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Omicidi a Kabul

Stefano Siringo e Iendi Iannelli, i due giovani cooperanti italiani che vennero trovati morti ai Kabul il 16 febbraio 2006, sono stati uccisi. Individuare i responsabili o il responsabile è diventato praticamente impossibile e, quindi il Gip della Procura di Roma, Rosalba Liso, ha deciso per l’archiviazione del procedimento, ma ha affermato con chiarezza che i due cooperanti sono stati uccisi: “Quel che rimane certo – scrive il magistrato nel suo decreto di archiviazione – è che la morte dei due giovani merita chiarezza anche in virtù della necessità che la di loro memoria possa rimanere cristallina e la, limitatissima, giustizia che costoro possono avere venga consacrata nell’ipotesi dei reato iscritta e, cioé, quella di essere stati vittime di omicidio volontario del quale, purtroppo, è rimasto ignoto l’autore o gli autori”.

L’inchiesta sull’omicidio di Siringo e Iannelli è durata sette anni, è giunta ad una conclusione ma troppo tardi per essere efficace sul piano dell’accertamento delle responsabilità. Una vicenda con molti aspetti oscuri, resi ancora più neri dalla distanza e dal contesto – la Kabul cuore dell’occupazione militare dell’Afghanistan ancora in corso – e dalla manipolazione delle notizie circolate nella prima fase. Il decreto di archiviazione sottolinea che Stefano Siringo e Iendi Iannelli non erano affatto due tossicodipendenti morti per overdose da eroina pura al 90 per cento, tesi questa sostenuta dalla procura nella prima fase delle indagini. La sentenza di archiviazione afferma invece che furono vittime di un omicidio volontario occultato mettendo in scena un decesso causato per overdose di droga.
La sentenza del gip Rosalba Liso quindi, dopo sette anni di indagini e pur archiviando il caso, ha modificato radicalmente le conclusioni a cui era arrivato il pm titolare dell’indagine, Luca Palamara. Palamara aveva infatti ipotizzato la “morte sopraggiunta in conseguenza di altro reato” cioè una overdose che, implicitamente marchiava Siringo e Iannelli come “tossicodipendenti”.

Il movente, secondo la Gip Rosalba Liso, è da ricercarsi nel fatto che Iannelli aveva scoperto gravi irregolarità nelle fatturazioni che la Idlo – una organizzazione arruolata dal ministero degli Esteri per la “ricostruzione del sistema giudiziario in Afghanistan” – aveva presentato alla Unops, un’altra organizzazione nella quale lavora il fratello di Iedi Iannelli, Ivano Iannelli che aveva l’ufficio a Dubai. Dalla documentazione contabile emergeva che la cifra sottratta dalle casse dell’organizzazione, si aggirava intorno al milione e mezzo di euro.

Nella sentenza viene riportato che “i meri sospetti di Iendi Iannelli possono certamente, proprio perché manifestati pochi giorni prima della morte, aver determinato la necessità nei possibili accusati di “mettere a tacere eventuali voci”. Diversa invece la sorte e il movente per l’omicidio di Siringo. Iendi fu assassinato per paura che denunciasse quello che aveva scoperto, Siringo invece si è trovato al “posto sbagliato nel momento sbagliato”. La sera dell’omicidio non doveva trovarsi nella camera di Iendi presso la palazzina della Idlo a Kabul, ma nella propria abitazione.
Le testimonianze di coloro che lavoravano con loro al “progetto giustizia in Afghanistan” confermano che sia Iannelli che Siringo non fossero consumatori di eroina e che non c’era alcun elemento che facesse sospettare una loro tossicodipendenza.

Su questo si è manifestata però un’ombra, segnalata dal giornalista Elias Viettone che su La Repubblica ha seguito con tenacia tutte le fasi della vicenda. Secondo la sua ricostruzione, il fratello di Iendi Iannelli, Ivano dipendente della Unops a Dubai, pare che sia stato l’unico ad aver atto circolare la voce di problemi con la droga da parte di Iendi. Sarebbe stato sempre Ivano, insieme alla famiglia a chiedere ottenere, che la salma del fratello fosse cremata. A distanza di un anno dalla morte dei due cooperanti, i genitori di Iannelli si trasferirono a Dubai presso il figlio Ivano a Dubai, creando problemi di reperibilità agli inquirenti. Infine c’è l’appartenenza del padre (deceduto) di Iendi Iannelli  ai servizi segreti. Le domande dell’inchiesta di Viettoni almeno per ora, non paiono poter avere una risposta. Ma l’archiviazione contenuta nella sentenza , trattandosi del reato di omicidio, non impedisce la riapertura del caso.

Inoltre c’è un altro fascicolo aperto, quello sul reato di peculato ai danni dello Stato italiano. Sul quale però appare singolare che il Ministero degli Esteri non abbia incaricato l’Avvocatura dello Stato di difendere i propri interessi. “In merito alla gestione contabile della Idlo che, sorprendentemente, si è avvalsa subito della immunità giurisdizionale, non consentendo all’epoca dei fatti, un tempestivo esame contabile”, è scritto nel decreto del gip Rosalba Liso, è ancora in corso una perizia contabile da parte di un consulente nominato dalla procura per verificare i conti dell’Idlo nel periodo dei fatti. Il pm Palamara, ha confermato al giornale La Repubblica, che “entro qualche mese, al massimo sei, avremo le conclusioni della perizia e le indagini andranno avanti”.

L’auspicio è che le indagini su questa vicenda vadano comunque avanti nonostante l’archiviazione. Un compito che non può spettare solo ai giornalisti. Fare luce sulle zone d’ombra e le zone grigie in quel mondo posto a metà tra le Ong e i servizi segreti, è qualcosa di più di un auspicio, è un dovere di garanzia verso tutto il paese.

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