Bisogna guardare i numeri, le cifre, le statistiche, prima di farsi un’opinione.
La settimana scorsa era uscito il dato della produzione industriale italiana ad agosto: contrariamente a quanto si pronosticava aveva battuto tutte le stime, un aumento mese su mese del 2.3%, anno su anno del 2.9%.
Nessun giornale ha dato la notizia.
E vabbè, cerchi altri dati. E’ agosto, l’autunno non è ancora arrivato e si annunciano tempeste (per chi? per i soliti noti). La settimana dopo, oggi, esce il dato dell’export di agosto.
Vediamolo: “Ad agosto 2022 si stima una crescita congiunturale per le importazioni (+4,2%) e una flessione per le esportazioni (-3,6%). Ad agosto, il calo congiunturale dell’export è condizionato da operazioni occasionali di elevato impatto (cantieristica navale) verso i mercati extra Ue registrate il mese precedente, al netto delle quali il calo si riduce a -1,3%.
Nella media degli ultimi tre mesi, la dinamica congiunturale resta positiva. Nel trimestre giugno-agosto 2022, rispetto al precedente, l’export cresce del 3,4%, l’import del 9,5%. Ad agosto 2022, l’export cresce su base annua del 24,8% in termini monetari e dell’1,3% in volume.
L’aumento dell’export in valore riflette ampi aumenti nelle vendite sia verso l’area Ue (+27,6%) sia verso i mercati extra Ue (+22,1%).
Tra i settori che contribuiscono maggiormente all’aumento tendenziale dell’export si segnalano: articoli farmaceutici, chimico-medicinali e botanici (+72,9%), prodotti petroliferi raffinati (+88,0%), prodotti alimentari, bevande e tabacco (+22,7%), macchinari e apparecchi n.c.a. (+13,6%) e sostanze e prodotti chimici (+29,1%)” (fonte Istat).
Ora, i prezzi alla produzione sono cresciuti molto, ma ciononostante la crescita in volumi è addirittura +1,3%. Segno della capacità imprenditoriale di spuntare prezzi maggiori dovuti alla qualità delle produzioni.
Stiamo pur sempre parlando di made in Italy e di alta artigianalità di molti prodotti, prodotti non di serie come succede in altri paesi, ma unici e flessibili.
Qualità dovuta alle capacità delle maestranze, a cui da decenni non viene riconosciuta una retribuzione che premi il loro attaccamento alle imprese, per dirla come il mainstream.
Sta di fatto che gli industriali incassano, e incassano pure tanto. Perderanno forse sul mercato interno, con 10,6 milioni di poveri il mercato è ristretto, ma si appoggiano al mercato estero, dove riescono a spuntare prezzi alti e a vendere, nonostante tutto.
Non è sfuggita da mesi questa situazione a Carlo Messina, amministratore delegato di IntesaSanPaolo, il quale afferma che ci sono tantissime aziende di eccellenza che vanno bene.
Soprattutto, rispetto ai loro lamenti circa il caro energia, la settimana scorsa affermava: “chi ha, non chieda soldi allo Stato“. Invece loro vogliono 50 miliardi, un ulteriore debito statale per sostenerli visto che di cacciare soldi per l’azienda di tasca propria non ci pensano.
“Convento povero, frati ricchi“, tanto ci pensa lo Stato – il loro Stato – a pagare da più di 40 anni.
Nel mentre la povertà aumenta, la povertà salariale è vergognosa al punto che siamo diventati gli “asiatici” nell’Unione Europea.
Si tagliano sanità, assistenza sociale, non si assume nel pubblico, non si rinnovano i contratti, mentre loro ad agosto – ripeto: agosto, quando in teoria si sta in tanti in vacanza – hanno una crescita in valore delle esportazioni del 24% e in volume dell’1.3%.
Davvero troppo. Sono stufo dei loro piagnistei, ma ancor di più non riesco a capacitarmi di come mai, dopo 50 anni, le loro maestranze non gli presentino il conto, il conto di classe.
Strano paese l’Italia, strano paese i suoi lavoratori.
* dal blog PianoControMercato
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