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Il filo che lega tutti i lavoratori tra loro

La paura maggiore è trovare gli scaffali dei supermercati vuoti. Privi di pasta, di cime di rapa, di zucchine, di carote, cetrioli, mele, pomodori, latte, mozzarelle, pollo, uova, pane.

Quando, dopo una o due ore di fila, li trovo pieni, la sorpresa è immensa.

Nell’imbarazzo ringrazio tutti, la cassiera, le signore al banco del pane e dei formaggi, ringrazio persino la guardia che mi ha misurato la temperatura.

E mi sento un po’ in colpa. Sono come me. Sono lì per me. Mi consola il pensiero che anche io faccio la mia parte. Questa è la verità dei lavoratori, la forza della divisione del lavoro, la coscienza di classe.

Nell’agricoltura, nei campi, nella pesca, in Italia lavorano poco meno di 1 milione di lavoratori (919 mila a fine 2017, pari al 3,7% degli occupati in Italia – ISMEA). Nel 2016, nel 2017, nel 2018, il saldo della bilancia agroalimentare italiana è stato positivo (ISMEA). Il 3,7%  della forza-lavoro è riuscito a dare da mangiare a tutti gli italiani.

Ciò non significa che questi lavoratori hanno prodotto in Italia tutto ciò di cui avevamo bisogno. Essere in pareggio con la bilancia non vuol dire essere autarchici. Per esempio, produciamo più vino di quanto ne consumiamo – molto di più -, la parte eccedente, per quasi 6 miliardi di fatturato, la esportiamo (2018 – ISMEA). Esportiamo ortaggi e frutta fresca, e riso. Importiamo pesce, carne, oli.

Gli Stati Uniti, da soli, assorbono il 10% di tutte le nostre esportazioni. Nel 2019 dagli USA abbiamo importato bevande per 227 milioni di euro, e prodotti della pesca e dell’agricoltura per 927 milioni. E di ciò dobbiamo ringraziare i contadini americani, e gli imprenditori agricoli americani, che non hanno la faccia anonima delle grandi società di distribuzione alimentare. Ma hanno la faccia di Jack Hamm, del Lima Ranch di Lodi, California.

Jack munge 1000 mucche. Con i suoi 1.200 allevamenti la California è il maggior produttore di latte degli USA. In questo periodo, dice Jack, nei supermercati alcuni scaffali sono vuoti, ma di latte, nelle fattorie, ce n’è in abbondanza, e il prezzo è crollato. Siamo costretti a versarlo nei campi.

Il confinamento, si legge sul San Francisco Chronicle, ha causato un cambiamento sismico in ciò che la gente compra e mangia, e le reti di distribuzione non hanno tenuto il passo. Di conseguenza, alcuni prodotti alimentari non arrivano dove devono arrivare.

La chiusura dei ristoranti, delle mense scolastiche, delle mense dei lavoratori ha costretto i distributori a passare dai mercati all’ingrosso a quelli al dettaglio. Nuovi imballaggi e nuovi prodotti si rendono necessari.

Per adesso non c’è un vero problema nell’offerta di prodotti agricoli, il vero problema è nella distribuzione. L’emergenza non ha toccato tutte le aziende allo stesso modo. Alcune hanno approfittato del panico di accaparramento e hanno avuto picchi della domanda. Le uova, per esempio, hanno subito un incremento di prezzo.

La gente resta a casa e prepara dolci e torte. Ma per frutta e verdura fresca, metà delle quali va ai ristoranti e alle mense scolastiche, è un problema. Fragole, mirtilli e limoni, raccolti proprio in questo periodo dell’anno, sono stoccati in magazzino, ma i coltivatori ritengono che una parte della produzione potrebbe rimanere sui campi ad appassire.

In questo periodo, in California, le persone cucinano più pasti a casa, comprano più carne di manzo. Ciò ha portato a un aumento della domanda, in particolare per gli hamburger. Ma la domanda di tagli di fascia alta è calata, a causa della chiusura dei ristoranti. Stesso discorso per il consumo di vino di qualità.

Il settore lattiero-caseario potrebbe subire le perdite più pesanti. La sua rete di distribuzione è molto rigida. Il latte entra nella produzione di altri prodotti alimentari, i quali, senza cambiamenti infrastrutturali importanti, rischiano di non essere prodotti nelle nuove condizioni.

Le grandi catene della ristorazione, dice Anja Raudabaugh, AD del gruppoWestern United Dairies, usano una grande quantità di burro e formaggio, distribuito in barili da 18 e 36 chili. Non puoi presentarti nei piccoli negozi con queste confezioni, dice Anja.

I camionisti sono stati autorizzati a guidare per più ore, contribuendo così a reindirizzare il latte lungo nuove linee di rifornimento. Ma ciò non risolve tutti i problemi. La filiera è lunga, rigida e complessa, e non si trasforma in poco tempo. Per distribuire il burro nei supermercati, occorrono confezioni da 250 grammi, e queste confezioni devono essere ordinate, prodotte e consegnate.

Per far arrivare una partita di imballaggi di plastica dal porto di Shenzhen a quello di Long Beach occorrono più di 200 comunicazione tra brokers, governi, autorità portuali e armatori. Il blockchain potrebbe ridurre i passaggi e accelerare le consegne, ma ci sono resistenze alla sua adozione.

Il pensiero ritorna sempre ai lavoratori nei campi. In California ci sono 400 mila lavatori agricoli. Le ultime mani ad aver toccato il prodotto prima che il consumatore lo metta in bocca – dice Armando Elenes, segretario della United Farm Workers of America –  sono le mani di un lavoratore agricolo. Tutti ci dobbiamo preoccupiamo di ciò che accade a questi lavoratori. Ci dobbiamo preoccupare della loro salute, del loro reddito, della loro residenza.

Non è semplice rialzarsi da uno shutdown. Ogni forza deve essere ricomposta con quella degli altri lavoratori.

Un filo lega tutti i lavoratori tra loro. Seguendo questo filo si trova la lotta di classe e il socialismo.

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