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Il Patto di Stabilità dibattuto tra i falchi di Berlino e i falchi di Bruxelles

Sin da novembre è sul tavolo della Commissione Europea la revisione dei termini del Patto di Stabilità e Crescita, sospeso con la pandemia. La volontà è quella di portare a compimento il processo di riforma entro la fine del 2023 e cominciare il 2024 con l’applicazione delle nuove regole.

A novembre dell’anno scorso la Commissione ha presentato alcune proposte con la divisione dei paesi in tre classi di debito separate. I famigerati “rapporti tra deficit e debito con il PIL” – al 3% e al 60% – rimangono nonostante si siano rivelati irraggiungibili, mentre verrebbero persino inasprite le possibilità di sanzioni e imposizioni.

La novità sarebbe nel fatto che ogni paese deve contrattare con la stessa Commissione un piano di rientro finanziario ad hoc. Su di esso influirebbe anche la definizione di un programma almeno quadriennale di “investimenti e riforme” in continuità con le priorità strategiche già individuate dal Next Generation EU (“transizione ecologica”, digitalizzazione e così via).

Tali cambiamenti mantengono in piedi l’edificio economico dell’austerità, e lo riformulano nel processo di verticalizzazione delle scelte nelle mani della Commissione e degli esecutivi (la Francia di Macron ne è un esempio immediato). Inoltre, segnerebbero un ulteriore salto di qualità nel processo di institution building europeo, con un’integrazione più organica delle politiche fiscali e industriali a livello comunitario.

Queste ipotesi sono sul piatto da diversi mesi, e ora la Germania ha deciso di dire la propria in merito. Dopo il Consiglio Economia e Finanza di metà marzo, Berlino ha infatti inviato a Bruxelles e alle altre capitali europee un breve testo, con idee più stringenti per il nuovo patto.

Il contenuto è frutto di Christian Lindner, il ministro delle Finanze tedesco autoproclamatosi di fede ordoliberista. Così il governo di Scholz può far contenti sia i liberali di Lindner sia i Verdi, tra i principali fautori del “rigore” e allo stesso tempo alfieri della green economy.

Al centro del documento avallato dal cancelliere c’è l’inadeguatezza delle proposte di Bruxelles, come già aveva criticato la Bundesbank. La necessità di giungere a una tutela comune più semplice e trasparente porta gli estensori del documento a chiedere “un calo minimo vincolante ogni anno”.

Il primo suggerimento è quello di un taglio annuo obbligatorio del rapporto debito/PIL di un punto percentuale per le realtà più indebitate, di mezzo punto per quelle con conti maggiormente in ordine. A ciò si aggiunge anche una “salvaguardia ex post”, per verificare l’efficacia delle nuove regole.

Queste proposte sono accompagnate dalla volontà di rafforzare gli incentivi agli investimenti strategici, che andrebbero scorporati dal dato sul deficit. Ma soprattutto sono associate al mantenimento del carattere multilaterale della contrattazione sui piani di rientro dei singoli paesi, da non lasciare alla sola Commissione.

A Berlino hanno paura di eccessiva discrezionalità da parte dell’esecutivo europeo, ma soprattutto hanno paura di perdere la presa sugli indirizzi di tutta la politica comunitaria. In questo modo, si garantirebbe ai vari governi «frugali» di avere ancora parola sulle «cicale» del Mediterraneo, e difatti l’Olanda si è subito accodata all’ipotesi tedesca.

Anche se in Germania le parole di Macron in Cina non sono state accolte bene, la prospettiva è la stessa: spingere sull’autonomia strategica della UE. Nella ridefinizione delle politiche e delle gerarchie dovuta alla nuova fase, Berlino affida all’economia la blindatura del ruolo che ha nel continente, in competizione con Parigi che punta sull’assertività della sua politica estera.

Roma in tutto ciò non sta a guardare. Gioca sulla sua funzione di sicurezza nel Mediterraneo allargato e anche su alcune scelte di bilancio. Ma rimane nel mezzo di una dinamica sovradeterminata, che la rende fragile: con la proposta tedesca le uscite statali dovrebbero diminuire annualmente di circa 20 miliardi, e non c’è cancellazione del reddito che tenga.

In Italia però c’è anche chi apprezza il documento della Germania. L’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria sottolinea come togliere di mezzo la discrezionalità della Commissione permetterebbe di evitare delle difficili contrattazioni sulla sostenibilità del debito. Un’analisi che mette sempre in fibrillazione il mercato dei titoli di stato.

Insomma, c’è chi evidenzia le opportunità di questi cambiamenti. Noi non possiamo che evidenziare che, in ogni caso, ritorneranno le misure lacrime e sangue.

Per noi l’unica opportunità è costruire un progetto di alternativa a questo modello sociale, che parta dalla rottura della gabbia euro-atlantica per immaginare un orizzonte di vita più giusto per i settori popolari.

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