C’era una volta il Pci, «partito di lotta e di governo». Chissà se la Lega Nord ha iniziato anch’essa il suo percorso verso la dissoluzione?
Su un tema che sembrava lontanissimo dai suoi interessi territoriali, e quindi «pacificamente» praticabile dal governo – la politica estera e l’impegno militare in Libia – ha invece alzato «paletti» su cui qualcuno rischia di restare infilzato. Se sarà Berlusconi o la stessa Lega, o magari addirittura l’opposizione parlamentare (il cui istinto politicamente suicida è sempre incontenibile), lo sapremo abbastanza presto.
Nessuno sembra prendere sul serio la sua minaccia, visto il numero infinito di volte in cui Bossi ha sbraitato alla luna per poi accettare di sostenere comunque l’unico governo che potrebbe accettarlo come membro. Ma intanto il Carroccio ha presentato una sua mozione che chiede al governo di sottoscrivere: se le cose avessero una logica lineare, ne discenderebbe che o il governo la fa propria oppure la Lega esce dall’esecutivo, ritira la sua fiducia e passa all’opposizione. Che invece si prepara a fare il movimento esattamente opposto: presentare una o più mozioni a favore dell’aumentato impegno militare contro la Libia («dal perlustramento al bombardamento»), con il fondato rischio di tenere al suo posto un governo che perde i pezzi.
Ma la guerra è un tema che poco si presta ai giochini parlamentari. Da sempre distingue senza mezzi termini, né punti di mediazione possibili, se non quelli che l’arte retorica nazionale sa sempre partorire (le «convergenze parallele» restano esempio ancora insuperato, anche se «guerra umanitaria» le incalza da vicino). Sulla guerra, non per caso, la sinistra ha sempre finito per dividersi tra riformisti e rivoluzionari, socialisti e comunisti, bombardisti e pacifisti, politicanti corrotti e militanti sinceri, fetecchie senza onore e persone dabbene.
E quindi guardiamo da vicino, con scrupolo e diffidenza, questa «scaletta» leghista in bilico, di cui non è stato però reso noto il testo del documento di indirizzo. «Da una parte c’è una Lega contrariata e contraria al crescere di una partecipazione ad azioni militari. Dall’altra esiste la precisa volontà di evitare la crisi di governo». Sembra complicato, vediamo come pensano di fare.
«Niente truppe di terra in Libia», e «comunicazione al Parlamento» da parte del Governo di «un termine temporale certo» per le azioni dei nostri caccia.
La mozione inviterà il governo in modo «imprescindibile» a «fissare un termine temporale certo, da comunicare al Parlamento, entro cui concludere le azioni mirate sul territorio libico» e comunque nel «pieno rispetto dell’art. 11 della Costituzione». Le contraddizioni qui sono più numerose delle parole (anche senza entrare nel dibattito sulla lettera della Costituzione, un vero insulto all’intelligenza dei cittadini cui si presta spesso e volentieri anche Giorgio Napolitano). Una guerra finisce quando qualcuno si arrende o si fa un trattato di pace. Ma «prima» nessuno sa quanto dura. E non c’è cosa peggiore che cominciare a fare a botte e poi smettere perché «mi sono stufato»; c’è il fondato rischio che l’altro continui a menarti…
In secondo luogo, spiega il quotidiano del Carroccio, non ci deve essere «una escalation che porti ad azioni di terra». Perché lì diventa impossibile «stare in guerra» senza avere «morti tra i nostri ragazzi». Finché bombardi un paese privo di aviazione e di contraerea seria, il tutto si riduce a un videogame dove arrivi, inquadri, spari e dici «bingo!». Se metti i piedi a terra, prima o poi, qualche legnata dolorosissima ti arriva. Iraq e Afghanistan qualcosa hanno insegnato persino a teste dure come Bossi e Castelli.
E quindi «occorre intraprendere una intensa azione politica per trovare soluzioni diplomatiche alla crisi e riportare stabilità, pace e rispetto dei diritti umani nel paese». In fondo lo stesso Gheddafi ha detto oggi di essere pronto a trattare (ma di non essere disposto ad andarsene). Che ci vuole ora a convincere Sarkozy, Cameron e Obama? Evidentemente non hanno letto l’interessante analisi di Jean-Paul Pougala che abbiamo pubblicato su questo giornale (tra i «documenti»), altrimenti saprebbero che questa guerra è fatta per ben altro che «proteggere la popolazione civile».
Ma soprattutto la Lega non vuole aumenti «della pressione tributaria per finanziare la missione». I costi relativi dovranno restare esclusivamente nell’ambito degli stanziamenti ordinari della Difesa, con grande gioia di La Russa, immaginiamo.
Poi c’è – per mantenere la presa sulla propria base sconcertata – l’emergenza immigrazione e si chiede al governo di ottenere «il reale concorso di tutti i paesi alleati» per fare fronte alle ondate migratorie e agli oneri legati al diritto d’asilo dei profughi e al contrasto dell’immigrazione irregolare.
