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Come la UE rallenta gli aiuti di Stato e la politica industriale

Il dibattito italiano sull’Unione Europea, il mercato unico e la moneta è profondamente intriso di ideologia, paure, ignoranza. Abituati da due decenni di “bipolarismo forzoso” a ragionare per schieramenti (due soli, tagliando le estreme e le sfumature) si è persa persino la possibilità di guardare alla realtà per quello che è.

In questo modo, se una cosa “vera” viene detta da una forza di destra, automaticamente bisogna dire l’opposto, anche se è completamente falso e dannosissimo per lavoratori e pensionati (chessò: difendere la Fornero per dar torto a Salvini). Si resta insomma ingabbiati in una contrapposizione nata tra due livelli diversi del capitale contemporaneo (piccola-media impresa e grandi gruppi multinazionali, ovvero tra chi non va oltre l’ambito economico locale-nazionale e chi si muove per il mondo guardando ai “confini” solo per trovare il trattamento fiscale migliore e il costo del lavoro più basso), senza poter nemmeno tentare di abbozzare una propria posizione come classi popolari, in base ai propri interessi.

In questo modo, soprattutto, diventa impossibile pensare il cambiamento sociale, il socialismo possibile, perché diventa “obbligatorio” schierarsi contro un nemico accodandosi all’altro nemico.

Questo eccellente lavoro dell’economista marxista greco Costa Lapavitsas, invece, smonta con grande chiarezza scientifica e politica questa “gabbia auto-inflitta” che imprigiona buona parte di ciò che resta della “sinistra”. Chiarendo anche che proprio questa auto-mutilazione intellettuale è una delle cause principali della sua riduzione a dimensioni infinitesimali.

L’esposizione di Lapavitsas si svolge a partire dalla situazione inglese creata dalla vittoria del “leave” nel referendum sulla Brexit, ma appare largamente utilizzabile anche nel contesto italiano (e francese, spagnolo, portoghese, greco, ecc, con ovvie differenze di “peso specifico” tra le economie di questi paesi) proprio perché la costruzione europea è una sola, eguale per tutti i paesi membri.

La principale differenza tra la Gran Bretagna e i paesi dell’Eurozona è appunto la moneta: Londra aveva mantenuto la sua cara vecchia sterlina, e quello che era stato interpretato come il punto debole dell’adesione della Gran Bretagna all’Unione è invece, in questo passaggio, uno dei motivi che rende più semplice, o meno traumatico, il distacco dalla Ue.

Una moneta, infatti, non è soltanto una “misura del valore”. Fosse solo questo usarne una o un’altra non farebbe differenza (come misurare in metri o yard). E’ invece anche molte altre cose, spesso determinanti per le ragioni di scambio tra aree commerciali differenti, per non dire del valore dei titoli di Stato e altre obbligazioni che risentono delle fluttuazioni di quotazione delle varie monete (essendo denominate in una moneta specifica: dollaro, euro, sterlina, yan, ecc).

Soprattutto, Lapavitsas aiuta a comprendere come la “struttura dei trattati europei” sia una forma di governance a-democratica che prescinde totalmente dalla volontà, e ancora più dai bisogni, delle varie popolazioni catturate dentro quello schema. Si sente l’eco delle parole pronunciate a suo tempo dell’ex ministro dell’economia tedesco, il terribile Wofgang Schaeuble: “non si può assolutamente permettere ad un’elezione di cambiare nulla. Perché abbiamo elezioni ogni giorno, siamo in 19, se ogni volta che c’è una elezione e qualcosa è cambiato, i contratti tra noi non significherebbero nulla”.

La concezione che sta alla radice dei trattati europei è quella del “contratto”, ossia un obbligo a comportarsi in un determinato modo a prescindere dai cambiamenti che intervengono nel tempo e che può rivelarsi, per uno o più contraenti, del tutto svantaggioso.

Ne consegue che le varie elezioni nazionali (e a maggior ragione quelle regionali, provinciali, comunali, ecc) non possono cambiare quei “trattati-contratti”, se non alle condizioni specificamente previste (l’unanimità tra i paesi dell’Eurozona o della Ue a 27, a seconda delle materie). Di fatto, ogni paese ha diritto di veto e dunque ogni cambiamento “socialmente orientato” in direzione diversa da quelle volute dai “mercati” è assolutamente impossibile. Se ne è accorta concretamente la Grecia, che per prima ha sperimentato un governo di sinistra nato per “riformare i trattati” e costretto a forza a fare l’esatto contrario.

