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Trumponomics, un delirio senile

I commentatori di tutti i media occidentali sono concentrati su Trump e la sua banda (pardon: il suo futuro governo) quasi soltanto dal lato politico (“è un fascista”, sicuramente lo è) oppure su quello etico (“nomina gente che ha commesso violenza sessuale, anche su minori”, vero anche questo).

Però quando si parla del prossimo presidente Usa, ancora adesso il paese più “determinante” – comunque la si pensi, in bene e soprattutto in male – per l’intero pianeta, bisognerebbe occuparsi anche degli aspetti “strutturali”. Ossia economici.

Il suo programma, in questo campo, è in effetti una serie di fanfaronate che vengono ripetute dai suoi simili in tutto il mondo (Farage in Gran Bretagna, Milei in Argentina, lasciamo perdere la povera Italietta…). Ma ciò non cambia il fatto che, una volta messe in pratica, anche solo parzialmente, gli effetti a catena si allargheranno su tutto il pianeta.

L’analisi che ne fa Martin Wolf, il più prestigioso degli editorialisti del Financial Times, è semplicemente spietata. Nulla di quello che Trump promette, specie attraverso l’imposizione di dazi tariffari contro le merci provenienti dalla Cina e dall’Unione Europea, si realizzerà,

Non ci sarà insomma una rinascita dell’industria statunitense, impoverita da 30 anni di delocalizzazioni. Non ci sarà una riduzione del debito commerciale, né un recupero dell’autorevolezza Usa in campo economico. L’America, insomma, non tornerà “great again” con quella cura.

Anzi. I dazi saranno certamente contrastati con iniziative reciproche da parte dei paesi colpiti, rendendo il commercio mondiale un percorso ad ostacoli. Le importazioni non saranno ridotte, ma più banalmente cambieranno i partner da cui importare (magari con meccanismi che “schermano” l’origine di provenienza di molti prodotti).

E così via.L’uscita definitiva dalla “globalizzazione” sarà una porta sul caos e sulla crisi, non una rivincita.

Dietro le fanfaronate trumpiane (così come con le falsità mostruose dei guerrafondai “democratici”) c’è solo l’ansia di una superpotenza che vede affondare la propria presa sul mondo ma presume – in virtù della presunta “superiorità” del sistema occidentale – di poter decidere delle sorti del mondo secondo i propri “interessi vitali”.

Ma i secoli e i decenni non passano mai invano. “Tornare indietro”, e “tornare grandi”, è decisamente impossibile. Così come è impossibile applicare ricette vecchie a problemi nuovi.  Ma è anche inutile spiegare a dei suprematisti che il loro mondo non esiste (e non li sopporta) più.

Restano convinti che possono comandare il mare, con i missili o con i dazi. Era più saggio il Re Canuto d’Inghilterra, non c’è dubbio…

Buona lettura.

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Perché la guerra commerciale di Trump causerà il caos

Martin Wolf – Financial Times

Donald Trump deve essere preso alla lettera o sul serio? Salena Zito propose queste alternative in un articolo su The Atlantic pubblicato nel settembre 2016. Oggi, prima che possa ottenere il potere per una seconda volta, Trump deve essere preso più seriamente e più letteralmente rispetto alla volta precedente.

Le prove si trovano nelle sue nomine, in particolare Robert F. Kennedy Jr. alla salute, Pete Hegseth alla difesa, Tulsi Gabbard all’intelligence nazionale e Matt Gaetz alla giustizia. Queste nomine mostrano che Trump sarà molto più radicale.

Inoltre, la politica commerciale è da tempo l’area in cui deve essere preso sia seriamente che letteralmente: il protezionismo non è solo una convinzione personale radicata, ma una priorità già dimostrata in passato.

Purtroppo, il fatto che Trump debba essere preso alla lettera e sul serio non significa che lui (o il suo entourage) comprenda l’economia del commercio. Se è disposto a credere nelle assurdità “anti-vacciniste” di Kennedy, perché dovrebbe preoccuparsi di ciò che gli economisti pensano?

Commette due grandi errori: in primo luogo, non ha alcuna nozione del vantaggio comparato; in secondo luogo, e peggio ancora, non comprende che il saldo commerciale è determinato dall’offerta e dalla domanda aggregata, non dalla somma dei saldi bilaterali. Ecco perché la sua guerra tariffaria non ridurrà i deficit commerciali degli Stati Uniti.

Anzi, soprattutto nel contesto attuale, è più probabile che porti a inflazione, conflitti con la Federal Reserve e una perdita di fiducia nel dollaro.

Se si vuole produrre di più di qualcosa — ad esempio, sostituti delle importazioni, come desidera Trump — le risorse devono provenire da qualche parte. Le domande sono: “da dove?” e “come?”.

