Scartando dal piatto renzismo quotidiano, stamattina Repubblica presenta una serie di servizi sulle vittime del “salvataggio” di quattro banche sull’orlo del fallimento: Carichieti, Banca Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e naturalmente Banca Etruria, nota per la vicepresidenza coperta dal padre di Maria Elena Boschi e, più in là nel tempo, per esser stata scelta da Licio Gelli come sportello cui far versare le quote di iscrizione alla loggia massonica P2. Coincidenze, naturalmente…
Il meccanismo di salvataggio scelto dal governo ricalca in parte quello deciso a livello di commissione europea, ovvero il bail in, che scarica una parte delle perdite su azionisti e obbligazionisti, oltre che sui normali correntisti che abbiamo sul conto più di 100.000 euro e per la parte eccedente questa soglia (c’è una garanzia statale fino a quella cifra).
In realtà il dispositivo del governo è leggermente diverso, perché chiama in causa l’intero sistema bancario italiano ma garantisce una defiscalizzazione equivalente all’impegno finanziario delle banche partecipanti. In pratica, garantisce lo Stato con i soldi dei contribuenti, meno la quota di perdite a carico degli incauti investitori. E questo non era piaciuto molto all’Unione Europea, che poi però ha fatto finta di nulla per non indebolire uno dei governi più complici dell’area a 28.
Repubblica fa un lungo elenco di casi di persone rovinate improvvisamente da questa decisione e illumina uno spaccato sociale – il famoso “ceto medio” delle analisi che rifiutano altre connotazioni di classe – che dice molto su come sono stati costruiti i redditi e il consenso sociale nel corso degli ultimi 25 anni.
Piccoli imprenditori, pensionati, impiegati ed ex operai, o meglio ancora gli eredi di questi piccoli risparmiatori che avevano fatto proprio il “sogno finanziario” proposto dal capitale, all’inseguimento di quell’”investimento sicuro” e senza rischi che fa sentire benestanti senza altre fatiche. Bastava poco, un 2-3% annuo, a far incassare una “quindicesima” con cui sistemare le scadenze di fine anno e magari permettersi qualche acquisto o spesa imprevista.
Gente senza alcuna competenza finanziaria, ovviamente, residente nella piccola provincia italiana moderatamente ricca, abituata ad affidarsi completamente nelle mani dello sportellista, del direttore di filiale, quasi sempre un paesano, se non addirittura un parente. Ovvero impiegati altrettanto a digiuno di covered bond o asset backed securities, semplicemente istruiti dai vertici dell’istituto a vendere certi titoli e certe obbligazioni – specie le “subordinate”, che offrivano assai meno garanzie – in cambio di modesti “premi di produzione”.
Se volessimo fare i facili moralisti, un tantino idioti, potremmo tranquillamente fare spallucce e dire: “avete voluto partecipare alla roulette? Se ci avete perso, sono affari vostri”. E’ il mercato bellezza, mica pretendevi di vincere sempre…
Ma, dicevamo, questa vicenda illumina qualcosa di più sulla struttura del consenso sociale. Qualcosa che va oltre – senza escluderli – i livelli del salario, le aliquote della tassazione, le prestazioni del welfare, ecc. Qualcosa che, finché la finanza globale marciava di successo in successo, riusciva a garantire un po’ di reddito aggiuntivo sotto forma di remunerazione del capitale produttivo di interesse.
La “finanziarizzazione delle coscienze” data da molto tempo, certamente, e il “popolo dei Bot” è ormai una categoria dell’analisi economica. Ma quest’ultimo, investendo i propri risparmi in titoli di stato, era in qualche misura una figura razionale e necessaria del sistema economico, retribuita poco ma in modo certo. La liberalizzazione nelle emissioni di titoli e azioni ha invece permesso anche a istituti con bassissima patrimonializzazione di creare denaro fittizio a costo zero, collocandolo in maniera privilegiata verso una clientela semplicemente senza consapevolezza e senza alternative. In regime di monopolio, tecicamente parlando. Un contadino, un operaio, un piccolo commerciante di un paesino di provincia, ha quasi sempre un solo sportello bancario a disposizione. E nessuna conoscenza dei meccanismi finanziari, se non quelli “basici” (prestito, tasso, mutuo, ecc) che riguardano la sua attività professionale.
Negli ultimi 25 anni, insomma, si è espanso ad libitum un “parco buoi” con patrimonio scarso o minimo, che arriva però a coprire tutta la popolazione che per varie ragioni può risparmiare qualcosa sui propri redditi ordinari o che si ritrova ad un certo punto tra le mani un piccolo gruzzolo (tipicamente, la liquidazione). Un parco buoi che si è identificato completamente – in modo altrettanto inconsapevole e bovino – con il sistema, i suoi valori, le sue aspettative.
