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Volkswagen sull’orlo dell’abisso

Una delle tattiche più classiche, quando butta male, è attendere che il polverone si posi. Una tattica che tutta la Germania che conta, dalla Merkel ai grandi gruppi industriali, sembra aver adottato senza neanche doversi consultare.

C’è però un problema: nel settore automobilistico – il principale comparto industriale del pianeta – la concorrenza è fortissima, a causa del certificato “eccesso di capacità produttiva” lì presente (100 milioni di unità producibili, solo 60 effettivamente sfornate ogni anno). Quindi il polverone non smetterà tanto presto di svolazzare sopra gli stabilimenti Volkswagen (più Audi, Skoda, Seat, ecc), perché molti governo coglieranno l’occasione per favorire in qualche modo le industrie nazionali (ove presenti, come Usa, Giappone, Italia, Francia e poche altre) a conquistare fette di mercato improvvisamente lasciate libere dal gruppo di Wolfsburg; se non altro per difendere – di aumentare non se ne parla proprio più – i livelli occupazionali nel settore.

Questa tendenza è fortissima negli Stati Uniti, che pure esportano poco o nulla in fatto di auto, ma devono proteggere i “tre grandi” (General Motors, Ford, Chrysler-Fiat) per motivi tutti interni. Il fatto che il governo. Obama stia per far partire un’inchiesta penale nei confronti dei vertici di Vw è più che un segnale politico. Fiancheggia infatti apertamente sia la possibile sanzione di ben 18 miliardi per “frode commerciale”, sia la valanga di class action che si è messa in moto nei tribunali statunitensi ad opera di consumatori e investitori (e poco importa, al momento, che i primi abbiano ragione da vendere e i secondi neanche una; se ha sbagliato investimento sono affari tuoi…). Per dirla semplice: Vw negli Usa, ancora il principale mercato mondiale, non ha un futuro.

Ma i contraccolpi sono già in arrivo, direttamente sul piano occupazionale e produttivo. Il “braccio finanziario” di Volkswagen ha bloccato le previste nuove assunzioni, in base alla logica conclusione che ci saranno assai meno ordini di acquisto del previsto e quindi anche meno finanziamenti da erogare alla clientela. A Salzgitter, invece, dove si produce uno dei motori incriminati, è stato soppresso un turno di lavoro, per lo stesso motivo. Se le vendite dovessero continuare a restare congelate a lungo, insomma, ci si potrebbe trovare di fronte a una massiccia ondata di “messe in libertà” come non si vedevano dagli anni ’20, in Germania.

Anche il previsto richiamo di undici milioni di auto presso le officine autorizzate Vw rischia di essere solo un – costosissimo – specchietto per le allodole. Tutto quello che le officine potranno fare, infatti, è sostituire il software della truffa con uno più “onesto”. Ma questo non avrà alcun effetto sulle emissioni reali rilasciate dalla macchina. I motri, infatti, continueranno a restare gli stessi, senza modifica né – ovviamente, visti i costi – sostituzione. A quel punto, però, dovrebbero come conseguenza saltare anche le omologazioni “Euro 5” fin qui riconosciute a quei modelli, retrocedendole a una categoria inferiore e più antica; dunque svalutando di molto la singola automobile, che avrebbe di fronte un ciclo di vita inferiore al previsto (e pagato dal compratore) e forti limitazioni alla circolazione in caso di “stop” temporanei.

La vicenda ha ovvie ma incalcolabili ricadute sulla credibilità di tutto il made in Germany, quindi avrà una sicura incidenza negativa sulle già depresse “aspettative di crescita” del Vecchio Continente. Anche per l’Italia, che vanta alcune centinaia di subfornitori diretti di Vw, per un fatturato annuo di 1,5 miliardi. Ma soprattutto per i paesi dell’Est europeo, che costituiscono al momento il principale segmento delle filiere produttive che alimentano l’export tedesco.

Si può dunque comprendere, ma niente affatto giustificare, il perdurante silenzio assoluto osservato da due protagonisti di rilievo del “modello tedesco”: Angela Merkel e il sindacato Ig Metall, il cui segretario generale, Berthold Huber, siede come vicepresidente nel “consiglio di sorveglianza” della Volkswagen. Se per la prima c’è il timore di ritrovarsi nelle insolite vesti di imputata nei prossimi vertici europei – teatro in cui aveva fin qui ricoperto contemporaneamente il ruolo di accusa e di giudice – per il secondo c’è invece il senso della catastrofe epocale.

Quel modo di “fare cogestione”, infatti, ha corrotto completamente la funzione sindacale (già dieci anni fa i vertici dell’Ig Metall furono travolti da uno scandalo a luci rosse: Vw li comprava fornendo loro lussuose vacanze all’estero ed escort di livello vip) senza peraltro riconoscergli alcun ruolo di “sorveglianza” nella correttezza dei processi produttivi. Una crisi probabilmente definitiva, che verrà ben presto utilizzata dall’impresa per liquidare definitivamente anche quel poco di “concertazione” formale residua.

Come ha già anticipato il luciferino Wofgang Schaeuble, con l’aria di dire una banalità, in Vw “ci saranno molti cambiamenti strutturali”. Per gente come Huber è un preavviso di sfratto.

 

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