Gli effetti sistemici della pandemia sull’economia mondiale sono ancora ben poco studiati, e quindi compresi. Di sicuro si vedono a occhio nudo quelli sulle popolazioni (riportiamo qui in fondo un articolo dell’agenzia Agi sulle “preoccupazioni” del Fondo Monetario Internazionale – un’organizzazione criminale, di fatto – sui 70 milioni di “poveri estremi” provocati dalla crisi sanitaria).
Ma restano avvolti nella nebbia quelli sui sistemi economici, già sotto stress – dal 2008 a fine 2019 – per altre ragioni finanziarie, nonché per il disfacimento delle relazioni tipiche della fase chiamata “globalizzazione”.
Questo illuminante intervento di Joseph Halevi – docente emerito di economia all’università di Sidney, marxista formatosi a Roma negli anni ‘70 – mette sotto i riflettori una divaricazione rilevante tra settori produttivi che si sono avvantaggiati con la pandemia (ovviamente il farmaceutico, ma anche piattaforme e informatica), a scapito di tutti gli altri.
Una divaricazione che gli Stati neoliberisti occidentali – inchiodati come sono al dogma del “privato è meglio” – non solo non hanno contrastato, ma a cui si sono piegati senza alcuna resistenza. Di fatto, la spesa pubblica è stata determinata dagli interessi di quel “blocco”, senza alcun interesse per la tenuta del sistema nel suo complesso.
Una “contraddizione in seno al capitale” che, non ci stancheremo mai di sottolinearlo, è un concetto – una categoria dell’analisi – che si concretizza in molti capitali in concorrenza tra loro.
Non vedere questo tipo di contraddizioni, e immaginare che “il capitale” sia capace di un “grande piano” per controllare il mondo (e i relativi antagonismi di classe) porta o all’impotenza politica (“sono troppo forti, non ce la possiamo fare”) o alle fughe nell’irrazionalismo (inutile fare esempi, ce ne sono a centinaia).
Buona lettura.
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La pandemia ha creato una situazione difficilmente recuperabile. Da due punti di vista.
Il primo è il fatto che molte persone – nel senso di “massa”, che non c’è stato almeno da gli anni ‘30, in Occidente, nei paesi sviluppati – hanno avuto una drastica riduzione del reddito, si sono ritrovate in condizione di disoccupazione o di precarietà accentuata del lavoro, e – mutatis mutandis – una sorte non simile ma egualmente grave è avvenuta per le imprese, soprattutto quelle piccole piuttosto che quelle grandi.
L’altro elemento estremamente grave di questa pandemia è connesso alla disarticolazione dei processi produttivi che con la globalizzazione si erano articolati su una dimensione molto vasta, in cui la Cina è tuttora un elemento centrale.
La disarticolazione delle catene di valorizzazione – come vengono chiamate – ha creato problemi strutturali e quindi aperto spazi speculativi, che non vedo come possano essere riaggiustati, corretti, in un periodo relativamente breve, in modo tale che si possa tornare a una normalità, benché precaria.
Quindi c’è un problema strutturale. Accanto a questo, c’è però un altro elemento che secondo me è quello più importante.
Questi sono gli effetti che noi vediamo, ma l’elemento più importante è che si è creato un blocco economico, di potere, la cui dimensione è abbastanza chiara, ma le cui ramificazioni non sono ancora state studiate approfonditamente – però, secondo me, è assolutamente possibile farlo – ed è il blocco che rappresenta le industrie farmaceutiche, con le piattaforme tecnologiche e le industrie di computer e di tutti gli strumenti che servono per questo tipo di attività.
Questo è un blocco che si è compattato intorno a due cose. Primo, una spesa pubblica senza controllo, nel senso di senza verifica, nella discussione dei contratti che sono stati fatti con le società farmaceutiche.
Anche se, per esempio, i vaccini fossero stati perfetti, ci sarebbe dovuta essere una verifica, un vaglio da parte delle istituzioni pubbliche perché queste industrie farmaceutiche – anche se sono istituzioni, fabbriche, compagnie e società private – comunque hanno una funzione pubblica.
Invece c’è stato esattamente il contrario. Quindi c’è stato un accorpamento di questi elementi – settore farmaceutico, elettronico e delle piattaforme – che hanno fatto un vero e proprio blocco monopolistico che non c’è mai stato prima.
E questo [blocco] determina la spesa pubblica!
Questo blocco non ha alcun interesse al resto dell’economia. Questa è la cosa più significativa. A questo blocco non è interessa per niente che il resto dell’economia – che può andare dalle compagnie aeree alle piccole imprese, al turismo e via dicendo – possa avere degli spazi e possa riprendersi.
Questa è la caratteristica della situazione adesso.
Quindi, secondo me, le vie di uscita sono molto, molto complicate. Gli organismi internazionali sono incapaci di affrontare questa situazione perché sono collegati allo stesso tipo di interessi. L’Unione Europea – nelle sue istituzioni – meno che meno.
Quindi per me la prospettiva è assolutamente fosca.
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Fmi lancia l’allarme: “Dopo il Covid 70 milioni in più in miseria estrema”
Entro il 2024 dalla pandemia si saranno accumulate perdite per quasi 14 mila miliardi di dollari
AGI – Il Covid “ha cancellato parecchi anni di progresso nella lotta alla povertà” e, nel 2021, ha spinto “in estrema miseria 70 milioni di persone in più rispetto a quanto fosse prevedibile prima dello scoppio della pandemia”.
La stima è stata fornita dalla prima vice direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Gita Gopinath, secondo cui, “mentre le economie avanzate sono previste tornare sui livelli pre-pandemici quest’anno, molti mercati emergenti e Paesi in via di sviluppo sono attesi registrare consistenti perdite di prodotto nel medio termine”.
Le perdite economiche procurate dal Covid al 2024 “saranno vicine a 13.800 miliardi di dollari rispetto alle previsioni fatte prima della pandemia”.
Secondo Gita Gopinath, “questi numeri sarebbero stati molto peggiori senza lo straordinario lavoro di scienziati e comunità medica e la rapida e aggressiva risposta politica in tutto il Mondo”. In ogni caso, aggiunge l’economista, “resta molto lavoro da fare per contenere le perdite e ridurre le larghe differenze nelle prospettive di ripresa tra i diversi paesi”.
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