Un’esperienza che Lapavitsas ha fatto dal vivo, come economista e parlamentare di Syriza, fino alla rottura con Tsipras e all’individuazione della necessità di “rompere con la Ue” come conditio sine qua non per fare una qualsiasi “politica economica di sinistra”.

Queste politiche non sono previste da quei trattati e dunque sono possibili solo fuori da quella struttura.

Non dovrebbe essere difficile da capire: non puoi fare il nudista su una spiaggia wahabbita, o viceversa…

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Come la UE rallenta gli aiuti di Stato e la politica industriale

Nella sinistra britannica molti cercano di minimizzare l’impatto della Brexit sostenendo il “remain” nel Mercato Unico Europeo, il che è tragicamente fuorviante. Il Mercato Unico impone molte costrizioni alla politica economica, cosa che ogni persona di sinistra dovrebbe rifiutare. L’unico modo di rompere con il disastroso paradigma del liberismo è lasciare il Mercato Unico e adottare regole e politiche radicalmente diverse.

Costas Lapavitsas è docente di economia alla School of Oriental and African Studies, dell’Università di Londra ed è un ex membro del Parlamento Greco.

da: The Full Brexit, in Brave New Europe **

 

Aiuti Statali, Mercato Unico e Organizzazione Mondiale del Commercio

Negli ultimi due anni in Gran Bretagna gli argomenti politici si sono concentrati particolarmente sugli effetti della Brexit nel commercio di beni e servizi. Tutto questo ha portato ad un dibattito pubblico piuttosto noioso poiché, in realtà, dopo decenni di liberalizzazioni commerciali a livello mondiale, eventuali cambiamenti nella posizione commerciale internazionale della Gran Bretagna difficilmente saranno il risultato più significativo della Brexit. Altre questioni politiche sono più importanti, incluse le implicazioni del Mercato Unico per le politiche industriali e gli Aiuti di Stato, che potrebbero avere risultati positivi per i lavoratori e le classi meno agiate.

Sorprendentemente, alcuni appartenenti alla sinistra hanno rappresentato la Brexit sotto una cattiva luce anche per questi aspetti. Tipici gli argomenti di Open Britain in difesa del Mercato Unico (1). Secondo Open Britain, un governo di sinistra potrebbe portare avanti le politiche industriali innovative di cui la Gran Bretagna ha bisogno, pur restando nel Mercato Unico. Supporto analitico di base a questa visione è stato dato da Tarrant e Biondi in un contributo ampiamente letto, in cui si sostiene che le leggi sugli Aiuti di Stato dell’UE sono disegnate sulla “economia sociale di mercato” della Germania e non impediranno alla Gran Bretagna la possibilità di espandere gli Aiuti di Stato (2).

Questi argomenti non sono persuasivi, il Mercato Unico certamente permette l’incremento degli Aiuti di Stato, ma lo fa in termini di compatibilità di mercato, il che è un forte impedimento alle politiche radicali perseguite dal Partito Laburista. La Brexit offrirebbe ad un Governo di sinistra numerosi ulteriori ambiti di applicazione degli Aiuti di Stato a sostegno delle politiche industriali. Infatti le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) sono generalmente più favorevoli alle politiche di sinistra per quanto riguarda gli Aiuti di Stato.

Analisi del regime di Aiuti di Stato

Pochi a sinistra non sarebbero d’accordo sul fatto che un governo radicale nel Regno Unito dovrebbe impegnarsi in una politica industriale lungimirante e audace. L’intervento industriale sarebbe fondamentale per superare l’eredità deleteria di decenni di neoliberismo e per riequilibrare l’economia secondo gli interessi dei lavoratori e dei poveri. Sarebbe necessario sottoscrivere un programma di investimenti pubblici e adottare misure per aumentare la produttività, soprattutto nelle regioni deindustrializzate come il nord dell’Inghilterra, il Galles e la Scozia. Sarebbe necessario ridurre l’arrogante presenza della City nell’economia britannica.

