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La recessione bussa in Gran Bretagna e Germania, ma l’Italia non ride

Secondo i dati diffusi dall’Office for National Statistics britannico, il prodotto interno lordo del Regno Unito si è ridotto dello 0,3% nel terzo trimestre del 2022 (luglio-settembre), un dato in diminuzione anche rispetto a una prima stima che prevedeva una contrazione dello 0,2%.

La produzione manifatturiera britannica nel terzo trimestre di quest’anno è crollata del 2,3%. Il settore dei servizi, storicamente il più dinamico, è cresciuto solo dello 0,1%, mentre il settore delle costruzioni si è ridotto dello 0,2% annunciando una crisi anche del settore immobiliare.

La spesa reale delle famiglie britanniche è diminuita dell’1,1% durante l’estate, trainata dal calo netto del turismo, dei trasporti, dei beni e servizi per la casa e dei prodotti alimentari e delle bevande. Il paese è attraversato da un ciclo di scioperi e conflitti sindacali come non si vedeva da decenni, in cui i lavoratori richiedono aumenti salariali per far fronte all’aumento di prezzi

Tra le economie a capitalismo avanzato del G7, l’economia britannica si colloca così in fondo in termini di crescita economica trimestrale.

E le analisi di molti osservatori economici prevedono una riduzione del Pil della Gran Bretagna anche nel quarto trimestre dell’anno in corso, un dato che fa parlare di una recessione tecnica per una delle economie più importanti del mondo occidentale

John Leiper, Chief Investment Officer di Titan Asset Management, sentito da Milano Finanza, afferma che le cifre “cupe” hanno posto le basi per l’incombente recessione del 2023: quella estiva è la lettura più bassa da giugno 2021 a seguito di un forte rimbalzo dell’attività derivante dal crollo del Covid.

È preoccupante, anche se non troppo sorprendente, vedere i consumi delle famiglie e gli investimenti totali delle imprese diminuire in modo significativo mentre il contesto economico continua ad inasprirsi. Ciò pone le basi per un cupo 2023 ed è coerente con le nostre aspettative di una recessione l’anno prossimo”.

Un sondaggio condotto dalla Camera di Commercio Britannica ha rilevato che tre aziende britanniche su quattro  considerano che l’accordo raggiunto dal governo britannico con l’Unione Europea, a seguito della Brexit, non le ha aiutate ad espandere la propria attività negli ultimi due anni. 

Più della metà (56%) delle aziende intervistate, e che commerciano con la Ue, hanno dichiarato di aver riscontrato problemi nel rispettare le nuove norme per l’esportazione di merci, mentre il 45% ha segnalato problemi di scambio di servizi.

Nel complesso, ben il 77% delle aziende britanniche che operano nell’ambito dell’accordo sulla Brexit ha dichiarato che questo non le ha aiutate ad aumentare le vendite o ad espandersi.

Anche la Germania a rischio recessione

Per la Germania si va facendo concreto lo spettro della recessione. La scorsa primavera, all’inizio della guerra in Ucraina, Bruxelles attendeva una crescita per Berlino pari al 2,4%, che però era stata ridimensionata al +1,3% in estate. Adesso la stima è precipitata a un -0,6%.

Lo stato di crisi dell’economia tedesca viene evidenziato da altri indicatori come la contrazione degli investimenti e del saldo positivo della bilancia commerciale.

Ma tre giorni fa l’istituto tedesco Ifo ha rivisto le stime e, secondo la nuova previsione, l’anno prossimo il Pil potrebbe avere una contrazione solo dello 0,1% invece che dello 0,3%.

La recessione attesa sarà più lieve di quanto ci si aspettava“, ha affermato Timo Wollemerhaeuser, dell’Istituto di Monaco. “Nei due trimestri della prima metà dell’anno 2022-23 il Pil crollerà ma poi salirà di nuovo”. Per la fine dell’anno in corso, le stime sono state riviste al rialzo da 1,6% a 1,8%. “In particolare il quarto trimestre del 2022, con lo 0,4%, andrà molto meglio del previsto“.

La Bundesbank da parte sua prevede invece che il calo del PIL nel 2023 sarà a -0,5%, a causa dell’impatto degli alti costi dell’energia sui consumi delle famiglie, che si ridurranno sino a metà dell’anno prossimo, e sugli investimenti delle imprese, che sconteranno il clima di incertezza e sulla frenata della domanda estera, che dovrebbe riprendersi nella seconda metà del 2023.

Per la Germania molto dipenderà dalla guerra in Ucraina e dalla crisi energetica, che trova il suo indicatore di riferimento nell’andamento dell’inflazione. Smentendo tutte le previsioni della Bce e di Bruxelles di qualche mese fa, oggi la Commissione si aspetta che “l’inflazione deve ancora raggiungere il picco prima di allentarsi gradualmente“.

Il Fmi ha avvisato l’Europa che “Lo shock energetico non è transitorio. Il riallineamento geopolitico delle forniture energetiche, sulla scia della guerra in Ucraina, è ampio e permanente. L’inverno del 2022 sarà una sfida, ma quello del 2023 sarà probabilmente peggiore”.

Infine, e non certo per importanza, la recessione in Germania porta con sé una inevitabile onda lunga sull’economia italiana, dove una quota consistente della produzione manifatturiera (dall’Emilia al Nordest passando per la Lombardia) opera come subfornitura all’industria tedesca dentro un sistema  di filiere che da tempo dà segni di grosse difficoltà.

Insomma se Roma piange, Berlino non ride. Ma se piange Berlino non ride neanche Roma. Purtroppo, finora nessuna delle due capitali viene in mente che magari sganciarsi dal coinvolgimento nella guerra in Ucraina potrebbe essere salutare per l’economia.

E Londra? Che Albione si fotta, lì parlano gli scioperi dei lavoratori che stanno riscrivendo una pagina di storia nel cuore del neoliberismo più odioso, brutale e guerrafondaio.

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