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L’inflazione si è già mangiata un pezzo dei salari: sono tornati a tredici anni fa

Dal rapporto annuale dell’Istat emerge che la crescita dei prezzi rilevata dalla seconda metà del 2021 fino a maggio 2022, in assenza di ulteriori variazioni al rialzo o al ribasso, potrebbe determinare a fine anno una variazione dell`indice armonizzato dei prezzi al consumo pari a +6,4%. “Senza rinnovi o meccanismi di adeguamento ciò comporterebbe un`importante diminuzione delle retribuzioni contrattuali in termini reali che, a fine 2022, tornerebbero sotto i valori del 2009”.

La corsa dell’inflazione ha, intanto, quasi azzerato la crescita delle retribuzioni registrata nel 2020. La dinamica salariale, nel 2021, si è mantenuta “molto moderata”, con aumenti delle retribuzioni contrattuali per dipendente dello 0,7% e dello 0,4 per quelle lorde di fatto per unità di lavoro equivalenti a tempo pieno.

Pertanto, “la risalita dei prezzi al consumo ha portato a una diminuzione delle retribuzioni reali superiore a un punto percentuale, che erode quasi totalmente la crescita del 2020”.

Sempre secondo l’Istat nonostante l`intensificarsi dell’attività negoziale, la dinamica retributiva contrattuale “è rimasta molto contenuta anche nei primi mesi del 2022”, ma “è attesa accelerare sostanzialmente nella seconda parte dell’anno, alla luce dei rinnovi in corso e della previsione dell’indice dei prezzi al consumo armonizzato al netto dei prodotti energetici importati, utilizzato come base per i rinnovi contrattuali, pari al 4,7% nel 2022”.

Ma qui l’Istat sogna ad ogni aperti quando immagina dei rinnovi contrattuali con aumenti del 4,7% per compensare il carovita. Ci sarà da strapparli con i denti.

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