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Etf sui bitcoin. La miccia è stata accesa

Il capitalismo finanziario non impara mai. Al massimo elabora nuovi trucchi riciclando quelli vecchi, con l’aiuto e l’illusione della tecnologia, che consente al tempo stesso di massimizzare i guadagni e ovviamente le perdite.

Il tracollo dei mercati finanziari, all’indomani del crack sui mutui subprime statuntensi, quando la follia dei “prodotti derivati” inciampò sull’incertezza del “sottostante” a prodotti favolosi, creati da matematici e non in fabbrica, sembrava avesse insegnato che il moral hazard alla fine si paga. Sempre.

La soluzione, com’è noto, fu tutta a carico degli Stati e delle banche centrali principali, che dovettero a loro volta farsi carico dei salvataggi di banche, assicurazioni, istituti di credito di vario tipo (quando non ce la fecero più, il botto – con Lehmann Brothers – fu epocale), oppure  iniettare nei mercati liquidità di dimensioni mai viste, portando ad azzerare per molti anni il costo del denaro (tassi di interesse a zero o anche negativi).

Ora, in pieno caos di guerre in corso, con la crescita che già zoppicava dopo la pandemia, con la frammentazione dei mercati globali a seconda di schieramenti geopolitici mutevoli, con l’intelligenza artificiale che minaccia direttamente il 40% dei posti di lavoro al mondo (il 60% nelle economie “avanzate”), si ritorna a fare follie. Che si pagheranno.

La miccia è stata piazzata dalla Sec (l’autorità di controllo della borsa Usa, l’equivalente onnipotente della nostarna Consob), che ha autorizzato il primo Etf sui bitcoin. Persino i massimi esperti di MilanoFinanza gridano al pericolo mondiale…

La questione è relativamente semplice, al di là delle indubbie contorsioni della finanza creativa: chi garantisce il valore dei bitcoin?  O, in parole antiche, chi è il pagatore di ultima istanza?

Nel caso dei “prodotti derivati”, in effetti, c’era sia un “sottostante” (titoli azionari impacchettati a loro volta con obbligazioni entro prodotti finanziari “salciccia”, e così via in un gioco di scatole cinesi praticamente senza fine), sia un “pagatore”. In genere una banca o un fondo di investimento, che magari poteva fallire sotto lo sforzo, ma comunque esisteva in quanto soggetto responsabile.

Nel caso dei bitcoin e di tutte le altre cryptomonete private non c’è letteralmente nulla. Neanche un responsabile noto. Provate a cercare il Satoshi Nakamoto che l’ha creata…

Il problema non sta nello strumento crypto, ma nel soggetto che ne risponde. Se uno Stato o un gruppo di stati crea una o più cryptomonete, sarà quel soggetto a pagare il corrispettivo (anche gli Stati falliscono, certo, ma un po’ più raramente…). Nel caso del bitcoin nessuno.

Ma fin quando le transazioni in crypto private sono fuori dal circuito finanziario “regolato e legale” qualsiasi esplosione di una crypto privata sarà fondamentalmente un affare di coloro che non hanno fatto in tempo a liberarsene.

Se invece, come ha fatto la Sec, cominciano ad esistere prodotti finanziari “regolati” con un “sottostante” che non ha un responsabile  e tecnicamente non è nulla, ecco che il “contagio” si diffonde immediatamente dal circuito dei matti a quello “legale”. Gli effetti speculativi nel mondo dell’immaginazione diventano così reali.

Non siamo solo noi a dirlo. Come potete leggere qui di seguito…

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Etf bitcoin, perché la decisione della Sec rischia di legalizzare il gioco d’azzardo e mette a rischio il risparmio

Roberto Sommella – MilanoFinanza *

La decisione della Sec di autorizzare gli Etf sul bitcoin rischia di legalizzare il gioco d’azzardo. E questo per tre ordini di motivi, che in un Paese ricco di risparmio come l’Italia devono essere presi nella massima considerazione dal governo Meloni e da tutte le autorità finanziarie. In primo luogo, va ricordato che la criptomoneta più famosa al mondo, che ha messo a segno negli ultimi dodici mesi un rialzo del 162%, è un investimento ad alto rischio che a fronte di un creditore non ha un debitore accertato, come ha ricordato giovedì 11 su MF-Milano Finanza il presidente della Consob Paolo Savona.

A differenza di altri strumenti monetari il bitcoin non risponde alle regole delle banche centrali quando emettono moneta e non ha un vigilante. È stato lo stesso Savona a ricordarlo con la nettezza che lo contraddistingue. E in modo inequivocabile.

Le crypto, questo il ragionamento del numero uno della commissione che vigila in Italia sulla borsa e il risparmio, compresi i bitcoin anche se di importo limitato, quando nascono sono «il nulla creato su un computer facendo uso di un metodo matematico e assumono un valore di mercato se qualcuno le acquista, versando di norma moneta legale che, come noto e come ci ha ricordato Keynes, quando nasce ha sempre un debitore (Stato, banca centrale o istituto di emissione, o banche di deposito)».

