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Altro che crescita, qui c’è lo sciopero degli industriali…

Come uscire dalla crisi? Ad ascoltare gli imprenditori, gli opinionisti neoliberisti, la Troika e il governo Renzi, l'unica soluzione è nella riduzione dei salari, dei diritti sul lavoro, nell'allungamento dell'età pensionabile fino all'età della probabile morte, nei contratti solo aziendali (dove in pratica non hai nessuna forza per contrattare), nel tagliare la spesa pubblica solo sul versante sociale (sanità, pensioni, istruzione, assistenza, ecc).

Tutto in nome della “crescita”, viene detto. Ma come funziona un'economia? Schematicamente parlando, gli imprenditori investono denaro proprio o in prestito (per questo una volta avevano un senso le banche), avviano o espandono un'attività produttiva, assumono personale, vendono i prodotti e ripetono il ciclo.

Cos'è avvenuto invece in Italia in questi otto-nove anni di crisi?

L'esatto contrario. Gli investimenti sono crollati, scendendo di ben 110 miliardi. Una cifra che equivale all'8% del Pil (che comprende ovviamente anche i consumi), una cosa enorme, in pratica uno “sciopero degli imprenditori”; e di lunga durata, per di più. La quota totale di investimenti, infatti, è diminuita del 29,8%, portando il totale a soli 258,8 miliardi. La cifra della riduzione non è ovviamente relatiiva a un solo anno, ma rappresenta il totale della riduzione tra il 20017 e il 2015.

Per essere ancora più chiari, nessun altro indicatore economico ha subito una riduzione maggiore. E la disaggregazione dei dati per settori chiarisce bene che sono proprio i settori industriali di punta a far segnare le contrazioni più macroscopiche: i mezzi di trasporto, in flessione del 49,3% (-12,4 miliardi, nonostante la forte ripresa delle vendite di auto negli ultimi due anni), i fabbricati non residenziali, con un calo del 43,5 (-44 mld). Mentre investimenti in crescita sono stati registrati solo per le telecomunicazioni (+10,2%) e le attività riconducibili alla ricerca e sviluppo (+11,7%). Unico “segnale positivo” la modestissima rirpesina del 2015, in cui gli investimenti totali sono saliti di 2 miliardi (meno dell'1% in più rispetto al 2014).

Un tempo, quando “i privati” smettevano di investire, entrava in campo “il pubblico”, ossia lo Stato, che aumentava gli investimenti (anche combinando qualche casino clientelare, ovviamente) per mantenere a galla la nave-paese. Con i trattati europei,. Improntati all'ordoliberismo tedesco, questa azione “compensativa” non è più possibile. E infatti le amministrazioni pubbliche hanno ridotto il loto contributo agli investimenti appena meno dei privati (-28,2% le prime, il 31,5 i secondi). E altrettanto hanno ovviamente fatto le famiglie consumatrici (-27,5), mentre solo una piccola riduzione hanno fatto registrare le società finanziarie (-3,5). E stiamo parlando di riduzioni “in termini reali”, senza oscillazioni inflazionistiche o dovute la cambio.

A illustrare i dati è – non troppo paradossalmente – un'associazione imprenditoriale, la Cgia di mestre, che raccoglie piccole imprese artigianali (quelle che smettono di avere un mercato, se quelle più grandi si fermano e desertificano l'indotto).

Il loro appello, raccolto dall'agenzia Ansa, è pieno di indicazioni sul degrado che ha colpito l'attività economica in questo paese:

L'Ufficio studi della CGIA ricorda che, posto pari a 100 il totale degli investimenti nominali presenti in Italia nel 2015, il 60% circa era riconducibile alle imprese e un altro 25% circa alle famiglie consumatrici. Per la Cgia, l'ammontare complessivo degli investimenti fissi lordi reali registrai l'anno scorso (258,8 miliardi di euro) è quasi lo stesso del 1995 (264,3 mld). In prospettiva, però, le cose sembrano destinate a migliorare. Secondo quanto riportato nel Def 2016, quest'anno dovrebbe essere registrata una crescita del 2,2%, nel 2017 del 2,5, nel 2018 del 2,8 e nel 2019 del 2,5. "Gli investimenti – sottolinea Paolo Zabeo della CGIA – sono una componente rilevante del Pil. Se non miglioriamo la qualità dei prodotti, dei servizi e dei nostri processi produttivi siamo destinati a impoverirci. Senza investimenti questo paese non ha futuro. Ricordo, altresì, che le imprese contribuiscono per oltre il 60% del totale nazionale degli investimenti. Pertanto, ha fatto bene il Governo nei giorni scorsi ha mettere a disposizione 40 miliardi di interventi in infrastrutture, ambiente e turismo e a inserire nell'ultima legge di Stabilità la possibilità per le aziende di ammortizzare al 140% gli acquisti dei nuovi beni strumentali.

Tuttavia rimane un problema. Affinché le imprese e i lavoratori autonomi possano sfruttare quest'ultima possibilità, è necessario che le banche ritornino a erogare il credito. Altrimenti, le Pmi quali risorse utilizzeranno per investire visto che tradizionalmente sono sottocapitalizzate e a corto di liquidità?". Nonostante permangano molte difficoltà, rileva la Cgia, il sistema Paese evidenzia qualche segnale di ripresa. Sebbene le variazioni siano ancora molto contenute, dall'inizio di quest'anno una buona parte degli indicatori sono preceduti dal segno positivo. Rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente, nei primi 6 mesi del 2016 l'occupazione segna un +1,3% e nei primi 4 mesi di quest'anno il commercio al dettaglio ha registrato un +0,3. La produzione industriale è salita dell' 1,5. I dati riferiti al primo trimestre, invece, indicano che il fatturato dei servizi è cresciuto dell'1,5, gli investimenti dell'1,8, i consumi delle famiglie dell'1,5 e il traffico autostradale dei veicoli pesanti del 4,9. Bene anche il trend delle ore di cassa integrazione (Cigo+Cigs+Cig in deroga)che nei primi 6 mesi dell'anno è sceso del 6,5%. In controtendenza, invece, il fatturato dell'industria (-0,8% nel primi 5 mesi dell'anno), gli ordinativi (-2,5 sempre nei primi 5 mesi del 2016) e l'export (-0,4 nel primo trimestre). "Purtroppo – conclude il segretario della Cgia Renato Mason – questi dati rimangono ancora troppo fragili per rilanciare definitivamente la crescita e abbassare in maniera incisiva la disoccupazione. Con un Pil che per l'anno in corso dovrebbe crescere attorno allo 0,6-0,7%, abbiamo bisogno di ritrovare la fiducia degli investitori, introducendo delle misure importanti verso la progressiva riduzione delle tasse e rilanciare i consumi interni e gli investimenti pubblici anche in deficit, per ridare slancio a un Paese che continua a camminare con il freno a mano tirato".

Che una situazione del genere, con queste cifre disasatrose, possa essere alleviata o addirittura “rilanciata” affogando i salari è una follia economica, oltre che un'infamia sociale. I salari infatti finiiscono quasi integralmente in consumi (ben poco, ormai, va al risparmio). Ma se i consumi continuano a essere compressi, anche per gli imprenditori non c'è più tanto da zanzare…

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