L’UE certamente consente la politica industriale (3), tuttavia il punto chiave della politica industriale dell’UE è essere coerenti con il Mercato Unico, sostenendo così la competizione, o semplicemente correggendo il presunto “fallimento del mercato”. Questa politica copre una vasta gamma di argomenti, compresa la cybersecurity, i diritti della proprietà intellettuale, la regolamentazione dei dati personali, i carburanti alternativi e così via. L’obiettivo è un programma di competenze che impedisca agli stati membri di sostenere le imprese considerate non remunerative e che sprecano risorse.

E’ una politica industriale molto diversa da quella utilizzata con successo in Europa nei decenni del dopoguerra o, più recentemente, nell’Asia dell’est; lo scopo allora era frenare il mercato e dirigere il capitale privato anche promuovendo “campioni nazionali”. Al contrario, l’attuale politica industriale dell’Unione Europea opera all’interno di un quadro neoliberista che evita di mettere in campo il potere dello stato contro il mercato e il capitale privato. Per questo motivo manca sia di efficacia, sia della portata richiesta da una politica di sinistra nel Regno Unito.

Questo punto può essere dimostrato per quello che riguarda gli Aiuti di Stato, componente fondamentale della strategia industriale. Per prima cosa si deve sottolineare che la Gran Bretagna spende molto meno degli altri paesi dell’UE dal punto di vista degli Aiuti di Stato (circa metà di quanto spende la Francia e un quarto della Germania, in proporzione al PIL). Il pensiero neoliberista dominante negli ultimi decenni nel Regno Unito, rappresenta gran parte dell’attuale debolezza degli Aiuti di Stato. Un governo di sinistra dovrebbe incrementare sostanzialmente la percentuale con l’obiettivo di riequilibrare l’economia. Ma qual è il quadro più propizio delle regole sugli Aiuti di Stato?

La Brexit non implica che la Gran Bretagna acquisirà piena libertà nel condurre le proprie politiche di Aiuti di Stato. La diffusione globale del neoliberismo negli ultimi quaranta anni ha significato che le regole del commercio internazionale sotto l’egida del WTO ora includono anche gli Aiuti di Stato. I membri dell’UE sono già soggetti alle regole del WTO e, dopo aver lasciato il Mercato Unico, la Gran Bretagna dovrebbe continuare ad applicarle. Ma non c’è dubbio che le regole sugli Aiuti di Stato dell’UE siano molto più restrittive rispetto alle regole del WTO, che opera ad un livello molto meno dettagliato e con meno sanzioni (4). Uscire dal Mercato Unico e rimanere all’interno delle regole del WTO aprirebbe un nuovo spazio politico per un governo di sinistra.

Per essere più chiari, le regole del WTO sugli Aiuti di Stato riguardano le sovvenzioni (supporto strettamente finanziario) tese ad aumentare le esportazioni o ridurre le importazioni. Il WTO non si occupa di sovvenzioni dirette all’economia interna che non influenza il commercio internazionale.

Con le regole del WTO è possibile avere sussidi regionali che si applicano a tutte le imprese in una regione. Inoltre, il WTO non ha un meccanismo centrale per monitorare e applicare le sue disposizioni in materia di Aiuti di Stato, che in ogni caso sono decisamente più miti. Ha un Disputes Settlements Mechanism (Meccanismo di Risoluzione delle Controversie) a cui possono essere sottoposti dei casi da parte di altri Stati membri del WTO, ma non esiste alcun meccanismo per far rispettare le violazioni delle regole sui sussidi. Il WTO ha un elenco di sussidi vietati e sovvenzioni praticabili che permettono ai Paesi denunzianti di imporre dazi compensativi dopo l’accordo.

Al contrario, le regole dell’UE sugli aiuti di Stato si focalizzano non soltanto sui sussidi, ma su qualunque intervento nei confronti dell’industria interna che possa essere interpretato come “distorsione” della concorrenza.

Generalmente le regole dell’UE permettono ad un governo nazionale di stabilire il quadro degli Aiuti di Stato, ma gli impediscono di impostare la direzione di un’industria, di un settore, o dell’economia nel suo insieme. E’ comunque possibile effettuare alcuni interventi regionali nonostante la restrizione generale dei sussidi sotto la cosiddetta regola de minimis, secondo la quale il valore delle sovvenzioni per impresa deve essere al disotto dei 200.000 euro in tre anni – somma irrisoria nel contesto britannico. L’UE permette inoltre alcune “esenzioni per categoria” da applicare a piccole e medie imprese, ricerca e sviluppo, aiuti regionali, energia rinnovabile e così via (5). Queste esenzioni sono generalmente di piccole dimensioni ed è esplicitamente richiesto che non influenzino attività legate all’esportazione. La decisione su quali siano le attività esentate è dell’UE, non del Governo nazionale.

