I lavoratori delle piattaforme (da Glovo a Uber etc.) sono per tre quarti uomini. Sette su dieci hanno un’età compresa tra 30 e 49 anni, con i giovani tra 18 e 29 anni concentrati soprattutto nella categoria dei lavoratori occasionali. Ma non si tratta più di “lavoretti”.
Per l’80,3%, infatti, il lavoro tramite le piattaforme è una fonte di sostegno importante o addirittura essenziale, mentre per circa la metà (48,1%, pari a 274mila soggetti) rappresenta l’attività principale.
Uno su due sceglie di lavorare per le piattaforme in mancanza di alternative occupazionali (50,7%). Oltre il 31% non ha un contratto scritto e solo l’11% ha un contratto di lavoro dipendente. Si tratta, dunque, di un lavoro povero, fragile. In altri termini, di una nuova precarietà digitale.
A rivelarlo è il rapporto “Lavoro virtuale nel mondo reale: i dati dell’Indagine Inapp-Plus sui lavoratori delle piattaforme in Italia”, che ha cercato di fornire un quadro più articolato su chi sono i lavoratori delle platform work in Italia.
Le piattaforme digitali ormai somigliano sempre più a forme di lavoro rigidamente controllate da un algoritmo (nei tempi e nei modi), pagate spesso a cottimo (nel 50,4% dei casi) e il cui guadagno risulta fondamentale per chi lo esercita.
L’indagine, ampiamente riassunta sul quotidiano economico Italia Oggi, ha coinvolto oltre 45mila intervistati. Nel periodo 2020/21 i lavoratori delle piattaforme digitali sono cresciuti fino 570.521 unità. E non si tratta solo dei rider, ma di un insieme piuttosto eterogeneo di attività che vanno dalla consegna di pacchi o pasti a domicilio allo svolgimento di compiti on line (traduzioni, programmi informatici, riconoscimento immagini).
I lavoratori delle piattaforme digitali rappresentano l’1,3 della popolazione tra i 18 e i 74 anni, ovvero il 25,6% del totale di chi guadagna tramite internet. Ma ai platform worker vanno aggiunti anche coloro che vendono prodotti (piattaforme pubblicitarie) o affittano beni di proprietà (piattaforme di prodotto) per un totale di 2.228.427 persone (il 5,2% della popolazione tra i 18 e i 74 anni) che dichiarano di aver ricavato un reddito attraverso le piattaforme digitali tra il 2020 e il 2021.
Come abbiamo visto il 75% i lavoratori delle piattaforme sono maschi. Il titolo di studio vede una maggiore presenza di diplomati. Chi lavora tramite piattaforme come attività principale presenta livelli di istruzione più elevati (dal diploma in su), mentre chi lo fa occasionalmente presenta titoli di studio più bassi.
Il 45,1% dei lavoratori delle piattaforme appartiene alla tipologia “coppia con figli” ma la quota sale al 59,1% nel caso di occupati che considerano quella delle piattaforme un’attività secondaria. Al contrario, le persone che occasionalmente collaborano con una piattaforma sono invece più frequentemente single (37,9%).
Il lavoro tramite piattaforma si presta a condizioni di ridotta autonomia dei lavoratori e a rapporti irregolari, che per molti aspetti richiamano fenomeni di “caporalato digitale”.
Circa 3 lavoratori su dieci non hanno un contratto scritto, il 26% dei lavoratori non gestisce direttamente l’account di lavoro per accedere alla piattaforma e che nel 13% dei casi il pagamento viene gestito da un ulteriore soggetto esterno. Inoltre, si segnala che il 72% ha dovuto sottoporsi a un test valutativo per poter lavorare con la piattaforma.
Il rapporto sottolinea come il sistema più diffuso per la valutazione del lavoro svolto sia quello legato al numero di impegni o incarichi portati a termine (59,2% dei casi) seguito dal giudizio dei clienti (42,1%).
Questo conferma la centralità del sistema del cottimo orario nella valutazione effettuata dagli algoritmi sui lavoratori e nell’organizzazione produttiva della piattaforma e indica come per molti lavoratori delle piattaforme non si tratti affatto di lavoro autonomo, ma di lavoro dipendente.
A una valutazione negativa o a una mancata disponibilità nello svolgimento degli incarichi corrisponde in quattro casi su dieci un peggioramento del tipo di incarichi assegnati, con la riduzione nelle occasioni di lavoro più redditizie rispetto al complesso degli incarichi (40,7%).
Inoltre, la valutazione negativa determina per il 4,3% dei lavoratori il mancato pagamento della prestazione svolta, fino ad arrivare nel 2,8% dei casi alla disconnessione forzata dalla piattaforma, una sorta di licenziamento occulto.
(la grafica di copertina è di Federico Ruxo)
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