Quando la crosta di ghiaccio si rompe in un punto diventa decisamente instabile. E’ quel che è avvenuto con l’ignobile costruzione chiamata Unione Europea al momento della vittoria di Syriza in Grecia.
I mercati hanno reagito con “compostezza”, dalla Troika sono venuti segnali di “disponibilità” a trattare, l’euro ha addirittura riguadagnato qualche centesimo sulle altre monete, Angela Merkel aveva anticipato che l’esito del voto non avrebbe comunque cambiato molto. Nessun big bang, gli unici capitali spaventati sono quelli degli armatori greci – esentati dalle tasse per legge, alla faccia di tutti i poveri – che hanno finito di portare all’estero, direzione Londra, i propri liquidi. Tutti gli altri, tranquilli.
Eppure la rigidità nell’applicazione dei trattati europei viene data oggi per sepolta da tutti gli analisti più attenti. L'”austerità è morta” annunciava Tsipras nella notte della vittoria, e nel resto d’Europa – con meno enfasi, certo – tutti hanno ammesso: “è vero”. Le imprese del continente, per quanto possa apparire strano, hanno detto “e meno male!” davanti alla vittoria di un “rosso”. Avrebbero detto la stessa cosa se avessero vinto i nazisti anti-euro, naturalmente, in base al vecchio proverbio “non importa il colore del gatto, purché acchiappi il topo”.
Abbiamo dunque un risultato sorprendente: l’austerità può e deve essere messa in discussione (mentre fino a domenica chi lo faceva era indicato come un irresponsabile o un terrorista) e gli operatori dell’economia capitalistica reale tirano un sospiro di sollievo.
Gli imbecilli “di sinistra” ne traggono una conclusione consolatoria e immobilista: “Tsipras non cambierà niente”. La realtà è un’altra e quasi prescinde da quel che Tsipras ha in mente.
Il solo fatto che abbia vinto una forza “anti-austerità” ha bucato la crosta di ghiaccio stesa dal “rispetto delle regole di Maastricht” e dai trattati rigoristici successivi (Fiscal Compact, Six Pack, Two Pack, ecc). Di più: ha fatto venir fuori accordi che prima erano semplicemente stati tenuti segreti.
Bisogna per una volta ringraziare Repubblica, o meglio Federico Fubini, per sollevato il velo sugli accordi presi due mesi fa dall’Unione Europea con la Grecia. Un testo a suo modo storico, articolato in diversi punti ma riassumibile sotto il titolo: “Fino al 2020 Atene non dovrà versare un solo centesimo ai Paesi del club dell’euro”.
Ma come? Jens Weidmann non ha smesso un solo attimo di minacciare gli elettori greci con fantasmi terribili (addirittura ad urne aperte, mai visto prima), Wolfgang Schaeuble ha sciorinato ogni minuto gli impegni “inderogabili” che qualsiasi futuro governo greco avrebbe dovuto rispettare… Ed era tutto finto?
Al 99% era menzogna, certamente. Speravano disperatamente di poter mantenere un Samaras o un altro complice sulla poltrona più importante di Grecia. Sapendo benissimo che la vittoria di un outsider anti-austerità avrebbe potuto mettere in moto una piccola valanga che ora si può manifestare anche in Spagna (con Podemos molto avanti su Rajoy nei sondaggi), forse anche altrove. E soprattuto offrire copertura a quei paesi europei messi peggio sul piano economico (la Francia di Hollande, per cominciare) che hanno chiesto fin qui sommessamente e senza risultati di allentare la morsa del rigore. Se ci sarà uno che batte i pugni sul tavolo, loro potranno tentare di cucire un compromesso che offra condizioni migliori anche per sé.
Cosa contiene l’accordo segreto Ue-Samaras?
Il mastodontico debito di Atene (245 miliardi, oltre il 100% del Pil greco) potrà essere restituito in comode rate da qui al 2057 (“cinquantasette”), tra 42 anni.
Fino al 2020, come detto, nulla di nulla.
I tassi di interesse su 53 miliardi di prestiti sono stati portati allo 0,53% (euribor a tre mesi + lo 0,5). Se l’inflazione fosse al livello “fisologico” (2%) Atene ci guadagnerebbe addirittura qualcosina.
I tassi sul fondo “salvastati” (Efsf) sono stati portati allo 0,21% (stesse considerazioni di cui sopra) e comunque la Grecia dovrebbe iniziare a versare le quote di rimborso a partire dal 2023 e fino al 2057.
Tutto quel che Atene deve all’Unione Europea, insomma, era già stato congelato. Rimane da sistemare la quota dovuta al Fondo Monetario Internazionale, l’altro pilastro della Troika, ma anche qui – grazie anche a soci assai meno dogmatici (Cina e Stati Uniti, per dirne due di peso) – non ci dovrebbero essere ostacoli insormontabili.
L’unica vera arma di ricatto in mano all’Unione Europea, a questo punto, sono i 15 miliardi che dovrebbe essere versata a febbraio nelle casse di Atene. Senza quei soldi Tsipras dovrebbe cercarsi finanziamenti sui mercati (a tassi da paura e senza certezza di raggiungere la cifra che serve), riaprendo la crisi greca e quindi anche quella dell’euro. Soprattutto, i buchi che si aprirebbero nei bilanci dei paesi prestatori – Germania in testa – andrebbero coperti aumentando la pressione fiscale sui rispettivi contribuenti.
Per concedere l’ultima tranche, la Ue chiederà in cambio che Tsipras prosegua nelle “riforme strutturali”, riducendo intanto di un ulteriore 2% la spesa pubblica. Questo significherebbe rinunciare del tutto al programma elettorale (un primo calcolo, probabilmente per difetto, parla invece di un eventuale aumento del 7%), mettendo il neo-governo greco nel tritacarne.
Tutto il campo della trattativa tra Grecia e Troika sta su questo punto, ora. Sembra poco, ma non è poco.
Se si piega, Tsipras è finito; se non lo fa, non vede un euro. Ma se crolla Tsipras si riapre la danza sulla possibile “cacciata” di Atene dall’euro e sulla stessa tenuta della moneta unica.
Se si piega la Troika, tutti i paesi in difficoltà col rispetto degli accordi (Spagna. Italia, Francia, Portogallo, ma anche altri) potranno esigere un trattamento simile, mettendo di fatto fine all’architettura “istituzionale” fin qui costruita.
Il compromesso possibile, quello che accontenta tutti e permette ai contendenti di dichiarare contemporaneamente vittoria, appare al momento decisamente difficile.
Indipendentemente da quel che Syriza potrà fare davvero, insomma, si apre una stagione di “movimento”. Solo chi deciderà di restare sugli spalti a guardare rischia il congelamento…
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