“I fatti hanno la testa dura” è una massima che racchiude bene l’adesione che si deve avere verso le dinamiche strutturali da parte di chi vuole portare avanti un’analisi concreta di quel che si ha davanti. Se il governo è un governo padronale e mette in campo misure propagandistiche, prima o poi i numeri lo diranno.
E questa volta, è l’Istat a certificarlo. Francesco Maria Chelli, il presidente dell’istituto in audizione sulla prossima legge di bilancio, ha fatto emergere varie questioni. Qui ne verranno presentate due. La prima riguarda la cacciata dall’accesso al diritto alla salute di una parte consistente degli abitanti del Belpaese, la seconda il fatto che la distribuzione che mette in atto Palazzo Chigi risulta, in sostanza, regressiva.
“Nel 2024 il 9,9% delle persone ha dichiarato di aver rinunciato a curarsi per problemi legati alle liste di attesa, alle difficoltà economiche o alla scomodità delle strutture sanitarie: si tratta di 5,8 milioni di individui, a fronte di 4,5 milioni nell’anno precedente (7,6%)“, ha dichiarato Chelli. Basta vedere anche le ultime analisi della Fondazione Gimbe per comprendere lo stato disastroso della sanità italiana.
“La rinuncia a causa delle lunghe liste di attesa – ha aggiunto – costituisce la motivazione principale, indicata dal 6,8% della popolazione, e risulta anche la componente che ha fatto registrare l’aumento maggiore negli ultimi anni: era il 4,5% nel 2023 e il 2,8% nel 2019“. Ricordiamo che proprio le liste di attesa, ad esempio, erano state oggetto di misure acchiappa-voti, a ridosso delle europee svoltesi proprio nel 2024.
I dati che inchiodano il governo non sono solo quelli sulla sanità, ma anche quelli riguardanti uno dei pilastri della manovra: il taglio dell’Irpef. Esso andrebbe a toccare i redditi di circa 11 milioni di famiglie, il 44% di quelle residenti, e il beneficio annuo medio si attesterebbe intorno ai 276 euro. Ma l’impatto, oltre che risicato, sarebbe davvero squilibrato verso le fasce più ricche della popolazione.
“Ordinando le famiglie in base al reddito disponibile equivalente e dividendole in cinque gruppi di uguale numerosità – ha detto il presidente dell’Istat – emerge come oltre l’85% delle risorse siano destinate alle famiglie dei quinti più ricchi della distribuzione del reddito: sono infatti interessate dalla misura oltre il 90% delle famiglie del quinto più ricco e oltre due terzi di quelle del penultimo quinto“.
Le famiglie del primo quinto devono aspettarsi un guadagno medio di 102 euro, mentre quelle dell’ultimo 411. Insomma, i più ricchi riceveranno più soldi dei più poveri. Anche l’Ufficio Parlamentare di Bilancio conferma che “il beneficio medio è pari a 408 euro per i dirigenti, 123 per gli impiegati e 23 euro per gli operai. Per i lavoratori autonomi è di 124 euro e per i pensionati di 55 euro“.
Se a ciò si aggiunge che, come conferma sempre l’Istat, si tratta di una manovra dall’entità modesta e finanziata in pareggio di bilancio, appare chiaro che il risultato è uno solo: maggiori tagli, per risparmiare dei fondi che il govverno ha pensato bene di elargire ai più ricchi, togliendoli a chi è più in difficoltà. Le ragioni per scioperare il 28 novembre, e per manifestare a Roma il 29, ce ne sono a bizzeffe.
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