Ancora guai per i ras locali del Partito Democratico. Nel mirino della magistratura è finito ora il deputato Francantonio Genovese, ras della formazione professionale nella provincia di Messina, azionista e dirigente della Traghetti Caronte di Pietro Franza, oltre che nipote dell’ex ministro Nino Gullotti ed esponente di spicco dei democratici siciliani (alle primarie per il Parlamento del 2012 è stato il più votato d’Italia con quasi 20 mila preferenze).
In cinque anni, con un sistema di enti e società tutti a lui riconducibili, avrebbe fagocitato sei milioni di euro di risorse pubbliche destinate alla formazione professionale. L’estate scorsa, al termine della prima tranche dell’inchiesta, la Procura di Messina aveva arrestato la moglie e la cognata, ed ora il pool di magistrati coordinato dal sostituto procuratore Sebastiano Ardita chiede l’arresto del deputato nazionale del Pd. Ora toccherà alla Camera dei deputati accettare o meno la richiesta di autorizzazione all’arresto del parlamentare accusato di una sfilza di reati che vanno dall’associazione per delinquere al peculato, dalla truffa al riciclaggio al falso in bilancio.
Intanto stamattina all’alba gli uomini della squadra mobile di Messina e della Guardia di finanza hanno eseguito altre quattro ordinanze di custodia, questa volta ai domiciliari, notificando i provvedimenti a persone vicine a Genovese e con incarichi nel Pd o negli enti e nelle società da lui controllate. Si tratta di Salvatore La Macchia, già capo della segreteria tecnica dell’ex assessore regionale alla Formazione Mario Centorrino, Stefano Galletti, Roberto Giunta e Domenico Fazio. Restano comunque indagati la moglie di Genovese, Chiara Schirò, sua sorella Elena (entrambe arrestate a luglio e attualmente sotto processo) con il marito Franco Rinaldi (deputato regionale del Pd), altre due cognate di Genovese, la segretaria Concetta Cannavò, Elio Sauta ed altre persone già coinvolte negli arresti del luglio 2013.
I magistrati della Procura di Messina hanno scoperto che non erano solo la Lumen e l’Aram gli enti mangiasoldi attraverso i quali Genovese e il suo clan politico-elettorale avrebbero drenato finanziamenti regionali, statali e comunitari foraggiando un bacino elettorale che negli anni ha sempre garantito la rielezione al deputato Pd e ai suoi uomini nelle istituzioni locali. Secondo le indagini sarebbero stati una decina gli enti (tutti no-profit) dei quali Genovese avrebbe acquisito il controllo, attraverso suoi familiari o prestanome, per presentare progetti da inserire nei piani di formazione. Progetti che all’assessorato venivano immancabilmente finanziati. Una rete alla quale vanno ad aggiungersi diverse società sempre riconducibili all’uomo politico che servivano come interfaccia e che consentivano di quintuplicare costi mai sostenuti, poi rimborsati dalla Regione per lo svolgimento dei corsi di formazione professionale.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa