Con la presentazione dei cinque decreti delegati in materia di Codice del Lavoro, il presidente francese Emmanuel Macròn ha riscritto completamente le relazioni industriali del suo Paese ispirandosi al modello tedesco, in particolare sullo spostamento della contrattazione salariale dal sistema collettivo, di categoria, a quello aziendale. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila – ancora prima della famigerata agenda Hartz – i sindacati e le imprese tedesche firmarono accordi salariali in deroga a quelli di categoria, avviando così una moderazione delle dinamiche salariali e guadagni di produttività. I grandi gruppi come Volkswagen, Bmw, Daimler, Siemens, Bosch, Sap e molti altri siglarono intese dove a fronte di una durata legale invariata dell’orario (35 ore) e di salari congelati, d’intesa con i sindacati si poteva lavorare fino a 40 ore settimanali e oltre. Dunque più orario ma stesso salario.
Macròn, invece che un accordo tra imprese e sindacati, ha scelto la terapia d’urto istituzionale attraverso decreti delegati affinchè il dispositivo non solo non venga modificato in sede parlamentare ma entri a regime al più presto, entro la primavera del 2018.
Il passaggio in sede istituzionale di questo nuova legge sul lavoro è assicurato dalla maggioranza parlamentare assoluta di cui dispone il partito di Macròn nell’Assemblea Nazionale e dalla scelta di procedere per decreto. Al momento soltanto la Cgt, tra i sindacati francesi, si oppone alla nuova Loi de Travail confermando ieri per il 12 settembre la giornata di mobilitazione generale contro la riforma. Gli altri sindacati come Cfdt, e Force Ouvrière sembrano invece voler collaborare con il governo di Macròn, nella speranza di strappare ancora qualche concessione prima che i decreti vadano in consiglio dei ministri il 22 settembre. Per quella data è stata convocata anche una manifestazione contro la nuova legge sul lavoro del movimento popolare “France Insoumis” creato da Jean Luc Melenchon e che ha dato filo da torcere sia nelle elezioni presidenziali che parlamentari.
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