Questo mondo paga ora esattamente come il lavoro dipendente (di cui spesso fa parte), perdendo in un attimo tutto o quasi quel che aveva accumulato con una vita di lavoro e piccoli sacrifici. È una devastazione sociale – per quanto limitata al momento a quattro sole banche, neanche tra le principali – che si ripeterà molte volte nei prossimi anni. E che può produrre effetti sistemici sul consenso sociale diffuso. Se dall’adesione fideistica al sistema, infatti, non derivano più modeste plusvalenze, ma solo perdite, magari anche drastiche, viene minato un dispositivo di identificazione.
E le banche possono finalmente essere identificate per quel che sono: associazioni a delinquere che fanno e disfano i governi nazionali, secondo un solo principio ordinatore – chi è più grosso se la comanda e fa più danni.
A suo modo, dunque, è anche questo un episodio della lotta di classe dall’alto condotta dal capitale finanziario contro tutte le figure a suo tempo cooptate e silenziate. Invece della redistribuzione di una quota degli interessi, oggi si dispiega un rastrellamento dispotico del risparmio disponibile. Una espropriazione senza indennizzo che recide, tendenzialmente, il legame di sintonia tra piccolo risparmio e grande capitale.
Se son rose, fioriranno… Ma serve lavoro e coscienza, e serietà, perché il raccolto – questa volta – sia a favore degli antagonisti del capitale.
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Il servizio principale di Repubblica.
Il volto nascosto del salva banche: le storie di chi ha perso tutto
Rabbia, frustrazione, amarezza: sono arrivate centinaia di segnalazioni di persone, soprattutto anziane, che si sono ‘fidate’ delle quattro banche salvate (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara) sottoscrivendo titoli che ora valgono niente
di MAURIZIO BOLOGNI e LAURA MONTANARI
FIRENZE – “Perché di noi non scrivete?”. Voci lontane, che arrivano da paesi, frazioni, piccole città di questa Italia. “Nessuno si occupa di questa truffa? Guardi che siamo tantissimi, siamo la nuova Parmalat”. Esagerano. Messaggi via mail o registrati nelle segreterie telefoniche, grida di gente che teme di non avere abbastanza voce per farsi sentire. Sono i rovinati del decreto Salva-banche varato dal governo: “Siamo la macelleria sociale, quelli che è stato facile ingannare”. Pensionati, casalinghe, operai, impiegati, piccoli risparmiatori, gente distante anni luce dalle alchimie finanziarie o dalla acrobazie azionarie, quelli che si presentano allo sportello e dicono: “Ho da parte questi soldi, cosa mi consiglia?”. Quelli che raccomandavano: “Che sia un investimento sicuro, eh?”. Benvenuti alla roulette russa delle azioni volatili, dei bond subordinati al veleno.
“Ho perso trentamila euro, la metà dei risparmi di una vita. All’Etruria mi hanno fatto vedere un foglio, dei miei soldi non resta niente”. Zero. Mario è pensionato e abita a Empoli, in Toscana, ma il suo è soltanto uno dei tanti casi. Da Chieti, da Terni, da Pescara, da Ferrara, da Grosseto e Arezzo. Da nord a sud. Dalla Banca Etruria alla Banca Marche, dalla Cassa di Risparmio di Chieti alla Cassa di Risparmio di Ferrara. Dai posti insomma in cui ci si fida e l’impiegato della banca si trasforma in una specie di consulente finanziario consultato al volo, con le mani piene di borse della spesa. “Siamo le vittime di quel decreto – racconta Roberta Gaini, 50 anni, toscana, impiegata in una ditta chimica – non riesco più a dormire da giorni. Mi hanno preso i soldi che mi aveva lasciato mio padre, ho perso 62 mila euro in obbligazioni subordinate, 20 mila li ha persi mia madre e dieci mila mia sorella. Come la chiamiamo se non una truffa?”.
Rabbia, sconforto e sospetti per migliaia di risparmiatori delle quattro banche “salvate” dal governo con un conto che pagano – e salato – loro: “Nel 2007 avevo un profilo a basso rischio, quando ho rinnovato le obbligazioni subordinate – riprende a raccontare in lacrime Roberta, mamma di due bambini -. Il profilo di rischio non me l’hanno dato. L’ho richiesto ora alla banca. Io non avrei mai accettato di rischiare il patrimonio per una percentuale di uno punto o due o tre in più. Ma ci rassicuravano, dicevano: signora ma ha mai visto fallire una banca?”. Eccoci qua.
