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Si fa presto a dire smart working…

Ieri, a TgCom24, è intervenuta l’Assessora della Regione Veneto, Elena Donazzan, e ha detto due-tre cose serie sullo Smart Working, spostando l’attenzione dall’equazione, messa in giro da Ichino, secondo cui Smarth Working = Vacanze.

Cosa ha detto l’Assessora?

Ha detto che per la Città (soprattutto per la Città), lo Smart Working non va bene. Durante il periodo in cui le persone hanno lavorato da casa, la città ha sofferto. Hanno sofferto i tassisti, i quali hanno dovuto rinunciare a un numero notevole di corse, e dunque di introiti; hanno sofferto i baristi; hanno sofferto le tavole calde e i negozi di cassabbuboli (?).

Hanno perfino sofferto i negozi di cosmetici, tipo Kiko o Douglass, perché le donne, lavorando da casa, non hanno avuto bisogno di truccarsi e agghindarsi, hanno potuto benissimo lavorare in pigiama e pantofole; hanno sofferto i negozi di vestiti, e i mezzi di trasporto; ha sofferto tutto l’indotto legato a questa macchina complessa che garantisce agli impiegati (pubblici) caffè, brioche, cappuccino, piatto unico o insalatone.

Soprattutto, ha detto l’assessora, sono mancati alla città i cancellieri dei tribunali. La loro assenza, a catena, ha determinato l’assenza dei giudici e degli avvocati, ovvero di una fetta piccola, ma dissoluta, quando si tratta di allargare il portafogli per offrire caffè, ombre e spritz.

Ora, ha continuato l’Assessore, i lavoratori devo tornare ai loro posti in ufficio, immediatamente. Non c’è ragione per distruggere le nostre belle città, non c’è ragione di rinunciare a quella quasi sovranità e libertà che le città si erano conquistate a partire dagli anni Ottanta.

Non c’è motivo di rinunciare a quel modello di libertà e ricchezza che, dopo l’esperienza delle «Freie Stadt» di Colonia, Magonza, Augusta, Worms, Strasburgo, Basilea, era tornato a rivivere dopo anni di dominio incontrastato del vecchio mondialismo industrialista & imperialista.

Questi ultimi termini li ho aggiunti io, perché l’audio dell’Assessora, tele-trasmesso con Skype, ha cominciato ad andare a singhiozzo.

Certo, non si può pensare di eliminare completamente lo smart working, ha aggiunto l’assessora. Esso dovrebbe essere limitato a quei casi certificati di effettiva necessita. Doverebbe essere consentito solo a chi ha a casa figli piccoli da accudire, genitori anziani da curare, eccetera.

L’Assessora non ha parlato di donne, non ha parlato di doppio lavoro per le donne, non lo ha potuto finire il concetto perché la connessione è caduta, ed è caduta mentre la giornalista pontificava sull’«elemento della socialità», dando per scontato che l’ignaro telespettatore (io) sapesse di cosa si parla quando si parla di (cito) Elemento della socialità.

La giornalista voleva forse alludere al fatto che «Elemento della socialità» è abbracciarsi e limonare, toccarsi e strusciarsi, sedersi sul pavimento dell’ufficio e giocare alla bottiglia con i colleghi? Oppure che socialità è parlarsi, chiacchierare, scambiarsi due parole senza impegno, eccetera? Perché per questo scopo hanno inventato le lettere scritte a penna e il telefono (e WhatsApp).

Mi viene il dubbio che dietro ‘sta storia della socialità si vuole nascondere il fatto che se si cambia il lavoro si devono cambiare anche le città; che se cambia la relazione di lavoro bisogna cambiare anche le relazioni sociali; che se cambia il lavoro bisogna cambiare l’architettura, l’urbanizzazione, la progettazione degli interni e degli esterni.

Il cambiamento delle condizioni di lavoro mette in moto un cambiamento generale che bisogna mettere in conto e sapere affrontare. Le nostre case, i bar e le edicole, i negozi di profumi, e persino le scuole, sono costruiti, se non sul modello, perlomeno in funzione del mondo del lavoro.

Una volta si diceva che l’ospedale e le scuola somigliano alla fabbrica. Eravamo negli anni Sessanta. Oggi potremmo dire, senza sbagliare di molto, che la città ha preso la forma del capitalismo finanziario. Ha la stessa arroganza, la stessa idea di senza limite e impunità (offshore) che ha la finanza.

Mi fermo qui – perché devo andare a prendere le figlie, e ci toccano i compiti delle vacanze – non prima di riportare una nota di colore della trasmissione TgCom24.

Mentre si sparavano tutte ‘ste stronzate sulla Socialità; mentre l’Assessora, in un momento di sincerità involontaria, dispensava pillole di saggezza, e la giornalista parlava di Socialità, tutti i convenuti al dibattito erano fantasticamente cintati da cornici virtuali, e collegati in tele-conferenza.

C’era persino una signora in tele-comunicazione, mentre, su un treno, in instabile immobilità relativa, si muoveva a pazzesca velocità tra una città stato e un’altra. Ma a noi, nati in fondo alla campagna, questi miracoli sociali, per cui si può stare faccia a faccia, anche muovendosi a 300 km/h, ce li devono spiegare meglio.

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