Italia: 10 anni fa il referendum tradito
Nella Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day), ricorrenza istituita dalle Nazioni Unite nel 1992, da pochi giorni trascorsa, sarebbe stato bene ricordare che, in barba ai più elementari principi democratici, il risultato del referendum del 2011, in cui la maggioranza degli italiani votò a favore dell’acqua pubblica, è stato praticamente ignorato dai partiti che si sono avvicendati tanto alla guida dei governi nazionali quanto a quella dei governi locali.
Nella consultazione popolare del giugno 2011, il 54% degli elettori votò contro la privatizzazione del sistema idrico ma da allora ad oggi la situazione è praticamente la stessa, con qualche eccezione come Napoli e Reggio Emilia.
La promessa “nessun profitto” non solo non solo non è stata mantenuta, ma secondo chi ha analizzato i bilanci dei gestori del servizio, i Piani d’Ambito (strumenti di pianificazione dell’intero territorio e per l’intero periodo di affidamento del servizio) e le tariffe applicate negli ultimi anni, è stata abbondantemente tradita. Gli enti locali – il soggetto pubblico – mentre sono azionisti delle società per azioni “partecipate”, allo stesso tempo, dovrebbero svolgere anche funzioni di “ente regolatore”.
E così, mentre il controllore ed il controllato, allegramente, coincidono, le aziende municipalizzate, convertitesi in Società per Azioni, si comportano come un qualunque privato a caccia di profitti, sebbene, continuino ad infarcire i Consigli di Amministrazione di servi di partito e di amici degli amici i quali, oltre ai lauti stipendi, incassano anche i dividendi.
Dal 2009 al 2019, le tariffe del servizio idrico sono aumentate di oltre il 90% a fronte di un incremento del costo della vita del 15%. Ciò, mentre i bilanci delle quattro grandi multiutility quotate in Borsa che gestiscono anche l’acqua – A2a, Acea, Hera e Iren – tra il 2010 e il 2016 sono passati dal 58% dell’impatto degli investimenti sul margine operativo lordo al 40%.
Dunque, più utili agli azionisti e meno lavori di manutenzione straordinaria sulle infrastrutture e sulle reti idriche che, in tante zone del paese, continuano ad essere un colabrodo mentre le bollette dei cittadini sono sempre più salate.
Intanto l’acqua è già entrata in borsa
E, ciliegina sulla torta – o, se preferite, il colpo di grazia – nel silenzio generale dei media e dei politici, agli inizi di dicembre dello scorso anno, l’acqua è stata quotata in borsa per la prima volta nella storia e potrà, pertanto, diventare oggetto delle più torbide speculazioni finanziarie. Un silenzio assordante data la enorme gravità di questa notizia per l’umanità intera.
L’acqua è stata quotata in Borsa dalla CME Group, una società USA con sede a Chicago, attiva nello scambio di future e derivati, che ha lanciato il primo contratto collegato ai prezzi dei diritti sull’acqua in California. Per ora le trattazioni di futures dell’acqua si riferiscono alla disponibilità, o scarsità, di acqua in California, basandosi sui prezzi fissati da due anni dal Nasdaq Veles California Water Index (NQH2O).
Gli investitori di futures dell’acqua potranno assicurarsi sulla disponibilità di acqua in una specifica data futura a un prezzo fissato al momento dell’investimento, scommettendo contro o sulle fluttuazioni del NQH2O e tutelandosi dalle conseguenze che la siccità ha (ed avrà) sul prezzo dell’acqua in California.
Recentemente, le siccità causate dal riscaldamento globale hanno avuto un impatto devastante sulla disponibilità di acqua proprio in California, sempre più frequentemente interessata da giganteschi incendi. E nel 2020, il prezzo dell’acqua , in California, infatti, è triplicato.
La California è, insomma, un laboratorio dove si sta sperimentando la finanziarizzazione dell’acqua e proprio la natura del future come prodotto finanziario implica la possibilità di speculazioni destinate a modificare il prezzo dell’acqua per tutti.
Un allarme lanciato già nel 2012 dalle colonne di «Nature» da Frederick Kaufmann in un articolo, non a caso, intitolato “La sete d’acqua di Wall Street”. Kaufmann segnalava come i mercati finanziari, speculando attraverso i futures, abbiano già «distrutto» i mercati dei cereali di Chicago, Kansas City e Minneapolis, «trasformandoli in motori di profitto per banche ed hedge funds mentre il prezzo del nostro pane di tutti i giorni aumentava» e che, qualcosa di analogo stava per succedere anche per l’acqua.
Dunque, già otto anni fa Kaufmann individuava proprio nell’acqua la risorsa nel mirino della speculazione finanzaria: «Gli analisti finanziari percepiscono che esattamente come le altre risorse – i metalli preziosi, ad esempio – l’acqua utilizzabile in futuro sarà così poca che occorrerà estrarla dalle miniere, processarla, impacchettarla e, soprattutto, spostarla in giro per il mondo. E sanno che la domanda non se ne andrà. Sono questi i ragionamenti che incoraggiano la creazione di un futuro mercato dei futures dell’acqua globale».
L’ipotesi che un’ondata speculativa possa abbattersi sull’acqua, per le Nazioni Unite, equivale a una minaccia ai diritti umani di tutti. Il Relatore Speciale dell’Onu sul Diritto all’Acqua, Pedro Arrojo-Agudo, proprio prima che l’operazione “acqua in borsa” andasse in porto, aveva espresso grave preoccupazione riguardo la notizia che l’acqua verrà scambiata nel mercato dei “futures” della Borsa di Wall Street.
