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Il Venezuela reagisce bene alle sanzioni sul petrolio

Se il mondo se ne fotte delle sanzioni dichiarate dagli Stati Uniti ogni paese diventa più libero e meno povero.

La notizia che arriva dall’agenzia Reuters è di quelle che aiutano a comprendere meglio come si sta trasformando geopoliticamente il mondo.

Il Venezuela ha esportato petrolio a marzo per un milione di barili al giorno. Non è una grande cifra, per il paese che ha le maggiori riserve conosciute di greggio, ma segna comunque una stabilizzazione della produzione e dell’export dopo il crollo del 40% registrato a febbraio, nel momento più intenso del tentativo di golpe incentrato sulla figura del fantoccio Juan Guaidò.

Mai come questa volta il gioco è stato scoperto: le sanzioni sul petrolio venivano giustificate proprio con la volontà di immiserire al massimo il paese e creare così le condizioni perché i golpisti potessero avere consensi maggiori.

Non ha funzionato sul piano politico e sociale interno, ma non ha funzionato neppure su quello del disciplinamento dei paesi che avevano fin lì intrattenuto rapporti commerciali con Caracas.

Le esportazioni di marzo di 980.355 barili al giorno (bpd) di greggio e carburante sono state solo leggermente inferiori alle spedizioni di febbraio di 990.215 bpd.

Le restrizioni statunitensi alle esportazioni venezuelane si intensificheranno ulteriormente a maggio, quando scadrà il periodo di proroga per gli acquisti di liquidazione per gli importatori di petrolio venezuelano che utilizzano le filiali statunitensi o il sistema finanziario statunitense per le transazioni.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sta inoltre preparando nuove sanzioni per le società di altri paesi che intrattengono relazioni commerciali con il Venezuela.

Ma qui si viede anche il limite che questa offensiva sta incontrando. La maggior parte delle spedizioni di petrolio in febbraio e marzo erano infatti destinate all’Asia, mentre – fino alle sanzioni – gli Stati Uniti erano il maggiore acquirente di greggio del Venezuela. E quindi erano in grado di “pesare” moltissimo anche da soli.

Ma, passata la buriana, la produzione di greggio si è stabilizzata e punta ora a crescere conquistando nuovi “clienti”. Tanto da soprendere anche alcuni esperti del settore.

Considerando il nuovo insieme di sfide che si sono verificate sul giro di PDVSA, siamo rimasti sorpresi nel vedere un rimbalzo delle esportazioni tra i blackout di energia a livello nazionale“, ha dichiarato Samir Madani, co-fondatore di TankerTrackers.com, un servizio che traccia le spedizioni e lo stoccaggio di petrolio. Secondo le stime di TankerTrackers, infatti, le esportazioni erano scese sotto i 650.000 barili al giorno durante i blackout provocati da agenti degli Stati Uniti.

E la risalita delle esportazioni è riuscita nonostante due interruzioni di corrente a marzo che hanno causato la chiusura di Jose Port, il più grande terminal del paese, per almeno sei giorni interi.

La PDVSA è stata in grado, tuttavia, di compensare i ritardi causati dai blackout caricando navi più grandi destinate all’Asia. I dati di spedizione mostrano che l’azienda intende fare lo stesso di nuovo ad aprile.

I carichi inviati in India, Cina e Singapore – un hub per lo stoccaggio e la riesportazione – hanno costituito il 74% delle esportazioni totali a marzo, rispetto a quasi il 70% di febbraio.

Al contrario, le esportazioni verso l’Europa hanno rappresentato il 17% del totale, contro il 22% del mese precedente.

La PDVSA ha anche continuato a esportare petrolio verso Cuba. Almeno sette piccoli carichi sono stati inviati dai suoi porti a marzo, per un totale di 65.520 bpd di greggio e carburante.

Vero è che la produzione petrolifera venezuelana aaveva raggiunto i 3 milioni di barili al giorno, ma l’aggressione, i sabotaggi pilotati e la conflittualità interna incentivata dagli Usa hanno nel tempo ridotto di molto la princiapale fonte di reddito del paese.

Ma chi è che continua ad acquitsare il greggio venezuelano? L’India è stata ancora una volta la principale destinazione per le esportazioni a marzo, con un terzo delle merci totali inviate alle raffinerie gestite da Reliance Industries e Nayara Energy.

Le importazioni statunitensi di petrolio venezuelano sono invece scese a zero da metà marzo a causa di sanzioni, secondo la US Energy Information Administration.

Ma la principale società destinataria dei barili venezuelani lo scorso mese è stata la China National Petroleum Corp (CNPC) e le sue sussidiarie con circa 234.000 barili al giorno, seguito dalla russa Rosneft, che ha ricevuto 214.000 barili al giorno. Ma sono arrivati anche nuovi clienti, tra cui le società commerciali Sahara Energy e MS International.

Rosneft ha aumentato la sua quota di spedizioni petrolifere venezuelane dopo le sanzioni, principalmente per la rivendita ai raffinatori.

Rosneft ha anche incrementato le forniture di carburante raffinato in Venezuela. Il Venezuela ha importato 184.500 bpd di carburante il mese scorso, con la porzione più grande fornita dalla compagnia russa, seguita dai carichi inviati da Reliance e dalla spagnola Repsol.

A seguito della pressione degli Stati Uniti, Reliance si è rivolta alla vendita di carburante in Venezuela dall’India e dall’Europa per eludere le sanzioni.

Insomma, il padrone del mondo non comanda più come prima. Neanche nell’ex “cortile di casa”…

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