Le regole dell’UE sono attivamente monitorate e applicate in modo aggressivo con multe che comportano il recupero finanziario di qualsiasi presunto intervento. L’ECJ (la Corte di Giustizia dell’Unione Europea) ha sempre facilitato questa pratica. Il modo di agire dell’UE fa si che i casi vengano portati all’attenzione della Commissione e dell’ECJ e a farlo sono concorrenti nazionali che hanno uno stretto interesse nel bloccare particolari forme di Aiuti di Stato.

In questo modo la politica nazionale viene anche ostacolata da interessi strettamente privati che cercano il supporto dell’UE. Certo un governo laburista che cerchi di espandere gli Aiuti di Stato all’interno del quadro dell’UE si troverebbe immediatamente invischiato in questo problema.

Ogni politica industriale radicale adottata da un governo di sinistra incontrerebbe notevoli difficoltà all’interno della struttura degli Aiuti di Stato in UE. Sarebbero ritenute sfide gli aiuti regionali, il sostegno alle banche locali, ed anche la creazione di una Banca di Investimento Nazionale. Probabilmente sarebbero intesi come una sfida anche gli Aiuti di Stato tesi alla ristrutturazione dell’economia per settori. Infine, sarebbe una sfida introdurre la proprietà pubblica, se le aziende di proprietà pubblica ricevessero un sostegno teso a prendere il posto della fornitura privata e a perseguire più ampi obiettivi politici. La struttura del WTO è più permissiva in tutti questi ambiti.

Appalti pubblici, nazionalizzazioni e Aiuti di Stato

E’ anche importante notare – sebbene ricada solo parzialmente nell’ambito degli Aiuti di Stato – che sarebbe difficile per un governo di sinistra all’interno dell’UE usare gli appalti pubblici come strumento di politica industriale. Gli appalti pubblici potrebbero far parte della politica industriale strategicamente messa in campo dal Partito Laburista per assicurare che fornitori governativi e appaltatori pubblici rispettino la legislazione sui diritti dei lavoratori e assicurino il mantenimento dei livelli di retribuzione dei lavoratori. Inoltre, agli appaltatori pubblici potrebbe essere richiesto il rispetto di regole su una più ampia responsabilità sociale.

Però questi obiettivi strategici sarebbero difficilmente compatibili con le direttive europee sugli appalti pubblici che operano proprio nel quadro di garantire concorrenza e uguale trattamento dei fornitori (6). E’ vero che l’UE riconosce la capacità degli appalti pubblici di fornire “valore sociale”, comprese le opportunità di impiego, i diritti sociali e del lavoro, inclusione sociale, questioni legate al commercio etico, la responsabilità sociale delle imprese e la promozione delle PMI (7). Ma il “valore sociale” è direttamente e strettamente associato al singolo contratto di appalto pubblico e non permette alcuna flessibilità della strategia; il che, all’interno dell’UE, renderebbe praticamente impossibile al Partito Laburista l’uso di appalti pubblici per raggiungere i propri obiettivi (8).

Il contrasto con le regole del WTO è forte. Se il Regno Unito lascia il Mercato Unico avrà bisogno di rientrare nel GPA (Accordo sugli Appalti Pubblici) come membro indipendente e dovrà seguire le sue regole anti discriminazione. Questo non impedirebbe al governo di fare richieste agli appaltatori oltre lo stretto mandato dei contratti stessi (e il loro presunto “valore sociale”). Inoltre, le regole del WTO non si applicano ai contratti al di sotto delle soglie di copertura autodeterminate di ciascun paese; né coprono le aziende private ed hanno una limitata applicabilità agli appalti ed alle concessioni della difesa (9).

