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Chips Act 2.0, questa volta è davvero una farsa?

Mercoledì scorso i principali produttori di chips e operatori della filiera dei semiconduttori hanno invocato un secondo Chips Act, che faccia seguito a quello lanciato dalla Commissione Europea nel 2023. Questa volta l’attenzione vuole essere spostata anche verso le attività di progettazione e su quelle legate ai materiali di base e alla strumentazione per la lavorazione, oltre che sulla produzione.

Il primo programma prevedeva un investimento totale pari a 43 miliardi di euro, pubblici e privati, con l’obiettivo di far raggiungere alla UE il 20% della quota di mercato globale dei semiconduttori. Dopo nemmeno due anni nel Vecchio Continente hanno dovuto ammettere che quel piano è già fallito, indicando in farraginosità burocratiche il principale problema.

Tema sicuramente vero, ma che nasconde il fatto di come la UE sia molto indietro innanzitutto nella ricerca sulla nuova frontiera di questo tipo di tecnologie. Basta dare uno sguardo alle ultime notizie che vengono dai due – unici e veri – competitors del settore, ovvero gli Stati Uniti e la Cina.

Quest’ultima ha sperimentato il primo chip in carbonio, molto promettente per consumi e prestazioni, mentre a fine febbraio Amazon e Microsoft hanno lanciato i propri chip quantistici, rispettivamente Ocelot e Majorana. Se su quest’ultimo sono sorti dubbi da parte della comunità scientifica, rimane il fatto che la UE risulta assente dai giochi.

Le associazioni dei produttori di chip ESIA e quella che rappresenta in generale l’intera filiera – SEMI Europe – hanno detto che rivolgono le loro richieste direttamente a Henna Virkkunen, Commissaria europea per le tecnologie digitali. Le due organizzazioni sottolineano come sia necessario non solo la costruzione di stabilimenti, ma un intervento coordinato su più fronti.

Gli operatori della UE hanno importanti attori nella produzione di strumenti per la fabbricazione dei chip (ASML, ASM International e Carl Zeiss SMT), ma solo la statunitense Intel  produce in Europa, ad oggi, chip per tecnologie avanzate. Le promesse strappate sulla base del primo Chip Act – alle compagnie stelle-e-strisce Intel e Wolfspeed – sono state infatti rimandate.

Allora, la questione non è più semplicemente quella di attirare produttori altrui, ma quella di creare una catena del valore completamente targata UE, per raggiungere una più piena “sovranità tecnologica”. Non a caso, all’incontro di mercoledì c’erano anche i produttori Bosch, Infineon, NXP e STMicroelectronics: tutte grandi sigle basata in Germania, Olanda, Italia e Francia.

Questi sono anche tra i principali paesi che, accanto allo sforzo richiesto direttamente alla Commissione Europea – che comunque ha già annunciato di avere in programma ben 5 pacchetti per lo sviluppo dell’IA made in EU – hanno già messo in campo un’intesa che va oltre e in parallelo a quelle che si troveranno a Bruxelles.

A metà marzo, infatti, è nata l’Alleanza europea per i chip, promossa dai Paesi Bassi e che vede partecipare anche Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna, Austria, Belgio, Finlandia. Una “Coalizione dei Volenterosi” sui semiconduttori, come ha scritto il Ministero delle Imprese, senza nascondere l’evidente proiezione di scontro che ha tale iniziativa.

Roma è stata in prima fila nel proporre il documento di indirizzo da cui è nata questa Alleanza, e che si pone alle fondamenta del futuro Chips Act 2.0. “L’Europa deve giocare un ruolo da protagonista nella nuova geopolitica industriale dei semiconduttori“, ha affermato il ministro Urso.

La paura è anche quella che, poiché la domanda di chip avanzati si prevede che nei prossimi anni sopravanzerà di molto la capacità produttiva, nel quadro delle guerre commerciali la UE farà fatica a procurarsi i prodotti di cui ha bisogno. Per questo, nella frammentazione del mercato mondiale, ha bisogno di creare una propria filiera più autonoma possibile.

Con la solita logica e pratica delle “geometrie variabili” su cui è stata costruita e tutt’oggi funziona la UE, sono stati fatti i primi passi in questa direzione. Ma sono davvero sufficienti a recuperare un po’ di terreno perso nei confronti di Washington e Pechino, o saranno solo un’altra serie di misure velleitarie, fatte pagare ai settori popolari del continente?

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