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Sui giovani insopportabile retorica. Più di milione sono già “perduti”

Più di un milione di giovani vivono in una sorta di zona grigia. Escludendo gli studenti e gli invalidi, in Italia sono 1,1 milioni gli “inattivi” sotto i trenta anni, giovani che hanno rinunciato a cercare un lavoro e non stanno investendo in formazione.

E’ un quadro più specifico di quello già noto dei Neet che estende la platea anche a chi ha meno di 18 anni e porta alla cifra di 2,1 milioni e dà la cifra anche dell’abbandono scolastico. Se agli inattivi si aggiungono infatti anche gli 800mila under 30 disoccupati (che sono popolazione attiva perché stanno cercando un impiego), si arriva al 22,2% dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia.

E’ un record europeo e un quadro che emerge dall’ultimo rapporto di Randstad Research, un centro di ricerca sul futuro del lavoro promosso da Randstad (una piattaforma dedicata), il quale ha tracciato un profilo dei giovani inattivi, analizzando le cause di questa condizione e immaginando le possibili vie d’uscita.

Questi dati collocano l’Italia al terzultimo posto fra i Paesi osservati da Eurostat, davanti alla Turchia (29%) e Macedonia del Nord (24%). Nell’Unione Europea la sommatoria di Neet e disoccupati under 30 è di quasi dieci punti più bassa rispetto a quella italiana (12,5%).

Non si è vista traccia del problema né soluzioni razionali nelle parole che Draghi e Mattarella hanno rivolto ai giovani nei loro discorsi di questi giorni. Al contrario, abbiamo sentito solo ambizioni a potenziare gli istituti tecnici industriali – soprattutto nel Meridione – sancendo di fatto sia la visione classista sulla formazione che un ruolo subalterno per il paese nella divisione europea del lavoro.

Nulla abbiamo sentito sulla continua emigrazione “intellettuale” all’estero, che perpetua la spoliazione del paese dalle risorse più qualificate per poter immaginare uno sviluppo non subordinato alle filiere produttive europee.

Ma soprattutto nessuna idea su piani straordinari per il lavoro, anche per i giovani, che sarebbe il naturale fattore di una discontinuità con un passato che ha portato al regresso sociale complessivo. Se le imprese private non creano posti di lavoro è evidente che questo buco andrebbe riempito dal settore pubblico (questo in fondo è stata la Legge 285 alla fine degli anni Settanta).

Il governo ha per ora messo in campo il GOL (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori) il piano del governo, finanziato dall’a Ue anche con il Recovery Plan con l’obiettivo di rilanciare le politiche attive per il lavoro ma che punta, in particolare, al reinserimento nel mondo del lavoro di disoccupati di lunga durata. Un decreto interministeriale è stato firmato dai ministri Orlando (Lavoro) e Franco (Economia) assegnando i primi 880 milioni alle Regioni che sono le titolari delle politiche attive per formare 660 mila occupati entro il 2022.

Per il resto, e soprattutto su questa area grigia di centinaia di migliaia di giovani esclusi, all’orizzonte non si sente e non si vede niente di concreto. Altro che palle, qui siamo davanti al “Neet Generation You”.

 

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