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Il Sud così, lentamente, affonda…

La matematica dei sogni è l’unica che venga applicata in questo paese. Il rapporto Svimez sulla situazione dell’economia del Mezzogiorno è un’opera sempre utile, perché descrive in termini scientifici una situazione che in troppi provano ad edulcorare.

Anche lo Svimez ha bisogno di veder confermati i finanziamenti per restare un funzione, ma non per questo si lascia andare a inserire delle “previsioni ottimistiche” sull’evoluzione futura.

Ma vediamo qualche dettaglio.

Il 2016 è stato positivo per il Sud, “il cui Pil è cresciuto dell’1%, più che nel Centro-Nord, dove è stato pari a +0,8%”. Una mezza buona notizia (la crisi nel Mezzogiorno ha ovviamente fatto più danni che altrove, dunque la via del recupero è particolarmente lunga). Ma naturalmente è un bene che la discesa si sia fermata, anche se non proprio invertita (l’1%, dopo anni di segni meno, è definito in economia come “il rimbalzo del gatto morto”).

E infatti lo stesso Svimez precisa che le stime per l’anno in corso ristabiliscono la solita differenza tra i due estremi della penisola, con il Pil che “dovrebbe aumentare dell’1,1% al Sud e dell’1,4 % nel Centro-Nord”. Idem per l’anno prossimo, in cui si prevede “un aumento del prodotto dello 0,9% nel Mezzogiorno e dell’1,2% al Centro Nord”.

Ci sarebbe da diventare inclini al pessimismo cosmico, ma questo è un rischio che va eliminato subito. I media mainstream che riportano la notizia puntano infatti molto su una stima che si vorrebbe presentare come “ottimistica”, ma in realtà non lo è affatto: se il Mezzogiorno proseguirà con gli attuali ritmi di crescita, “recupererà i livelli pre-crisi nel 2028, 10 anni dopo il Centro-Nord”.

Un disastro epocale, conclude lo Svimez, aggiungendo che si configurerebbe così un ventennio di “crescita zero”, che farebbe seguito “alla stagnazione dei primi anni duemila, con conseguenze nefaste sul piano economico, sociale e demografico”.

Va aggiunto, per completare il quadro, che la proiezione di un dato congiunturale (la crescita del 2016 e quella stimata per l’anno in corso) su un periodo molto più lungo (10 anni) è molto problematica. Non c’è infatti alcuna possibilità di prevedere che questo trend biennale possa confermarsi a lungo. Anche perché il principale driver della crescita meridionale nel 2017 dovrebbe essere la sola domanda interna: i consumi totali dovrebbero crescere dell’1,2% (quelli delle famiglie dell’1,4%) e gli investimenti al Sud del 2%. Ma dipenderà dall’andamento generale sia dell’economia nazionale che dei salari, che invece risultano in rapida diminuzione per la prevalenza dei contratti precari.

Potrebbe andare meglio, certo, ma con la fuga delle attività economiche verso territori meglio dotati sul piano delle infrastrutture, è purtroppo probabile che possa andare peggio. In ogni caso, è un puro esercizio matematico. Che non può essere venduto come un “futuro più roseo”…

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