La risposta potrebbe essere: “dalle esportazioni, attraverso un dollaro più forte”, poiché i dazi riducono la domanda di valuta estera necessaria per acquistare importazioni. In questo modo, una tassa sulle importazioni si trasforma in una tassa sulle esportazioni. Il saldo commerciale non migliorerà.

Fondamentalmente, la macroeconomia vince sempre, come ricorda Richard Baldwin, dell’IMD di Losanna, in una nota per il Peterson Institute for International Economics.

Il saldo commerciale è la differenza tra redditi e spese aggregate (o risparmi e investimenti). Finché questo equilibrio non cambia, anche il saldo commerciale rimarrà invariato.

Gli Stati Uniti hanno speso significativamente più del proprio reddito per molto tempo. Ciò è evidente nella costante fornitura netta di risparmi esteri, che ha rappresentato in media il 3,9% del PIL tra il secondo trimestre del 2021 e il 2024. Pertanto, i settori domestici devono complessivamente aver registrato deficit corrispondenti.

Infatti, il surplus di risparmi rispetto agli investimenti nel settore delle famiglie è stato in media del 2,3% del PIL e quello del settore aziendale dello 0,5%. In sintesi, solo il governo ha registrato un deficit, che in media ha rappresentato un enorme 6,7% del PIL.

Per eliminare i deficit esterni, i settori interni dovrebbero correggersi in senso opposto, con un aumento dei surplus di risparmi, e il maggiore aggiustamento dovrebbe provenire proprio da questi enormi deficit fiscali.

Tuttavia, come osserva Olivier Blanchard in un altro documento per il Peterson Institute, Trump ha promesso di estendere i tagli fiscali varati nel 2017. Inoltre, ha suggerito che i benefici della Sicurezza Sociale e le mance diventino completamente esentasse, che le detrazioni fiscali statali e locali siano aumentate e che l’aliquota dell’imposta sulle società – ridotta dal 35% al 21% nel 2017 – venga ulteriormente abbassata al 15% per le imprese manifatturiere.

Ha anche proposto la deportazione di massa di circa 11 milioni di immigrati senza documenti. In breve, prevede di ridurre l’offerta e stimolare la domanda.

Questo peggiorerà il saldo commerciale, non lo migliorerà. Inoltre, creerà pressioni inflazionistiche che la Fed dovrà reprimere. Nel frattempo, il debito federale continuerà la sua traiettoria esplosiva, forse minacciando la fiducia nel dollaro stesso.

In sintesi, non c’è alcuna possibilità di ridurre il deficit commerciale complessivo con le politiche proposte da Trump.

Ridurre il deficit bilaterale con la Cina aumenterebbe semplicemente i deficit con altri paesi. Questo è inevitabile, date le persistenti pressioni macroeconomiche.

Inoltre, le sue politiche commerciali discriminatorie, con dazi del 60% sulla Cina e del 10-20% su altri paesi, si diffonderanno sicuramente. Trump e i suoi collaboratori scopriranno che le esportazioni da altri paesi sostituiranno quelle dalla Cina tramite transito, assemblaggio in altri stati o competizione diretta.

Le risposte saranno l’imposizione di “regole di origine”, con tutta la burocrazia necessaria, o un aumento dei dazi al 60% su tutte le importazioni di prodotti manifatturieri.

Nel frattempo, ci saranno sicuramente anche ritorsioni. Una diffusione di dazi elevati negli Stati Uniti e nel mondo porterà probabilmente a un rapido declino del commercio mondiale e della produzione. Il National Institute of Economic and Social Research del Regno Unito prevede: “Cumulativamente, il PIL reale degli Stati Uniti potrebbe essere fino al 4% inferiore rispetto a uno scenario senza l’imposizione dei dazi.

La mia ipotesi è che questa stima sia troppo ottimistica, considerando l’incertezza che ne deriverebbe. Tuttavia, anche in quel caso, i deficit esterni degli Stati Uniti potrebbero non ridursi. Dipenderebbe dal fatto che la spesa diminuisca più rapidamente della produzione. Se accadesse, il saldo commerciale migliorerebbe, ma ciò significherebbe anche una profonda recessione.

La scorsa settimana ho sottolineato che la politica commerciale difficilmente invertirà il declino a lungo termine della quota di posti di lavoro nella manifattura statunitense. Questa settimana aggiungo che i dazi, senza una riduzione della spesa aggregata rispetto alla produzione, non elimineranno i deficit esterni.

I dazi da soli, specialmente se discriminatori contro un singolo paese, causeranno solo un caos economico e politico, diffondendosi come erbacce in tutto il mondo.

Quando il re Canuto d’Inghilterra si sedette davanti alla marea montante, lo fece per dimostrare che non poteva comandare il mare. Donald Trump crede di poterlo fare. Rimarrà deluso. E così, purtroppo, anche noi.

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