Calderoli, in serata, ha spigato che tra Bossi e Berlusconi «la cosa si sta avviando verso una soluzione. Noi siamo convinti martedì di uscire con una mozione ragionevole, equilibrata, proposta dalla Lega e che metterà d’accordo tutti, maggioranza e opposizioni, fatte salve posizioni politiche di chi pensa ancora che si debba dare la spallata ad ogni cambiar del vento».
«Noi non chiediamo il voto dell’opposizione; chiediamo il voto di tutto il Parlamento, quindi di maggioranza e opposizione. Noi abbiamo chiesto che il governo comunichi al Parlamento una data certa, ovviamente deve essere una data ragionevole, ma non vogliamo sapere più di iniziative che si sa quando iniziano e poi non si sa come finiscono o quando finiscono, come tante missioni che abbiamo in corso in questo momento di cui anche recentemente abbiamo chiesto un ridimensionamento, perché davanti ad una crisi e ad ulteriori spese non c’è certo la necessità di proseguire in iniziative che non sempre sono ancora giustificate».
Il governo, par di capire, per ora resterà in piedi. Dopo le elezioni amministrative, si vedrà. In fondo «a Milano il capolista è Berlusconi; se non vinciamo, ha perso lui».
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Pubblichiamo inoltre una nota stampa di un’associazione di imprenditori italianai in Africa, che aiuta a comprendere alcune delle “sofferenze” che la Lega cerca a suo modo di interpretare.
Crisi Libia/ Cestari: “Le imprese italiane erano regine in Libia ma nel dopo guerra ripartiranno dietro a quelle francesi”. Il meccanismo del risarcimento per i danni subiti
ROMA, 30 APRILE 2011 – “I contratti sottoscritti tra le imprese italiane ed il governo libico di Gheddafi risultano privi di efficacia a causa della mancanza di una istituzione in grado di farli rispettare riconosciuta in Libia e dalla comunità internazionale. Affermare semplicemente che essi sono sospesi è una sostanziale bugia: le nostre aziende, di fatto, sono oggi fuori dalla Libia e difficilmente vi rientreranno alle condizioni precedenti” dice l’ing. Alfredo Cestari, presidente della Camere di Commercio ItalAfrica Centrale-Unioncamere.
Quali, allora, le future dinamiche? Cosa debbono aspettarsi i tanti imprenditori le cui aziende, con le attività d’improvviso bloccate a causa della guerra, sono finite sull’orlo del fallimento? “Tecnicamente – continua – i contratti potrebbero ritrovare legittimità solo se alla fine delle ostilità e ad esito delle libere elezioni, il futuro governo legittimo di Libia intendesse ereditare dal Governo-Gheddafi contratti e trattati sottoscritti. Ipotesi remota. Comunque vada a finire, al suo esito questa guerra avrà mutato le condizioni interne alla Libia ed i rapporti internazionali: un eventuale Gheddafi al potere non farebbe entrare gli italiani manco da turisti; un governo dei ribelli avrebbe difficoltà ad assecondare le esigenze dell’Italia, Paese verso cui il popolo libico sta riscoprendo il rancore sopito. Situazione delicata anche per le sicure ed ingombranti pressioni a tutela degli interessi delle proprie aziende pubbliche e private dei Governi degli altri Stati belligeranti. Nella corsa alla ricostruzione ed allo sviluppo della Libia l’Italia quindi si accorgerà di aver perso le posizioni acquisite a tutto vantaggio, in particolare, di Francia ed Inghilterra. Questa silente competizione, che esiste da tempo, ha già fruttato molto in termini di ‘preliminari di accordi’ proprio alla Francia. Sotto una perfetta regia, forte di una dinamica collaudata e di una virtuosa intesa tra indirizzi politico-militari ed economico-finanziari, Parigi sta guadagnando già molto terreno, a tutto vantaggio del proprio sistema economico, dalla strategia dei bombardamenti. E’ quindi illusorio dire che a fine guerra si ripartirà da zero od a parità di condizioni. Il rischio è che alle aziende italiane, un tempo regine e protagoniste in Libia, in un prossimo futuro resteranno solo le briciole”.
Per mitigare la beffa che si unirà al già enorme danno, Cestari invita imprenditori danneggiati e Governo ad accordarsi “perché a fine guerra si possa addivenire ad una comune stima delle perdite subite al fine di avviare le procedure risarcitorie a beneficio delle aziende i cui investimenti da attività internazionali in Libia siano stati precedentemente assicurati, presso la Sace, contro il rischio-guerra”.
La Camera di Commercio ItalAfrica Centrale-Unioncamere è Ente senza scopi di lucro
Fondata del 2004 è iscritta al registro delle Camere di Commercio italo-estere del Min. degli Affari Esteri
La Camera di Commercio ItalAfrica Centrale associa oltre 150 tra grandi e PMI nazionali
interessate alla internazionalizzazione delle attività nei Paesi del
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