Ancora un testo molto informativo che mettiamo a disposizione dei nostri lettori. Soprattutto di quei compagni – sempre meno, per fortuna – che ancora pensano all’”Europa” come una sintesi di Erasmus e libertà di viaggiare, senza mai riuscire a vedere l’osceno meccanismo economico-giuridico-semistatuale che toglie ricchezza ad alcune figure sociali (e anche ad interi paesi) per consegnarle nelle mani dei mercati finanziari e delle imprese multinazionali, oltre che di alcuni Stati nazionali “forti”.
Si tratta di una precisa ricostruzione storica ed economica degli ultimi 30 anni, a far data dalla caduta del Muro e dalla riunificazione della Germania.
L’autore dovrebbe essere ormai noto anche dalle nostre parti, visto che ospitiamo spesso i suoi editoriali impietosi. Scrive per Milano Finanza e Teleborsa, chiaramente due testate specialistiche e piuttosto fuori dal ventaglio delle letture abituali “a sinistra”.
Eppure, o forse proprio per questo, l’ideologia non appanna affatto l’analisi. Interessi, profitti, numeri, distribuzione dei vantaggi, non sono materia su cui si possano spargere lacrime e cortine fumogene. Quelli sono, e i fatti – dicono gli inglesi – hanno la testa dura…
Il quadro che emerge è molto meno idilliaco di quanto raccontato nelle narrazioni europeiste, e nel vien fuori un film di guerra – in senso stretto – in cui qualcuno vince (Berlino, naturalmente) e qualcuno perde tantissimo (l’Italia, per chi si sa fare due conti nelle tasche).
La cosa più sorprendente, per chi non ha seguito con ostinazione la costruzione della gabia Ue, è che questa rapina mostruosa è avvenuto con la gioiosa compartecipazione della nostra classe politica e anche dell’imprenditoria italica, ansiosa di togliersi dagli impicci della produzione e potersi infine dedicare alla coltivazione della rendita finanziaria.
Per i dettagli, buona lettura…
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Germania-Italia: in conflitto da trenta anni
Le guerre moderne non si combattono più con i cannoni.
Questi ultimi, noi Occidentali, ormai li vendiamo ai Paesi poveri, affinché i loro popoli si scannino senza pietà.
In Occidente, si combattono sul piano dell’economia, della finanza, e soprattutto con le regole imposte attraverso gli accordi internazionali.
1989 – LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO FU LA PRIMA RIVINCITA TEDESCA.
Esattamente trenta anni fa, nel 1989. La Germania era stata divisa in due: la Repubblica federale tedesca con capitale a Bonn, sotto il controllo di Usa, Gran Bretagna e Francia; la Repubblica democratica tedesca con capitale a Pankow, sotto il tallone dell’URSS. Per oltre quarant’anni, l’occupazione militare dei vincitori era stata la punizione, con la perdita della sovranità nella condotta interna e negli affari internazionali.
Gli Usa, con Ronald Reagan, decisero di mettere alle strette l’URSS: mai come allora la pressione americana per abbatterla fu così forte. Riunificare la Germania, sotto il controllo occidentale, era la strategia per far cadere la Cortina di ferro, sfruttando il diffuso malcontento che spirava nei Paesi dell’Est europeo, aderenti al Patto di Varsavia. Dopo la rivolta di Budapest del ’56, e quella di Praga del ’68, c’era Varsavia che guidava la rivolta di Solidarnosch, guidata da Lech Walesa con l’appoggio politico e finanziario degli Usa e del Vaticano. Anche il Papa Giovanni Paolo II, al secolo Karol Józef Wojtyla nato il 18 maggio 1920 a Wadowice in Polonia, voleva la caduta della dittatura comunista, per riportare la libertà religiosa.
Nel 1984, il Papa polacco aveva deciso di consacrare la Russia al Cuore Immacolato di Maria, per dar seguito al mistero di Fatima, secondo cui Mosca sarebbe finalmente tornata a Cristo con la caduta del Comunismo.
Per l’Occidente, il Comunismo era il nemico da abbattere, in qualsiasi modo.
La caduta del Muro di Berlino, e l’annessione della Germania Orientale da parte occidentale, era solo il primo passo per disgregare il blocco sovietico, e così fu.
L’illusione era di conquistare la Russia, prendendo in mano tutte le sue immense risorse minerarie: doveva esser fatta a pezzi, resa ingovernabile, e comprata per un tozzo di pane. Questo era il disegno americano; annichilirla dal punto di vista geopolitico, militare, economico.
La Germania riunificata era solo la mossa di partenza. E Bonn, per prepararsi alla Riunificazione, intanto accumulava risorse finanziarie, senza fare la locomotiva d’Europa, come pure avrebbero voluto gli americani. Caduto il Muro, servivano risorse immense per reindustrializzare l’est: partì la più grande operazione di privatizzazione delle industrie di Stato della Germania democratica, che furono acquisite per un tozzo di pane. Per acquisire risorse sui mercati finanziari internazionali, la Bundesbank alzò i tassi di interesse ad un livello inusitato, mentre si decise di cambiare alla pari i marchi orientali con quelli occidentali.
1992 – FU UNA CATASTROFE, BEN ORGANIZZATA, TRA BERLINO E WASHINGTON: mentre i capitali italiani volavano in Germania, provocando la caduta del cambio della lira, la speculazione internazionale guidata da Soros si aggiunse, per mascherare tutto e stendere un velo pietoso.
