Vivere sotto la cappa dell’Unione Europea, in un sistema export oriented e ordo-liberalista, è già abbastanza duro. Ma verificare, sempre più spesso, che “il pane sottratto al popolo” tramite le criminali riforme strutturali, serve solo a contenere le perdite della speculazione finaziaria è decisamente intollerabile.
L’articolo de IlSole24Ore che qui sotto vi proponiamo ha molti pregi, ma il principale sta nel dare una notizia “quantitativamente” misurabile. La garanzia statale sui rischi delle banche private vale dovunque, in Europa, diversi punti di prodotto interno lordo (Pil). In pratica molte risorse pubbliche – alimentate dalle tasse pagate dai contribuenti, in cui la parte della mucca da mungere è come sempre assegnata ai lavoratori dipendenti, precari o stabili che siano – sono immobilizzate, usate o messe in serio pericolo soltanto per rimediare agli “errori di valutazione” dei banchieri privati. La speculazione finanziaria, come si sa, è un gioco che può essere rischioso, quando cambiano le condizioni congiunturali. Se arriva la batosta, specie negli “stati virtuosi” del Nord Europa, scatta il salvataggio statale.
Per i paesi Piigs, invece, non c’è nulla da fare. Devono raggiungere il pareggio di bilancio senza smettere di ripagare il debito per intero. Quel che si perdona quotidianamente alle banche private non deve e non può essere perdonato a interi paesi.
Come mai?
Il trucco c’è e si vede. Le banche “salvabili” sono in genere tedesche (o austriache, o olandesi).Il caso della piccola banca austriaca citata nell’articolo, che era “garantita” dalla regione della Carinzia, ma la cui copertura è stata improvvisamente disconosciuta dalla Stato centrale di Vienna, ha scoperchiato un vaso nauseabondo. In cui molte altre banche speculano le une verso le altre, “certe” che la garanzia statale le metta al riparo da qualsiasi tempesta o errore di valutazione.
In un altro commento dello stesso giornale, dedicato da Donato Masciandaro alla stesura ulteriore delle nuove regole europee per il sistema bancario, si può kleggere:
Gli organi di stampa riportano la notizia che la Commissione Ue starebbe valutando la possibilità di considerare i crediti di imposta che le banche vantano nei confronti dei rispettivi Stati come delle attività a rischio, aventi lo stigma degli aiuti di Stato.
Se tale notizia fosse confermata, avremmo l’ennesima conferma che il disegno delle regole bancarie – in Europa ma non solo – non segue affatto i principi dell’analisi economica, ma quelli più concreti ed opaci della cattura politica dei regolamentatori da parte delle classi politiche più influenti.
E’ più che una confessione inconsapevole. Le “regole europee” non hanno nulla di scientifico, non seguono alcun disegno realmente “comunitario”, ma soltanto i rapporti di forza concreti esistenti sullo scenario continentale. La prassi reale non è quella del “confronto alla pari” tra governi legittimati elettoralmente. Ma una più segreta guerra tra “classi politiche più influenti” (o più probabilmente ancora tra lobby di pari o superiore potenza) per “catturare i regolamentatori”. Daremmo volentieri un’occhiata ai conti correnti dei “regolamentatori”, alla ricerca di corrispettivi adeguati al favore che vanno facendo a questo o quel gruppo di interesse. Certi che le banche, tra tutti i portatori di interessi, sono quelli con più “liquidità” (garantita!) in cassa.
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Quando aiuti e garanzie sono Made in Germany
di Alessandro Merli
La possibile apertura di un’indagine della Commissione europea su aiuti di Stato alle banche di quattro Paesi della periferia dell’eurozona, fra cui l’Italia, riaccende un faro su una questione che è spinosa invece anche e soprattutto nei Paesi del centro dell’unione monetaria. Una questione riportata alla ribalta recentemente dalla decisione dell’Austria di non fa fronte alle garanzie dello stato della Carinzia alla Heta, la bad bank della fallita Hypo Alpe Adria, con immediate ripercussioni soprattutto sulle banche tedesche.
Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, molti Paesi sono intervenuti a soccorso delle proprie banche. Gli aiuti di Stato più massicci li ha realizzati la Germania, oltre che il primo salvataggio, quella della Ikb, travolta dall’esposizione ai mutui subprime Usa. Berlino ha anche parzialmente nazionalizzato la Commerzbank, la seconda banca privata del Paese, con un’iniezione da 17 miliardi di euro, e ne detiene tuttora il 17%. Ha creato un fondo di sostegno al sistema bancario, la Soffin, dotandola di 400 miliardi di euro di garanzie e 80 miliardi per ricapitalizzazioni.
Complessivamente, secondo stime del “Fiscal monitor” del Fondo monetario, è il grande Paese dell’eurozona con il più pesante intervento pubblico a favore delle banche, pari al 12,5% del prodotto interno lordo (l’Italia è in coda, con lo 0,2%). Quasi il doppio di quel che ha fatto la Spagna (7,7% del pil), dove la crisi bancaria è stata conclamata e ha costretto Madrid a ricorrere ad aiuti europei per 100 miliardi di euro (di cui solo 40 effettivamente utilizzati). L’Olanda, altro Paese “virtuoso” del centro dell’area euro, ha fornito aiuti alle banche (compresa la nazionalizzazione di Abn-Amro), pari al 18,7% del pil, l’Austria del 4,7%, cui va ad aggiungersi il 7% per Hypo Alpe Adria. Il 1° marzo è stata dichiarata una moratoria sui debiti di Heta, la bad bank creata proprio in seguito al fallimento
di Haa.
Ed è la vicenda di Heta che ha scoperchiato il vaso di Pandora della reale affidabilità delle garanzie statali, di cui molte banche, in particolare tedesche e austriache, si fanno forti. Nell’autunno scorso, la banca pubblica di Amburgo, la Hsh, disastrata da prestiti in sofferenza soprattutto al settore del trasporto marittimo, ha schivato la “bocciatura” all’esame della Banca centrale europea solo grazie alla garanzia statale. La settimana scorsa, addirittura, una di esse, la L-Bank, ha fatto causa alla stessa Bce per essere esclusa dalla sua vigilanza, adducendo fra l’altro come giustificazione il fatto di essere a basso rischio, grazie alla garanzia pubblica dello Stato del Baden-Wurttemberg. In valori assoluti, la garanzie pubbliche per le banche prestate dalla Germania sono le più alte nell’eurozona, 517 miliardi di euro, pari al 18% del pil. Ma in Austria toccano una percentuale quasi doppia, del 35% del pil. Dopo il ripudio delle garanzie della Carinzia da parte di Vienna, gli investitori cominciano a chiedersi quanto valga questa copertura. Complessivamente in Europa, ci sono garanzie statali sul debito bancario pari a 1.300 miliardi di euro.
La presunta “sicurezza” offerta ad alcune banche dalla garanzia statale ne ha indotto altre, spesso a loro volta pubbliche o semipubbliche, a investire nel loro debito. La prima “vittima” del fiasco della Heta è stata la Duesseldorfer Hypothekenbank, specializzata in mutui immobiliari, che aveva un’esposizione di 280 milioni di euro al debito della bad bank austriaca e si è ritrovata con il cerino in mano dopo la moratoria. Per la seconda volta in sette anni, ha dovuto essere salvata dall’associazione delle banche private tedesche, BdB. L’interesse della BdB non è casuale: un tracollo della DuesselHyp avrebbe messo a nudo l’enorme mercato delle Pfandbrief, i titoli garantiti dai mutui immobiliari, grande fonte di finanziamento per le banche tedesche. Ma il contagio del caso Heta in Germania non è finito lì: la BayernLb, altra banca statale, della Baviera, ha dovuto dichiarare perdite sul debito dell’istituto austriaco e altre 9 banche tedesche sono pesantemente esposte.
Da decenni, del resto, contando sul sostegno delle garanzie statali, le banche pubbliche tedesche si avventurano in investimenti rischiosi e si ritrovano impantanate in tutte le crisi finanziarie, fin da quella del debito dell’America latina all’inizio degli anni 80, ai subprime, alla Grecia. L’intervento della Commissione europea, su iniziativa di Mario Monti, ha risolto solo in parte il problema, che è anche e soprattutto un problema di governance, con le nomine dei vertici delle banche pubbliche pesantemente influenzate
dalla politica locale.
L’intreccio fra le banche, aiuti e garanzie di Stato, politica e mercati resta un nervo scoperto del sistema, nel cuore dell’eurozona assai più che nella sua periferia.
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