Arrojo si è detto molto preoccupato per l’equiparazione dell’acqua ad altre risorse come oro e petrolio sul mercato dei futures di Wall Street «Mentre ci sono discussioni in corso a livello globale circa i valori culturali, sociali e ambientali dell’acqua, la notizia delle contrattazioni dell’acqua nel mercato dei futures di Wall Street indica che il valore dell’acqua come diritto umano basilare è in pericolo».
Su questo tema il Forum (italiano) dei Movimenti per l’acqua ha, recentemente, lanciato una petizione in cui si legge “L’acqua è già minacciata dall’incremento demografico, dal crescente consumo e inquinamento dell’agricoltura su larga scala e della grande industria, dal surriscaldamento globale e dai relativi cambiamenti climatici. Se oggi l’acqua può essere quotata in Borsa è perché da tempo è stata considerata merce, sottoposta ad una logica di profitto e la sua gestione privatizzata”.
L’appello, non solo è contro la quotazione in borsa ma chiede anche di approvare la proposta di legge, in discussione in commissione Ambiente della Camera; di sottrarre all’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente e competenze sul Servizio Idrico e di riportarle al ministero dell’Ambiente; di investire per la riduzione drastica delle perdite nelle reti idriche; di salvaguardare il territorio attraverso investimenti contro il dissesto idrogeologico; di impedire l’accaparramento delle fonti attraverso ” l’approvazione di concessioni di derivazione che garantiscano il principio di solidarietà e la tutela degli equilibri degli ecosistemi fluviali”.
Il cambiamento climatico sta riducendo le riserve idriche del pianeta
Il cambiamento climatico in atto ha peggiorato ulteriormente una situazione di grave scarsità dell’acqua in ampie zone del pianeta. Un recente studio ha dimostrato come le montagne ed i ghiacciai di tutto il mondo non riescono più a stoccare ed immagazzinare l’acqua a causa dell’innalzamento globale delle temperature.
La conseguenza di questo fenomeno sarà una grave emergenza idrica planetaria con quasi due miliardi di persone che non avranno più alcuna disponibilità di acqua: uno scenario apocalittico che dovrebbe essere assolutamente scongiurato.
Tra India, Africa ed America centrale, almeno un quarto degli abitanti della terra sta già patendo le drammatiche conseguenze della mancanza d’acqua, un problema che è sempre più al centro di conflitti, rivolte ed eccezionali movimenti migratori.
A fronte di una popolazione globale in continua crescita e a precipitazioni sempre più scarse ed irregolari come effetto dei cambiamenti climatici, diventano sempre più lunghi i periodi di siccità e ciò sta determinando la moltiplicazione e l’inasprimento dei conflitti per l’approvvigionamento di risorse idriche.
Il dramma della mancanza d’acqua riguarda, ormai, almeno 2 miliardi di persone. Alla cronica mancanza d’acqua si aggiungono gli attacchi aerei alle infrastrutture e alla rete idrica, come è successo in Yemen, dove milioni sono rimasti senza acqua potabile o per i raccolti. Eventi analoghi sono stati registrati in Somalia, Iraq e Siria.
Tuttavia, va considerato un altro fattore che incide decisamente sulla mancanza cronica di acqua: l’uso massiccio che se ne fa in in agricoltura. Il solo settore agricolo assorbe oltre i due terzi di tutta l’acqua usata ogni anno dalla popolazione mondiale. Basti pensare che solo per produrre quanto serve per una tazzina di caffè vengono consumati 140 litri d’acqua e che un chilo di carne bovina “incorpora” 16.000 litri d’acqua.
Tuttavia, proprio la crescente scarsità d’acqua causata dal cambiamento climatico, sta spingendo i contadini di alcune aree a maggiore siccità, a ripiegare su un metodi di irrigazione alternativi e più efficienti, oltre che su mezzi per il controllo da remoto del livello di umidità in un determinato momento e in un certo luogo.
Le prime vittime della mancanza d’acqua sono i bambini
Secondo i ricercatori, entro il 2040 almeno un bambino su quattro vivrà in aree di forte criticità. Ogni bambino avrebbe diritto all’acqua e ai servizi igienico-sanitari e tuttavia, centinaia di milioni di bambini non ne hanno a sufficienza. A livello globale, in aree instabili e colpite da conflitti, 420 milioni di bambini non dispongono di servizi igienici di base e 210 milioni di bambini non hanno accesso ad acqua potabile sicura.
Secondo il Rapporto Unicef 2019 dedicato al legame tra emergenze, sviluppo e pace nelle aree instabili e colpite da conflitto, nel mondo, oltre ottocento milioni di bambini vivono in 58 aree interessate da conflitti.
I bambini che vivono in queste aree, rileva il rapporto, hanno quattro volte maggiori probabilità di non avere servizi igienico-sanitari di base e otto volte più probabilità di non avere servizi di acqua potabile di base. Nelle aree interessate da conflitti, l’acqua non sicura può essere mortale quanto e più dei proiettili o delle bombe.
In media, i bambini al di sotto dei 15 anni, che vivono in queste aree di conflitto, hanno quasi il triplo delle probabilità di morire per malattie legate all’acqua non potabile ed ai servizi igienico-sanitari piuttosto che per le conseguenze degli attacchi armati.
Per i bambini più piccoli, la situazione è ancora peggiore: quelli al di sotto dei cinque anni hanno probabilità di morire per malattie legate all’acqua ed ai servizi igienico-sanitari venti volte maggiori che sotto il fuoco dei proiettili. Secondo il rapporto dell’Unicef, entro il 2030, l’80% delle persone più povere del mondo, vivrà in Stati instabili ed interessati da conflitti. E la mancanza o l’eccessiva scarsità dell’acqua potrebbe essere sempre più centrale tra le cause scatenanti delle prossime guerre.
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