Un governo di sinistra potrebbe cercare di utilizzare i contratti al di sotto della soglia, oltre all’individuazione del target delle aree con nulla o limitata applicabilità delle regole del WTO, in modo da sostenere il lavoro e le imprese locali. Inoltre, avrebbe l’opportunità di rinegoziare i termini del rientro nel GPA, incluse le soglie di copertura, potrebbe anche introdurre condizioni particolari per le Piccole e Medie Imprese come il WTO ha già fatto per altri paesi. Il Regno Unito vedrebbe aprirsi diverse opzioni per quanto riguarda gli enti pubblici e le cooperative edilizie (10). L’accordo negoziato con l’UE per “l’uscita” avrebbe un impatto significativo su queste opzioni.

In fine, le regole dell’UE sugli aiuti di Stato hanno implicazioni sulle nazionalizzazioni e le rinazionalizzazioni di alcuni servizi pubblici.

Nell’Unione Europea ci sono aziende nazionalizzate, le regole dell’UE permettono la nazionalizzazione, ma un’azienda nazionalizzata deve comportarsi come un’azienda convenzionale e non può perseguire obiettivi di politica sociale più ampi. La regola della concorrenza di mercato, il cosiddetto “principio dell’operatore di mercato”, è fondamentale per l’UE (11). Ci possono essere eccezioni, ma si deve dimostrare che nel caso specifico non esiste concorrenza, cosa praticamente impossibile nel Regno Unito.

Per un governo di sinistra che voglia riportare nell’ambito del pubblico aziende privatizzate e appalti pubblici, con l’intento di rafforzare gli investimenti, migliorare i servizi e raggiungere gli obiettivi sociali, le regole sugli Aiuti di Stato creeranno molti ostacoli, soprattutto per la consolidata prospettiva neoliberista delle istituzioni europee e delle loro probabili reazioni negative (12).

La sinistra dovrebbe cogliere l’opportunità di lasciare il Mercato Unico

La visione del Mercato Unico nella UE per il 2018 affonda le proprie radici nella tradizione della “economia sociale di mercato”, che include la protezione del lavoro e regole per il capitale privato, è fuori dalla realtà da almeno trenta anni.

Per prima cosa, la cosiddetta “economia sociale di mercato” della Germania è in realtà un mondo neoliberista con un mercato del lavoro profondamente segmentato, in cui lavoro precario e diseguaglianze di reddito sono sempre più comuni. Inoltre, il Mercato Unico è un ambito neoliberista molto restrittivo che induce all’austerity e limita la portata di una politica industriale radicale.

Il Mercato Unico si basa sulle Quattro Libertà dell’UE: la libertà di spostare merci, servizi, capitali e lavoro. Queste quattro libertà sono poi state riaffermate come libertà individuali con il Trattato di Maastricht del 1992; in questo modo si è data la possibilità alla Corte di Giustizia Europea di intervenire sistematicamente sulle politiche economiche. In questo periodo la Corte ha sistematicamente promosso il neoliberismo favorendo il capitale nei confronti del lavoro.

L’uscita dal Mercato Unico offrirebbe diversi livelli di libertà ad un governo di sinistra impegnato in riforme sociali ed economiche. Le strutture dell’UE comprendono perfettamente il pericolo in questi ambiti di un eventuale governo laburista radicale. Come confermato da fonti autorevoli dell’UE al Times of London il 7 maggio, c’è la possibilità che un governo laburista guidato da Corbyn possa muoversi proprio nella direzione che più preoccupa l’UE sulla Brexit (13).

Il referendum del 2016 ha posto il Regno Unito fuori dalla UE attraverso una decisione democratica sostenuta soprattutto dai lavoratori e dalle classi meno abbienti della Gran Bretagna. Non ci sono prove che queste classi sociali abbiano cambiato la loro prospettiva nel periodo successivo. Restano a favore del “Leave”, ma hanno bisogno di informazioni, argomenti e, soprattutto, di una leadership politica di sinistra, quella che storicamente è stata la loro voce.

Sfortunatamente, la sinistra ha trovato difficoltà a venire a patti con le realtà e le implicazioni del risultato referendario. Il suo ruolo nel conseguente dibattito pubblico è stato abbastanza debole anche perché il “Remain” ha esercitato una notevole influenza all’interno del partito Laburista.

