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La strategia industriale del Ministro tedesco Altmaier

Bene ha fatto Pasquale Cicalese,  su Contropiano del 7 febbraio, a richiamare l’attenzione sul documento del Ministro tedesco dell’Economia e dell’Energia, Peter Almaier, sulle modalità di difesa e crescita dell’industria a livello nazionale e dell’Unione Europea (UE), perché  con esso  si vuole segnare un cambio di passo delle politiche industriali ‒ in Germania ma, sottolineo, anche nell’UE.

Le prime righe dell’articolo di Cicalese possono però indurre in una valutazione erronea delle politiche proposte da Almaier, perché si suppone che venga proposta una linea di intervento dello Stato alla Mazzucato, cioè di uno Stato come strumento innovatore dell’economia e garante del welfare.

Nell’articolo si precisa, nel seguito, che si vuole promuovere una politica di difesa e crescita dei campioni tedeschi ed europei. Credo, tuttavia, che una lettura più attenta del documento vada condotta, anche in relazione a quanto le altre associazioni industriali vanno sostenendo per evitare che l’UE ostacoli lo sviluppo di grandi gruppi transnazionali, come sta accadendo con la fusione tra Alstom e Siemens nel campo ferroviario, bloccata dalla Commissione UE perché lesiva dei principi della concorrenza.

Cosa propone Almaier con la sua ‘Strategia industriale nazionale 2030. Linee-guida per una politica industriale tedesca ed europea’? Certo non di infrangere i principi dell’economia sociale di mercato, costruita sotto la guida dell’ordoliberista L. Erhard, che mette la concorrenza al centro del sistema del mercato per spronare le imprese all’incessante innalzamento della competitività.

Nella Premessa Almaier sottolinea la contrapposizione dell’economia sociale di mercato all’economia di piano, e più volte richiama che lo Stato solo eccezionalmente deve intervenire nei processi economici,. Infatti si giustificano interventi da parte dello Stato perché sono in corso ‘mutamenti profondi’ sul mercato mondiale. Questi mutamenti si manifestano nell’accelerazione della globalizzazione e al contempo nell’entrata in campo degli Stati per sostenere le proprie imprese sui mercati globali. Per questo è necessario fronteggiare le ‘nuove sfide globali’ nei campi delle tecnologie innovative e in quelli strategici tradizionali (come i settori della meccanica e  della chimica).

Tuttavia avverte il ministro tedesco dell’Economia che ‘noi abbiamo bisogno di più economia di mercato, non meno’, dunque per lui si tratta di sostenere le imprese nelle loro capacità innovative e competitive. Lo Stato e l’UE non devono intervenire per promuovere nuovi campi di investimenti o nuovi modi di produzione, essi devono concertarsi con ‘gli attori dell’economia’ per elevare le loro competenze tecnologiche e la loro capacità competitiva, con l’obiettivo di innalzare la quota dell’industria al PIL, in Germania, dal 23% al 25%, nell’UE dal 16% al 20%.

È  necessario l’intervento delle istituzioni pubbliche, tedesche, ed europee (ripeto), perché gli USA perseguono la politica dell’America first con interventi  di protezionismo e di contrasto della diffusione delle tecnologie innovative attraverso la guerra dei brevetti e del blocco delle acquisizioni da parte della Cina; a sua volta, la Cina punta con il programma di sviluppo traguardato al 2025 a un salto tecnologico delle proprie produzioni industriali attraverso lo sviluppo della conoscenza, joint-ventures e acquisizioni di imprese occidentali. La Germania e l’UE sono minacciate nei nuovi campi dell’economia delle piattaforme, dell’Intelligenza Artificiale, delle biotecnologie e della digitalizzazione, così come nei tradizionali settori dell’automotive, della farmaceutica (e chimica in generale), dell’elettronica, dell’industria elettrica e meccanica.

La Germania si è fatta capofila dell’Industria 4.0, con lo scopo di promuovere la nuova organizzazione produttiva fondata sulla fusione di Internet e macchine, ma ciò non basta a difendere la ‘sovranità industriale e tecnologica’ in un sistema produttivo in cui la competizione è su scala mondiale.

A dimostrazione di questa possibile perdita di ‘sovranità industriale’, il documento del Ministero dell’Economia cita proprio l’automotive,  tradizionale campo in cui le imprese tedesche e UE primeggiano, primato che presto potrebbe essere intaccato se la guida autonoma venisse sviluppata solo negli USA e le batterie per l’auto elettrica venissero prodotte dalla Cina. A quel punto le produzioni europee di auto conoscerebbero un tracollo.

Come rispondere alla sfida dei campioni USA e cinesi? Sviluppando i campioni europei, perché la dimensione conta – e nel documento lo si scrive oltre che in tedesco in inglese, a sottolinearne l’importanza.

Per avere grandi campioni europei devono però cambiare le politiche antitrust tedesche e soprattutto europee che impediscono le fusioni. Su questo punto convergono gli industriali europei, e a dimostrazione ricordo che da tempo la Confindustria chiede di rivedere le regole UE. È proprio del 7 febbraio un articolo di Marcella Panucci, direttore generale, e di Antonio Matonti, degli Affari legislativi di Confindustria, in cui si chiede che l’Europa, cioè l’UE, diventi un ‘attore geopolitico nello scacchiere mondiale’ al fine di ‘favorire la nascita o lo sviluppo di imprese  in grado di competere con le concorrenti americane, cinesi o indiane’.

Ciò richiede modifiche delle regole europee, la prima delle quali deve essere il cambiamento del parametro per individuare il ‘mercato rilevante’ ai fini di stabilire il grado di monopolio esercitato da un’impresa. Il ‘mercato rilevante’ non è più quello europeo dei Trattati di Roma del 1957, ma il mercato globalizzato del XXI secolo, mentre Bruxelles si oppone alla nascita di ‘campioni globali’ perché hanno in mente solo il mercato interno UE.

Analogamente al ministro tedesco, Panucci chiede agli Stati e all’UE di utilizzare anche quote di partecipazione pubblica nelle imprese private per impedire i take-over da parte di imprese cinesi o statunitensi. Non è lo Stato-interventista quello di Almaier e di Panucci, è una chiamata di soccorso agli Stati perché sostengano le imprese private nella competizione globale, non per regolamentare e orientare il mercato nazionale ed europeo, bensì per consentire alle imprese UE di rimanere forti nei mercati globali.

* Piattaforma Eurostop

 

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