Mentre firmano il trattato di Aquisgrana per tentare di ricostituire un “motore europeo” decisamente imballato; mentre continuano a dar lezioni a destra e a manca su come si gestiscono “ordinatamente” l’accumulazione capitalistica e i conti pubblici… la principale banca tedesca finisce sotto inchiesta.
Non di Bruxelles e tantomeno della Bce (che pure qualche “vigilanza” istituzionalmente, dovrebbe esercitarla), ma della Federal Reserve statunitense.
La Fed sta infatti esaminando le modalità con cui il colosso bancario tedesco ha gestito alcuni miliardi di dollari in transazioni sospette da Danske Bank, il maggiore istituto della Danimarca. Com’è noto – fuori d’Italia, perché qui si preferisce fare gli “allievi diligenti” di Berlino, in molte redazioni – questo caso riguarda il maggiore scandalo europeo sul riciclaggio di denaro dalla Russia.
Il colpo americano arriva mentre Db è impegnata nella complicata chiusura del bilancio 2018 (mica è uno Stato membro della Ue, se la può prendere con calma…) e, contemporaneamente, nella progettata fusione con l’altra “grande malata” della finanza germanica, Commerzbank. Un’operazione che persino la Bce non vede di buon occhio ma, come si dice, “chissenefrega, siamo tedeschi e non obbediamo neanche alle regole che abbiamo scritto noi”.
Dal punto di osservazione statunitense, invece, il problema è serissimo, visto che Washington non permette che società operanti anche sul proprio territorio abbiano rapporti d’affari con paesi sottoposti a sanzioni (ne sa qualcosa la “capa” di Huawei, accusata di rapporti con l’Iran).
Danske Bank è sotto indagine da qualche mese per le transazioni sospette che si sono verificate nella filiale di Tallin, in Estonia. Quasi 150 miliardi di dollari provenienti dalla Russia sarebbero infatti passati di lì e poi gestiti dalla filiale statunitense di Deutsche Bank. Nel caso c’è un “pentito” molto importante, a conoscenza di molti dettagli:
Howard Wilkinson, ex capo della divisione trading della filiale di Tallin.
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