Un testo davvero ben fatto. L’accordo tra Confindustria, Cgil, Cisl e Uil sulle «nuove regole» della contrattazione e della rappresentanza sindacale è riuscito nel non facile compito di spaccare la Cgil senza risultare sufficientemente decisivo per Fiat.
Come ogni accordo, per quanto squilibrato sia, bisogna trovare un minimo di compromesso. In questo caso, però, si sfiorava il livello di difficoltà della quadratura del cerchio.
Da un lato c’erano i problemi interni a Confindustria, stretta tra la Fiat che pretendeva regole uguali a quelle scritte nel «modello Pomigliano» – da azienda multinazionale, può minacciare chiunque con la formula «o si fa così, o me ne vado altrove» – e quelle imprese che non possono delocalizzare e quindi temono una conflittualità perenne, tale da minarne la continuità produttiva. Un po’ di mano libera in più, in azienda, fa sempre comodo; ma esagerare può creare più problemi che vantaggi. Normale realismo da «provinciali», insomma; non certo cuori di leone a difesa della democrazia.
Dall’altro – senza considerare nemmeno Cisl e Uil, «complici» arruolati ormai da anni – la Camusso doveva portare a casa formule verbali abbastanza vaghe da permetterle di affrontare a muso duro le contestazioni interne, evitando l’accusa di ave calato le braghe.
Ne è venuto fuori un testo limpidamente infame, ma «gommoso» proprio sui punti che Marchionne considerava decisivi. E quindi va bene – per Fiat – che le «nuove regole» siano praticamente identiche a quelle imposte a Pomigliano e Mirafiori; ma se non c’è una copertura «retroattiva» resta il rischio che il tribunale di Torino possa condannarla nella causa intentata dalla Fiom (per aggiramento della «clausola sociale» in caso di trasferimento d’azienda e per comportamento antisindacale). Punto secondo: va bene che sia prevista una «tregua» dopo ogni accordo che impedisca l’esercizio del diritto di sciopero; ma se le «sanzioni» colpiscono soltanto i sindacati che li proclamano, e non i singoli lavoratori che si fermano, resta aperta la possibilità dello «sciopero per autodifesa» – il più diffuso, nelle grandi imprese – che scatta quando la catena corre troppo veloce, vengono imposti straordinari non contrattati, cambiata la turnazione all’improvviso, ecc. Infine, non permette di tagliar definitivamente fuori dagli stabilimenti la Fiom e i sindacati di base, anche se li priva di qualsiasi agibilità pratica.
Il nostro giudizio sull’accordo è stato espresso nell’editoriale qui di fianco, e non è necessario ripeterlo. Ma troviamo divertente che «i congiurati» nella foresteria di Confindustria si siano dimostrati incapaci di «trovare la quadra», contribuendo così – certo involontariamente – a mettere chiaramente in evidenza i punti decisivi e costituenti di questo «golpe» contro il lavoro.
Leggiamo infatti che Marchionne – in una lettera peraltro di apprezzamento per «il lavoro» fatto dalla Marcegaglia – incassa «questo primo importante passo», ma chiede «ulteriori passi che consentano di acquisire quelle garanzie di esigibilità necessarie per la gestione degli accordi raggiunti per Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco». Altrimenti «Fiat e Fiat Industrial saranno costrette ad uscire dal sistema confederale con decorrenza 1 gennaio 2012». O tutto o niente, insomma. Marchionne ha un progetto definito in testa e non accetta mediazione su nessun punto. La rigidità del suo impianto richiede che tutti gli altri siano «flessibili», mai il contrario.
La povera Marcegaglia – che pure tanto si era spesa per accontentarlo, ricostruendo addirittura una «unità sindacale» di stampo corporativo-fascista – fa presente che ora quell’accordo così faticoso «non può essere rimesso in discussione»; anche perché trova eccessivamente pignola l’insistenza del «caro Sergio». In fondo «a noi sembra che l’accordo soddisfi anche le vostre istanze in quanto gli accordi di Pomigliano, Mirafiori e Grugliasco possono facilmente rientrare nelle nuove norme».
Se poi Marchionne vuole pure la retroattività, perché «non ritieni utile verificarne la praticabilità» al fine di avere garanzie sugli accordi già raggiunti nel gruppo a fronte della causa intentata dalla Fiom, «non vediamo altra strada se non quella di un intervento legislativo con effetto retroattivo che, in quanto tale, non è nelle disponibilità di Confindustria».
Qui i «complici» diventano addirittura commoventi: «e che ci vuole?», dicono all’unisono, Sacconi ci mette cinque minuti a fare una legge ad aziendam. Noi abbiamo fatto tutto quello che potevamo…
Chi rimane col cerino in mano è ancora una volta il meno brillante dei segretari generali che la Cgil abbia mai avuto. E’ riuscita infatti nel non facile intento di farsi giustamente indicare come «venduta» e «antidemocratica» (ha siglato un’intesa senza avere né il mandato né una «delegazione trattante»; un’abitudine, per lei), senza nemmeno aver accontentato del tutto Marchionne.
Ma tutta la discussione è molto interessante. Dimostra intanto che, nella crisi, nessun servo viene mai considerato dai padroni come sufficientemente servo. Ma soprattutto che non c’è margine di «aggiustamento» possibile tra piani d’impresa e «finzione della rappresentanza».
Il mondo delineato da Marchionne è a suo modo lineare: l’impresa fa e decide, gli interlocutori sono apprezzati solo nella misura in cui facilitano la realizzazione delle decisioni. Qualsiasi deviazione dal percorso, per quanto piccola, è «una perdita», un rischio, uno svantaggio competitivo. Il più grave di questi rischi è rappresentato dai lavoratori. Che quindi non devono avere rappresentanza alcuna. Nemmeno finta.
Non sapiamo come finirà il conflitto interno alla Cgil, ormai debordato dal livello dei «si dice» di corridoio. Il Direttivo nazionale è un covo di funzionari che – opposizione a parte – non ha alternative all’allineamento alle scelte già fatte dalla Camusso. Scendendo giù per i rami interni, nelle categorie e nei territori, è possibile che un po’ di «rivolta» prenda corpo. Forse non al punto da rovesciare gli equilibri interni, come spera ormai esplicitamente la Fiom. Ma, da comunisti, non possiamo che augurarci diventi il più larga e radicale possibile. C’è un bisogno urgente si mobilitazione sociale; che si “scongeli” un buon pezzo della massa sociale fin qui tenuta sotto controllo dalla burocrazia Cgil non può essere che un bene.
Le lettere tra marcegaglia e Marchionne:
Marchionne_scrive_alla_Marcegaglia_sullaccordo.pdf
Marcegaglia_risponde_a_Marchionne.pdf
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