L’assenza invece di un debitore per le crypto legittima la posizione delle autorità monetarie che esse non sono moneta legale, ossia mezzo liberatorio dei pagamenti-debiti, senza però che le autorità finanziarie e i legislatori siano in grado di collocare le valute digitali nell’assetto istituzionale oggi vigente per le attività tradizionali. Una situazione che genera un vuoto normativo clamoroso.

Così aumenta il rischio di una bolla

In secondo luogo, visto che l’organismo di controllo americano dei mercati finanziari (la Sec) ha autorizzato l’acquisto di Etf – fondi o sicav che replicano indici azionari e obbligazionari – anche legati alle criptomonete, c’è da aspettarsi che queste ultime vengano recepite dalle banche d’affari e dai gestori del risparmio alla pari di strumenti regolati e vigilati: una sorta di legittimazione di un prodotto ad alto rischio, per di più utilizzato spesso dalla malavita per transazioni illecite, come molti casi, anche in Italia, dimostrano.

Non serve illudersi che questo caso sia limitato al mercato statunitense, perché ormai si è imparato che la finanza è globale, con tutti i suoi pregi e i suoi pericolosi difetti.

In terzo luogo, sempre seguendo il filo logico dell’allarme del presidente della Consob, che andrebbe ascoltato anche dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, gli Etf sui bitcoin possono accendere una miccia pericolosa su una nuova bolla finanziaria, come accaduto nel 2007 con i mutui sub prime, i quali proprio non basandosi su collaterali solidi innescarono una serie di default per poi deflagrare anche nell’economia reale, con le conseguenze che tutti hanno conosciuto, dopo il fallimento della Lehman Brothers, anche da questa parte dell’Atlantico. 

A questo proposito giova ancora ricordare quanto scritto su MF-Milano Finanza da Savona a proposito dell’incesto di prodotti reali con prodotti virtuali: «Se si permette l’ibridazione tra vecchie e nuove monete e vecchi e nuovi strumenti il funzionamento del mercato mobiliare diventa complesso, la vigilanza pubblica sempre meno efficace e più costosa, la trasmissione degli effetti delle scelte politiche sempre meno prevedibili e la creazione di ricchezza sempre meno connessa con la crescita reale».

A rischio il risparmio

Il distacco di un prodotto finanziario dal mondo reale, senza i dovuti accorgimenti e accordi tra banche centrali e controllori mondali, non potrà che aumentare i rischi per il risparmiatore medio, soprattutto in una situazione in cui la ricchezza è concentrata in poche mani e sta per affidarsi anche all’immenso potere che l’Intelligenza Artificiale può sviluppare per manipolare i mercati finanziari, come è stato segnalato recentemente dalla Consob e dalla Banca d’Inghilterra.

Un’ultima considerazione va fatta per il caso italiano. Il nostro Paese è molto ricco del petrolio di carta, la ricchezza delle famiglie, che supera ampiamente il pur enorme debito pubblico giunto a 3.000 miliardi di euro.

Cosa potrebbe accadere se anche in Italia verrà autorizzata la vendita di Etf sui bitcoin senza i dovuti controlli e le necessarie campagne di informazione e di educazione finanziaria? 

Già oggi le criptomonete, seppur in piccoli importi, sono detenute mediamente da un numero di italiani pari a coloro che possiedono titoli di Stato, secondo le ultime rilevazioni della Banca d’Italia e della stessa Consob, senza considerare che dall’aprile del 2023 sono vendute liberamente e senza alcun controllo in cinquemila tabaccherie presenti sul territorio nazionale.

Una nuova Bretton Woods

Non si tratta di demonizzare il nuovo che avanza e la tecnologia, così come dimostra il dibattito sull’AI, ma occorre raggiungere subito un accordo a livello mondiale su cosa si può vendere e cosa no senza che sia vigilato da un organo finanziario di controllo.

Finora le autorità si sono rimpallate il problema, le une sostenendo che non spetta alle banche centrali vigilare sui bitcoin perché non sono valute, le altre, gli organi di controllo delle borse, perché non sono strumenti finanziari.

Ma se diventano investimenti replicabili a dismisura si pone il tema della tutela del risparmio, come previsto dalla nostra Costituzione e come spesso ricorda lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale da tempo mette in guardia sui rischi legati al dilagare dei nuovi monopoli digitali che ormai si muovono anche con la forza dell’innovazione artificiale.

Oggi il sistema monetario e finanziario è in mezzo al guado e non sa verso quale sponda si va indirizzando, quando appare chiaro che servirebbe invece una nuova Bretton Woods per stabilire cosa sia convertibile in moneta legale e cosa no.

Alle autorità finanziarie, ai governi e alla politica spetta quindi un compito di programmazione istituzionale impegnativo e immediato al pari di una comprensione del problema, che decisioni come quelle della Sec rendono ancora più difficile.

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