Silvia Trovò abita a Voghiera, in provincia di Ferrara, ha un’azienda agricola che produce frutta e seminativi: “Dal venerdì alla domenica del 22 novembre per noi è cambiato tutto, abbiamo perso 26mila euro in obbligazioni subordinate e azioni della CariFerrara. Erano i soldi che mio padre, anche lui agricoltore, ci aveva lasciato: non può capire il dispiacere e la rabbia”.
Nella battaglia, schierati dalla parte dei piccoli risparmiatori, sono scese in campo subito le associazioni dei consumatori. I risparmiatori hanno aperto pagine su Facebook per tenersi aggiornati e organizzare manifestazioni: “Vogliamo andare a Roma e stiamo organizzando un pullman per arrivare a protestare davanti a Montecitorio” fanno sapere. “Non staremo zitti” promette un altro. Daniele scrive via mail: “A mia suocera, che ora ha 93 anni, Banca Etruria ha venduto quattro anni fa obbligazioni per 10mila euro in sostituzione di altre rimborsate alla scadenza naturale si sono guardati bene dall’avvisare che erano subordinate, fra l’altro con interessi non eccezionali, facendo firmare le solite paginate che non si leggono fidandosi dal funzionario, sono sicuro che quella operazione era stata richiesta a rischio zero. In questa storia non sono coinvolti come volevano far credere, gli investitori istituzionali, ma migliaia di risparmiatori”.
Massimo Cionco è invece un risparmiatore di Banca Marche: “Sono possessore di azioni per 4.215 euro che adesso valgono zero, sono indignato. Alla mia banca cercavano di proporre o far acquistare queste azioni fino al giorno precedente al commissariamento! Sono indignato perché ci hanno proposto l’aumento di capitale del 2012, senza comunicare l’avvertimento dato dalla Banca d’Italia”. Un altro cliente di Banca Marche si sfoga: “Siamo diventati all’improvviso i figli del Diavolo, da questa vicenda esco distrutto economicamente e moralmente”.
Sono centinaia le storie e le mail postate dai lettori e in comune hanno la certezza di essere stati i protagonisti di un clamoroso raggiro: “Ci hanno fatto credere di poter avere rendimenti del 4 o 5 per cento lordi per dieci anni senza rischiare nulla” spiega uno di loro. E ancora: “Sono Liliana di Arezzo, scusi se disturbo le scrivo per far si che non passi inosservato l’esproprio autorizzato domenica 22 novembre nei confronti di noi risparmiatori che avevamo creduto in banche del territorio. Io e mio fratello abbiamo fatto un investimento con obbligazioni subordinate a detta della banca sicure, e con un buon andamento”. Quando le cose cominciano a precipitare i clienti tornano a bussare alle loro banche: “Ci siamo informati se era il caso di rimanere o meno con Etruria e ci hanno rassicurato dicendo che la banca era sottoposta a controllo commissariata e che sarebbe mai fallita…”.
Roberta, “Io, rovinata dal decreto Salva banche” Nessuno al momento ha il quadro esatto di quanti siano i risparmiatori coinvolti in questo crac: “Siamo duecentomila e nessuno ascolta la nostra disperazione”. Spesso sono storie strazianti come quella che racconta Francesca Parisi, da Civitavecchia: “Mio padre, correntista Banca Etruria da 40 anni, invalido al 100% e cardiopatico cronico, aveva affidato i suoi risparmi di una vita da operaio (40mila euro) all’istituto di credito succitato, in virtù di un rapporto di estrema fiducia. Nessuno l’aveva avvisato dei rischi che correva con le obbligazioni subordinate, lui era tranquillo, si fidava ciecamente del dipendente che gliele aveva proposte, pur avendo un profilo di rischio basso (secondo la Mifid). In un momento lui si è visto azzerare i suoi risparmi, che gli servono per curarsi”. E aggiunge: “Sono una dei tanti disperati, una vittima della macelleria socio-umana di questo governo, della gestione dissennata dei dirigenti di Banca Etruria e non so come comunicarlo a mio padre, perché potrebbe verificarsi un serio attentato alla sua fragile salute, oltre al danno finanziario subito. Il decreto, , in sordina, artatamente pianificato, ha ridotto al lastrico circa centomila risparmiatori italiani”. Si sentono truffati e derubati, si sentono vittima di un raggiro gigantesco.
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