri strumenti per “sostenere la crescita”. Anche l’acquisto di titoli di stato o privati (magari la carta straccia cartolarizzata di cui si è riempita la Federal reserve), che Bundesbank non vuole assolutamente prendere in considerazione, è in fondo un incentivo alla speculazione finanziaria con incerte ricadute sull’economia reale (facilita la capitalizzazione delle imrpese quotate in borsa, facendone aumentare il valore azionario).

Inoltre, “deve” compensare la riduzione di liquidità immessa dalla Fed statunitense, impegnata nel “tapering”. IlSole24Ore analizza in dettaglio le ragioni per cui la Bce appare oggi come l’unico “prestatore d ultima istanza” che ha margini per aumentare la massa monetaria in circolazione, vista la necessità dei concorrenti (la stessa Fed, la Bank of England e quella del Giappone) di prendere fiato dopo aver molto “pompato”.

Ma sempre di effetti sul capitale finanziario stiamo parlando…

La ragione fondamentale per cui la Bce deve però agire ora in modo “non convenzionale”, per “battere la deflazione” ormai asfissiante in cui è caduta tutta l’eurozona (ma anche i paesi che ancora mantengono una divisa nazionale), è un’altra: i profitti delle imprese europee, alla fine del 2013, erano in totale solo il 55% di quelli registrati nel 2007, mentre quelli delle imprese Usa avevano recuperato e superato del 30% quei livelli.

La ragione di questo diverso andamento dei profitti – se la si guarda solo dal lato monetario e non da quello della “caduta tendenziale” – è indubbiamente la forte svalutazione di fatto realizzata dal dollaro, che ha reso le merci made in Usa assai più “competitive”. Quindi, come chiedono ormai apertamente le confindustrie di tutta Europa, la Bce “deve” promuovere la svalutazione competitiva dell’euro. L’unico paese cui questa svalutazione non serve – per lo meno nei settori portanti della sua economia – è proprio la Germania. Che può offrire sul mercato una serie di merci senza concorrenza, per qualità costruttiva e innovazione tecnologica (militare a parte).

Ma è anche evidente che ormai questa ragione è chiara a tutti. E non si può pretendere che i partners si dissanguino all’infinito solo per non disturbare “il paese solo al comando”. Basterà la Bce in versione Draghi per raggiungere il risultato? C’è da dubitarne. Anche se la crisi globale fosse meno forte dell’attuale, una banca centrale, per quanto “creativa”, non può mai sostituire la volontà politica di uno Stato.

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