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Standard&Poor’s non promuove Renzi e Padoan

Non tutti stanno a sentire le parole del premier italiano; forse perché sanno sia di economia che di inglese, al contrario di Renzi (e del suo simil-guro Gutgeld).

Così, in una tranquilla sera di dicembre segnata da un isterico rialzo delle borse globali – il giorno dopo un mezzo botto – ecco che Standard & Poor’s taglia il rating dell’Italia a BBB- da BBB. Appena un passo prima delle definizione di “spazzatura”, che è poi la “C”. Le agenzie di stampa italiane sono costrette a sottolineare in modo quasi comico come invece l'”outlook” – o più semplicemente le “aspettative” a breve – sia “stabile”, invece che “negativo”. Dellla serie: ancora non ci hanno scaricato come la Grecia.

Le ragioni della decisione della più importante agenzia di rating sono tutto sommato logiche, dentro la follia della finanza globale. ”Un forte aumento del debito, accompagnato da una crescita perennemente debole e bassa competitività, non è compatibile con un rating BBB, secondo i nostri criteri”.

Non è che non si rendano conto che Renzi sta facendo di tutto per eseguire le direttive che gli arrivano dall’Unione Europea e in generale dalla Troika. “Prendiamo atto che il premier Renzi ha fatto passi avanti col Jobs Act”, tuttavia “non crediamo che le misure previste creeranno occupazione nel breve termine”.

Loro sì che se ne intendono! Le stesse cose le vanno scrivendo migliaia di economisti seri, ma i giornali padronali hanno scelto fin dall’inizio di dar credito solo alle chiacchiere del premier. S&P invece va al sodo: i “decreti attuativi” della riforma potrebbero “essere ammorbiditi” e ciò ”potrebbe accadere alla luce di una opposizione crescente”.

Ah, che nostalgia per quelli che si rendono conto che “la politica” – purtroppo per la finanza – deve fare sempre i conti con il consenso…

 

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