La vulgata populista nei paesi del Nord Europa recita esattamente come quella della Lega dei primi 30 anni: “i meridionali, cioè i paesi Piigs, stanno sempre in crisi e fanno debiti perché sono dei pelandroni che non lavorano abbastanza”.
Poi guardi i dati dellOcse e scopri che è vero l’esatto contrario. I campioni del “noi lavoriamo sodo” sono quelli che in assoluto lavorano meno, mentre i disgraziati ultimi in classifica sono anche quelli che lavorano di più.
Vediamo un po’ di numeri.
Nella Grecia che tanti si sono stufati di “salvare” (in realtà gli “aiuti” della Troika sono andati alle banche tedesche e francesi, che avevano crediti “incagliati” con lo Stato o privati ellenici) le ore annue lavorate sono un record europeo: 2.037, per uno stipendio medio lordo che è al contrario il minimo assoluto, appena 18.495 euro (lordi, ripetiamo per i sordi). Tra i paesi Ocse faticano di più solo i lavoratori di un altro popolo che passa per pelandrone: i messicani.
All’opposto della scala stanno gli olandesi del capo dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, superfalco dell’austerità che blocca le tranche di liquidità per Atene: 1.380 ore, per uno stipendio medio lordo annuo di 42.491 euro. In pratica guadagnano circa il 60% in più lavorando il 40% in meno. Favoloso.
Non va poi tanto peggio per i maestrini tedeschi, guidati da Merkel e Schaeuble, che sgobbano per 1.388 ore l’anno in cambio di 35.943 euro lordi. Questo permette al lavoratore medio della Germania di dedicare alla propria vita privata, alla cura di sé o dei propri familiari, circa il 64% della giornata (siccome l’Ocse rappresenta i 30 paesi capitalistici più avanzati, in questo calcolo viene compreso anche il sonno!).
Quanto a ore passate sul lavoro non si scherza neanche in Italia: 1.752 (in pratica la media Ocse) per uno stipendio da 28.919 euro. Sarà sufficiente un confronto frettoloso: sono 263 ore in più della Francia, 341 più della Danimarca, 344 più della Norvegia, 364 più della Germania e ben 372 più della Olanda. In cambio, in quei paesi, lo stipendio oscilla tra il 30 e il 50% in più rispetto al’Italia. E il bello (statistico) è che la “produttività” del lavoro calcolata in questo modo (ore/salario) dà come risultato che è più produttivo chi lavora meno e viceversa! Proprio come quando si parla di produttività per unità di prodotto…
Inutile proseguire nei dettagli, perché tutti gli altri paesi seguono la stessa regola generale: dove si lavora di più si guadagna di meno.
Ma sarebbe da idioti farne derivare la conclusione che a lavorare meno si produce di più. Il segreto di questo apparente paradosso sta nella differente composizione organica del capitale e nelle ragioni di scambio di questi paesi.
Con la prima intendiamo, marxianamente, la proporzione tra capitale investito in macchinari e capitale investito in salari. Dove questa proporzione è alta (più macchinari) c’è ovviamente una produttività maggiore, perché le tecnologie applicate riducono i tempi della produzione per ogni singola merce, quindi anche il tempo di lavoro necessario.
Di conseguenza, le merci prodotte con mix più alto di tecnologia costano meno al produttore; ma quando vengono scambiate sul mercato, spuntano un prezzo medio più alto, che è invece penalizzante per le merci prodotte con un mix più alto di lavoro umano. Non solo i lavoratori, ma anche gli imprenditori dei paesi tecnologicamente meno avanzati, dunque, non riescono a “competere” con quelli più sviluppati. Solo che la pretesa degli imprenditori “arretrati” per “recuperare competitività” – aumentare l’orario di lavoro e diminuire i salari – è patetica e criminale, oltre che inefficace. Perché distrugge il “mercato interno” (lavoratori, pensionati, ecc, consumano sempre meno) senza avere alcuna possibilità di pareggiare il gap con chi usa più tecnologia.
Per chi alimenta semplicemente l’invidia, invece che il sano conflitto sociale, sarà consolante pensare che anche per i lavoratori dei paesi più avanzati il tempo delle vacche grasse sta per finire. Come ha pochi mesi fa anticipato il capo del personale della Volkswagen, Horst Neumann: “Nei prossimi 15 anni andranno in pensione 32mila persone; non verranno rimpiazzate. Nell’industria automobilistica tedesca il costo del lavoro è superiore ai 40 euro all’ora, nell’Europa dell’est sono 11, in Cina 10. Oggi il costo di un sostituto meccanico per lavori di routine in fabbrica si aggira intorno ai cinque euro”.
Dovranno insomma inventarsi un’altra retorica, sostitutiva della coppia “scansafatiche-laborioso”, per dividere quanti in ogni caso vivono soltanto del proprio lavoro.
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