E’ sorprendente che continuino ad alzarsi voci in favore del Mercato Unico all’interno della sinistra. Già questo dà il senso della profonda confusione sull’Unione Europea. Un governo di sinistra che accetta lo schema del Mercato Unico, renderebbe praticamente impossibile opporsi al neoliberismo distribuendo Aiuti di Stato. Al contrario, un governo di sinistra che mirasse, attraverso la politica industriale, a riequilibrare sia l’economia sia il sociale nell’interesse dei lavoratori e delle classi meno abbienti otterrebbe un considerevole spazio politico uscendo dal Mercato Unico.

La Brexit ha creato molte opportunità di opposizione al neoliberismo, ma devono essere fatte proprie dalla sinistra se si vogliono ottenere dei risultati.

Note

  1. Catherine West et al., “Busting the Lexit Myths”, Open Britain/ Labour Campaign for the Single Market, gennaio 2018
  2. Andy Tarrant e Andrea Bondi, “EU State Aid Laws and British assumptions: a reality check”, pubblicato anche come “EU law is no barrier to Labour’s economic programme”, Renewal, 22 settembre 2017
  3. Vedi, ad esempio, State of the Union 2017 – Industrial Policy Strategy: Investing in a smart, innovative and sustainable industry,18 settembre 2017
  4. Federico Mor, “EU State Aid rules and WTO Subsidies Agreement“, Briefing Paper 06775, House of Commons Library, 9 giugno 2017
  5. Claus-Dieter Ehlermann e Martin Goyette, “The Interface between EU State Aid Control and the WTO Disciplines on Subsidies“, European State Aid Law Quarterly 5(4) (2006), p.74
  6. Vedi Commissione Europea, “Public Procurement Strategy”, 3 giugno 2018
  7. Vedi Commissione Europea, “Buying Social: A Guide to Taking Account of Social Considerations in Public Procurement”, ottobre 2010
  8. Peter Smith, “Corbyn and Labour: using public procurement to achieve policy goals”, Public Spend Forum Europe, 20 aprile 2017
  9. WTO, “Overview of the Agreement on Government Procurement“, 3 aprile 2017, e Commissione Europea, “Green Paper on the modernisation of EU public procurement policy: Towards a more efficient European Procurement Market“, 27 gennaio 2011
  10. Sue Arrowsmith, “Consequences of Brexit in the Area of Public Procurement“, Studio per IMCO Committee, European Parliament, aprile 2017, e Simon Randall, “Public Procurement After the UK’s EU Departure“, Society of Conservative Lawyers, luglio 2017
  11. Lo scopo del test MEO è di valutare se lo Stato ha garantito un vantaggio ad un’impresa non agendo come operatore economico di mercato per quel che riguarda una determinata transazione. A questo riguardo, non è rilevante se l’intervento costituisca un mezzo razionale per gli enti pubblici nel perseguire politiche pubbliche (ad esempio il lavoro) … L’elemento decisivo è se gli enti pubblici hanno agito come avrebbe fatto un operatore di economia di mercato. Se non fosse così, l’impresa beneficiaria avrebbe ricevuto un vantaggio economico che non avrebbe avuto in normali condizioni di mercato, ciò lo porrebbe in una condizione più favorevole rispetto a quella dei suoi concorrenti.” Commissione UE, “Commission Notice on the notion of State aid as referred to in Article 107(1) of the Treaty on the Functioning of the European Union”, Notice 2016/C 262/01, p.18.
  12. Vedi la guida citata sopra
  13. Fear of Jeremy Corbyn-led government prompts tough EU line on Brexit“, The Times, 7 maggio 2018
  14. Harold D. Clarke, Matthew Goodwin e Paul Whiteley Brexit: Why Britain Voted to Leave the European Union (Cambridge University Press: Cambridge, 2016).

** Noi di Brave New Europe non prendiamo una posizione sulla Brexit. Se da una parte riconosciamo che ci siano molte forze negative dietro la Brexit e che il processo porterà notevoli danni economici a molte persone, dall’altra sappiamo che le politiche e le istituzioni europee riflettono una forte inclinazione neoliberista – ed abbiamo lanciato questo progetto proprio in opposizione a quanto sta accadendo. Siamo vicini alle lotte contro le istituzioni europee, ma crediamo anche nel principio di cooperazione, transfrontaliero e di coordinamento di aree diverse. A seguito di questa realtà complessa, ospiteremo articoli sia pro-Brexit sia pro-Remain.

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