Il ‘diritto all’oblio’ online, la possibilità cioè di cancellare da internet determinati contenuti che riguardano la propria persona, può essere fatto valere nei confronti dei siti web che pubblicano le informazioni giudicate sensibili sul conto di singoli individui, ma non vale per Google. Queste le conclusioni a cui è giunto l’avvocato generale della Corte di giustizia Ue, nell’ambito di una controversia fra Google Spain e l’Agenzia spagnola per la protezione dei dati. Un parere non vincolante per la decisione della Corte ma che si schiera a favore dei motori di ricerca online. La multinazionale del web Google, che in fatto di privacy é alle prese con ben altri rilievi mossi dai Garanti europei per la protezione dei dati (ultimi nei giorni scorsi quelli di Italia e Francia), accoglie con soddisfazione questo parere giudicandolo ”positivo per la libertà di espressione”. Le parole dell’avvocato generale, sottolinea sul suo blog, vanno ”nella direzione” sostenuta da tempo da Google ”secondo cui richiedere ai motori di ricerca la rimozione di informazioni legittime corrisponderebbe a censura”. L’avvocato generale, le cui conclusioni comunque sono quasi sempre recepite dalla Corte di giustizia europea, col suo parere ha dato ragione a Google Spain che aveva presentato un ricorso contro l’Agenzia spagnola per la protezione dati. L’autorità di Madrid aveva imposto a Mountain View di cancellare i dati di un privato cittadino pubblicati su un giornale online, perché egli non voleva più essere trovato sul web. Nel parere pubblicato ieri si legge che ”i fornitori di servizi di motore di ricerca non sono responsabili, ai sensi della direttiva sulla protezione dei dati, del fatto che nelle pagine web che essi trattano compaiano dati personali”. Secondo l’avvocato generale, Google ”non va considerato come responsabile del trattamento dei dati personali che compaiono nelle pagine web che tratta”. Fornire uno strumento per la localizzazione dell’informazione ”non implica alcun controllo sui contenuti presenti nelle pagine web di terzi e non mette neppure il fornitore del motore di ricerca in condizione di distinguere tra i dati personali secondo la direttiva (che si riferisce ad una persona fisica vivente e identificabile) e gli altri dati”. Quindi, ”un’autorità nazionale per la protezione dei dati non può imporre ad un fornitore di servizi di motore di ricerca su Internet di eliminare informazioni dal suo indice, tranne nei casi in cui tale fornitore non abbia rispettato i codici di esclusione o non si sia conformato ad una richiesta proveniente dal sito web concernente un aggiornamento della memoria cache”.
Ieri è stato il giorno in cui un’altra multinazionale del web, Facebook, ha deciso di cancellare la principale pagina dedicata alle attività del gruppo ‘Femen’, diventato celebre per le dimostrazioni a seno nudo delle sue militanti. E proprio per l’uso di queste immagini che il social network afferma di aver cancellato l’account in questione. ”Abbiamo una politica molto chiara sulle immagini di nudo – ha spiegato Linda Griffin, una manager di Facebook, al Kyiv Post – e gli amministratori della pagina in questione hanno ricevuto diversi avvisi sul fatto che i contenuti della loro pagina violavano le nostre regole”. Alexandra Shevchenko, una delle fondatrici del gruppo, ha scritto sulla testata online Ukrainska Pravda che Facebook ha cancellato le pagine per ”assurde accuse di pubblicazione di materiale pornografico e di promozione della prostituzione”. Non si é fatta attendere la replica di Facebook. Secondo Griffin, il social network ”non ha assolutamente mosso accuse” di questo genere alla pagina delle Femen.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa