L’economia italiana cresce, negli ultimi due trimestri fa meglio di noi solo la Francia, ma siamo davanti la Germania e al resto dell’Ue, e allora tutti ad aggiornare al rialzo le stime di previsione su cui basare le prossime manovre economiche.
Suona più o meno così, per chi legge i giornali o guarda i Tg nazionali, la notizia sulla buona salute del Pil, che nella stima preliminare sul terzo trimestre prevede a fine anno una crescita maggiore della soglia psicologica del 6% (+6,1% secondo l’Istat), trainato dalla ripresa dei servizi (i più colpiti dalla pandemia, pensiamo a quelli legati al turismo) e dell’industria (che invece, neanche in piena pandemia, non si è praticamente mai fermata).
Quel che è curioso è che gli stessi organi d’informazione hanno invece faticato (eufemismo, ndr) a riportare al grande pubblico una nota diffusa sempre dall’Istat appena il giorno prima riguardo i contratti collettivi e le retribuzioni. E dire che, come si vede bene dalla foto, per chi naviga sulla home page del sito, sezione “in evidenza”, deve fare molta fatica (rieccoci) a ignorare la pubblicazione…
Il motivo è intuibile, la notizia infatti cozza con le fanfare suonate per l’operato del governo Draghi, tra “ripresa sostenuta”, legge di bilancio “espansiva” e attenzione particolare alle “future generazioni“, a cui sarebbe anche dovuto il “ritorno pieno al contributivo” (legge Fornero) in tema di pensioni.
In sintesi, l’Istat certifica che nell’anno del rimbalzo (ben diverso dalla crescita) i salari invece rimangono al palo, mentre la copertura dei maggiori contratti nazionali non arriva alla metà dei lavoratori e delle lavoratrici dipendenti del paese.
Nell’economia italiana in media l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie a settembre 2021 rispetto a settembre 2020 registra un modesto +0,7%, con picchi sopra il 2% in alcuni comparti dell’industria e dei settori finanziari (+2,7% per estrazioni minerali ed Energie e petroli o +2% per Credito e assicurazioni) e un ristagno pressoché totale in alcuni comparti del settore dei servizi (zero spaccato per il Commercio, +0,2% per Trasporti, servizi postali e attività connesse).
Discorso a parte merita la Pubblica amministrazione, anch’essa ferma ai livelli retributivi dello scorso anno e su cui grava l’incredibile dato secondo cui l’intero settore, che conta il 24% dei contratti in vigore in rappresentanza di circa 3,2 milioni di persone, è in attesa di rinnovo. Ossia, ha il ccnl scaduto.
Il mancato rinnovo colpisce metà della forza lavoro dipendente del paese. “Nel mese di settembre 2021 la quota di dipendenti in attesa di rinnovo è pari al 53,0%”, scrive infatti l’Istituto. “Mediamente, i mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto sono 28,7, in aumento rispetto allo stesso mese del 2020 (17,9). L’attesa media calcolata sul totale dei dipendenti è di 15,2 mesi, in crescita rispetto a quella registrata un anno prima (14,1)”.
Insomma, un quadro ben poco edificante per i lavoratori impiegati sul nostro territorio, che mal si sposa con le parole spese dalle forze politiche al servizio del pilota automatico europeista in sede di approvazione della manovra di bilancio, tutte tronfie di sostegno al mondo del lavoro (a proposito, che fine ha fatto il salario minimo?) e ai giovani, ma che al massimo riusciranno a tagliare le tasse alle grandi imprese, magari spacciandolo per “riduzione del cuneo fiscale”.
Se a tale quadro aggiungiamo la comunicazione sul costante aumento dei prezzi -per ironia della sorte, anche questa ben visibile sulla home page–, +2,9% a ottobre su base annua dovuta soprattutto all’aumento dei prezzi dei Beni energetici (+22,9%), dei Beni alimentari lavorati (+1,4%), dei Servizi relativi ai trasporti (+2,4%) e dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto (+3,2%), ossia tutto quello che influisce di più sul bilancio familiare, ebbene l’alleggerimento del portafogli della classe lavoratrice, già empiricamente conosciuto, trova un suo riscontro dei dati ufficiali.
Quei dati che questo governo e gli organi d’informazione al suo servizio celano, fin dove possono, all’occhio della popolazione, e, ove necessario, ne subordinano l’importanza al cospetto di altre notizie, magari a costo zero o figlie dell’irrazionalità di questa degradata società, ma sempre utili all’uopo a distrarre l’opinione pubblica.
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E Sem
Siamo solo all’ inizio! Dobbiamo competere con un mondo di schiavi dove il salario medio mensile equivale poco piu’ al costo del nostro abbonamento per vedere le “indispensabili” serie tv di oltre oceano.