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I non detti della strategia di Draghi

Il giorno dopo, passata la sbronza, si è più realisti. La Bce stamperà euro a profusione per un anno e mezzo, superando in un colpo solo le resistenze tedesche e la logica degli interventi “non convenzionali” precedenti. Che erano in fondo solo dei prestiti a tempo, in grado di “scongelare” la circolazione monetaria momentaneamente inceppata, ma non cambiavano i parametri fondamentali della politica monetaria continentale.

Stavolta sono soldi veri che si aggiungono a quelli (poco) circolanti. L’obiettivo è duplice, come spiegato già ieri: acquistare titoli di stato (impedendo che si ripeta la situazione di paesi membri, come la Grecia, impossibiliti a rifinanziare il proprio debito sul mercato emettendo nuovi titoli; e incrementare moderatamente l’inflazione, per allontanare il fantasma opposto, che sta già distruggendo capacità produttiva e “fiducia”.

Il capitolo più spinoso è quello che ieri era sembrato, non a caso, meno chiaro: la condivisione del rischio-debito tra tutti i paesi dell’eurozona. O, per dirla brutalmente, l’eventualità che paesi “ricchi e sani” (potremmo aggiungere “con gli occhi azzurri e i capelli biondi”) possano essere chiamati a contribuire per pagare il conto di quelli “poveri e zoppicanti” (con occhi e capelli scuri). Venature ideologiche razziste e concrete preoccupazioni contabili sono del resto già da tempo indistinguibili nel dibattito pubblico di Germania, Olanda, Finlandia, ecc.

Gli “annessi tecnici” della decisione della Bce – quelle noiose tabelle ricche di riferimenti legali, cose che non si possono leggere in conferenza stampa senza rischiare di mandarla deserta – spiegano meglio la ragione del “compromesso” raggiunto tra Bundesbank e presidente della Bce; anzi, quantificano anche le dimensioni di questo compromesso.

Di tutta la massa di moneta che verrà gettata nei mercati – 60 miliardi al mese, per 18 mesi consecutivi – solo il 20% verrà addebitata al bilancio della Bce. Il restante 80% verrà ripartito sulle singole banche centrali nazionali secondo la stessa proporzione con cui partecipano al capitale della Bce. Per di più, solo l’8% dell’intervento Bce sarà indirizzato all’acquisto diretto – sul “mercato secondario”, ovvero sul già circolante e non in sede di nuova asta – di titoli di stato. Il 12% restante andrà verso titoli di altri istituti europei, certamente meno rischiosi.

Un intervento dall’architettura complessa, che si complica ulteriormente quando si cominciano a vedere anche a quali condizioni gli acquisti verranno fatti.

Per le banche private, il discorso è relativamente semplice: sostituiranno i titoli di stato invendibili che hanno in cassaforte con denaro liquido. La speranza è che poi usino questa liquidità per erogare prestiti alle imprese, in modo da far sviluppare gli investimenti. Ma una speranza non è un progetto; è qui il limite di ogni politica monetaria, che necessariamente può agire su una delle condizioni fondamentali per la crescita, ma non costituirà mai da sola una politica economica.

Per gli stati nazionali, invece, dipende da molte condizioni. Le singole banche centrali nazionali verranno infatti “coordinate” dalla Bce nell’acquisto di titoli. Non si sa quindi se potranno concentrarsi sul “salvataggio” del proprio stato o se saranno coinvolte nell’acquisto di titoli di altri paesi. In più, ci sono le “condizionalità” pregresse, attuate nelle operazioni precedenti, per cui se uno stato non rispetta gli impegni i suoi titoli potrebbero essere esclusi dagli ordini d’acquisto.

Di fatto, la discrezionalità della Bce assume un ruolo centrale, “costituente”, che può operativamente cambiare regole ed orientamento in corso d’opera. Gli Stati, al contrario, non hanno in pratica alcuno strumento discrezionale o di “ricontrattazione”, visto che sono impegnati nell’esposizione attraverso le banche centrali nazionali, ma non possono influire sulle decisioni operative della Bce.

Un guinzaglio cortissimo, insomma, contro sempre possibili “alzate d’ingegno” di nuove maggioranze politiche alla guida di paesi a rischio. E con ciò, crediamo, a Francoforte pensano di poter recintare le eventuali velleità di Syriza in Grecia, se domenica dovesse conquistare la maggioranza parlamentare necessaria per formare un governo.

Ma il meccanismo, una volta istituzionalizzato, presenta altri problemi. In pratica, il rischio di frammentazione del sistema finanziario europeo viene aggravato. Se un paese dovesse ritrovarsi nelle condizioni di Atene, quattro anni fa, o se decidesse di seguire indicazioni differenti da quelle provenienti dalla Troika, basterebbe “recintare” ulteriormente, alzando i muri e lasciando che i suoi problemi sia risolti al suo interno (con al massimo lo sconto dell’8% di titoli già acquistati dalla Bce).

In conclusione, come spiega bene anche Carlo Bastasin su IlSole24Ore, è un meccanismo di compromesso che può avere un clamoroso successo, se tutto – ma proprio tutto – va per il meglio; o può diventare un moltiplicatore di panico se qualcosa comincia ad andare storto. E, se guardiamo alle stime di crescita economica globale per i prossimi due anni, le nuvole nere superano alla grande i piccoli squarci di cielo sereno…

Lasciata in mano al capitale multinazionale e ai rapporti di forza storici tra i singoli stati, insomma, l’idea grandiosa dell'”unità tra i popoli” viene ridotta a un ammasso di sotterfugi per fregare il vicino e/o il più debole. Fino all’esplosione che tutto cancella.

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