Gli Usa dovevano appoggiare il piano tedesco, per dominare una Europa che puntava all’ampliamento a Nord-Est: così facendo, intanto sgranavano lo Sme, che già allora voleva fare blocco contro il dollaro. Presero così due piccioni con una fava, indebolendo la strategia che avrebbe portato alla moneta unica e rafforzando il disegno geopolitico che puntava sulla Germania per sbriciolare il Patto di Varsavia e l’URSS.
Berlino aveva bisogno di risorse, e soprattutto di indebolire l’Italia, che era la concorrente industriale più agguerrita. L’Attacco alla lira, che culminò con la svalutazione ed una profonda recessione, era quello che serviva. Le manovre correttive del Governo Amato piegarono l’economia italiana, ma soprattutto gli alti tassi di interesse, necessari per bloccare la fuga di capitali in Germania, ebbero un effetto drammatico sul debito pubblico. Questo crebbe ancora, dopo la follia del Divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, deciso all’inizio degli Anni Ottanta. Era fatta, con l’Italia in ginocchio, ma era solo il primo tassello.
La seconda rivincita tedesca avvenne con il Trattato di Maastricht, che entrò in vigore il 1° gennaio 1993: oltre alle famosa regola sul limite del 3% al deficit pubblico, c’erano due pillole avvelenate. La prima era il divieto di qualsiasi sostegno delle Banche centrali agli Stati, e la seconda era il divieto di aiuti di Stato alle imprese. La Germania estese a tutta l’Europa la costituzione monetaria che le era stata imposta dalle Forze Alleate dopo la Guerra.
Per l’Italia, che aveva le grandi imprese concentrate nelle Partecipazioni Statali, fu un massacro: i Fondi di dotazione con cui venivano rimpolpati ogni anni i loro capitali, servivano per fronteggiare i maggiori oneri per interessi e per procedere allo sviluppo degli investimenti. Inutile ricordare che mentre in Italia il Fascismo lasciò fallire le imprese private colpite dall’onda di recessione che seguì la crisi finanziaria americana del ’29, portando poi alla nazionalizzazione di quello che ne rimaneva, il Nazismo supportò in ogni modo il capitalismo industriale e finanziario privato tedesco. Nessuna impresa o banca tedesca fu lasciata fallire dal Fuhrer, che in ogni modo sostenne l’occupazione dopo le follie recessive decise dal Cancelliere Bruning, che portarono la disoccupazione tedesca ad oltre 4 milioni di unità.
La conseguenza del Trattato di Maastricht, per l’Italia, fu lo smantellamento dell’industria e delle banche pubbliche. Il Patto Andreatta-Van Miert, l’allora Commissario europeo alla concorrenza, fu una lapide.
Tutto venne svenduto in malo modo, nel tripudio degli eredi della classe dirigente italiana che pensava di riprendersi tutto a mezzo secolo di distanza, per un tozzo di pane. Non avevano soldi né per comprare né per investire: fu un massacro.
Guarda caso, nel Trattato di Maastricht la Germania fu esonerata dal divieto di aiuti di Stato per la ricostruzione dei Lander orientali: per noi, il danno e la beffa. I tedeschi utilizzarono la ex-Germania orientale come miniera di occupazione a basso costo.
2000 – L’EURO E’ STATA LA TERZA RIVINCITA TEDESCA.
Il Presidente francese Francois Mitterand era terrorizzato dalla prospettiva di una Germania riunificata, che avrebbe continuato a fare il comodo suo con la politica monetaria, come era successo nel periodo a partire dal 1989. Pensò che togliere il marco alla Germania sarebbe stata la soluzione migliore. Peccato che la BCE avrebbe avuto sede a Francoforte e che il suo Statuto sarebbe stato identico a quello della Bundesbank: con un unico obiettivo, la stabilità della moneta.
Con l’euro, nessuno avrebbe più potuto svalutare la propria moneta rispetto al marco, riconquistando competitività internazionale dopo aver fatto lievitare i prezzi interni con l’inflazione, con una dinamica superiore a quella dei tassi di interesse nominali, e così avvantaggiando gli imprenditori ed i debitori rispetto ai rentier creditori. Si mise così la parola fine su un modello di crescita economica che aveva dato prosperità a tutta l’Europa.
La Germania, dopo la Riunificazione, è cresciuta solo drenando risorse finanziarie dagli altri Paesi, ed indebitando il resto del Continente. E’ una crescita marcia, che ora mina la solidità delle sue banche, che investono in asset esteri ad alto rischio.
2012, LA FOLLIA DEL FISCAL COMPACT.
Dopo la crisi americana del 2008, la Germania ha rischiato di perdere tutti i crediti accumulati verso la Grecia e la Spagna: ha imposto misure draconiane con il Fiscal Compact che stanno portando l’Unione europea al disfacimento. E’ roba di questi mesi, che ormai tutti conoscono perfettamente.
Il modello di crescita tedesco è squilibrato per definizione: vive sul debito altrui, che deve ampliarsi ogni anno di più, accumulando attivi commerciali. Una follia.
Prospera sul terrore che salti in aria il debito italiano: lo spread è la clava con cui si arricchisce, pagando il suo debito pubblico un’inezia. Sarebbe un porto sicuro, rispetto al pericolo di fallimento degli altri.
* Editorialista di Teleborsa
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