La conferma dura è arrivata stamattina dalla Corte dei Conti, che presentava il Rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica.
Per rispettare i nuovi vincoli europei sul debito occorrerà un intervento «del 3% all’anno, pari, oggi, a circa 46 miliardi nel caso dell’Italia». Si tratta di «un aggiustamento di dimensioni paragonabili a quello realizzato nella prima parte degli anni Novanta per l’ingresso nella moneta unica».
Fermiamoci un attimo e guardiamo bene questa cifra. Fatte le dovute differenze (da allora c’è stata un po’ di inflazione), si tratta della stessa somma che fu necessario tirar fuori con la famosa “finanziaria” di Giuliano Amato: 90.000 miliardi di lire.
Ma quella fu una tantum, questa si ripeterà identica – salvo peggioramenti in corso d’opera – anno dopo anno, finché il debito pubblico italiano non sarà arrivato a quel 60% del Pil stabilito dagli accordi di Maastricht. Un parametro fin qui mai fatto rispettare (l’unico “obbligatorio” era il rapporto deficit-Pil al 3%), ma che ora – con la “legge di stabilità” elaborata a Bruxelles – diventa una tagliola semi-automatica.
Ultima annotazione: in questo momento il debito pubblico nazionale è al 120%. Ci obbligheranno a dimezzarlo.
La Corte dei Conti sottolinea «l’eredità dei condizionamenti dovuti agli effetti permanenti causati dalla grande recessione nel 2008-2009». La magistratura contabile, nel rapporto 2011 sul coordinamento della finanza pubblica, evidenzia come «si sia verificata una perdita permanente di prodotto, calcolata a fine 2010 in 140 miliardi e prevista a crescere a 160 miliardi nel 2013».
anche qui occorre fermarsi per cair bene: il prodotto interno lordo italiano è attualmente intorno a 1.600 miliardi annui:una perdita di 160 miliardi equivale al 10%. Non una “limatina”, ma un tracollo.
«La fine della recessione economica non comporta il ritorno ad una gestione ordinaria del bilancio pubblico richiedendosi piuttosto sforzi anche maggiori di quelli accettati». Fin qui avevamo scherzato, insomma; ora si dovrà fare sul serio e far piangere davvero la gente. Inviatiamo i lettori a riflettere:la Corte dei Conti non è un organo politico, ma tecnico-giuridico. Una volta che il potere politico – il governo o le istituzioni comunitarie – abbiano defiito il mandato che devono rispettare, e i criteri, alla Corte non resta che “fare i conti” e, soprattutto, controllarli.
Per rispettare i nuovi vincoli europei, soprattutto di riduzione del debito, «gli elevati valori di saldo primario andrebbero conservati nel lungo periodo, rendendo permanente l’aggiustamento sui livelli della spesa, oltre che impraticabile qualsiasi riduzione della pressione fiscale, con la conseguente obbligata rinuncia ad esercitare per questa via una azione di stimolo sull’economia». Fuori del linguaggio tecnico, qui si dice che eventuali “avanzi” andrebbero comunque tutti destinati alla riduzione del debito, senza alcuna possibilità – o tentazione – di tagliare le tasse.
La Corte sottolinea comunque che nonostante «la complessità delle prospettive» non bisogna comunque «sottovalutare l’importanza del risultato che la finanza pubblica a conseguito nel 2010 nella gestione dei conti ai diversi livelli di governo, rendendo evidente che, grazie alle misure di rafforzamento e di progressivo adattamento, gli strumenti di regolazione sono stati muniti di una efficacia non sempre riscontrata nel recente passato». Tremonti, dunque, è effettivamente riuscito a tenere sotto controllo la spesa per la parte che lo riguarda. Ma questi strumenti di coordinamento «appaiono in grado di contribuire anche per il futuro al mantenimento dell’equilibrio dei conti pubblici ed insieme ad una auspicabile accelerazione della crescita».
La Corte dei Conti evidenzia «quanto impervio sia il percorso che la finanza pubblica italiana è chiamata a seguire nei prossimi anni per rispettare i vincoli europei e rendere possibile una crescita economica più sostenuta». «Non è sufficiente che la spesa primaria rimanga costante in rapporto al prodotto, e neanche che rimanga costante in termini reali. È necessario che si riduca in termini reali, rispetto a livello, già compresso, previsto nel Def per il 2014. Non essendo quindi sufficiente limare ulteriormente al margine la spesa pubblica occorre interrogarsi su quelli che possono realisticamente essere i nuovi confini ed i nuovi meccanismi dell’intervento pubblico nell’economia».
Ultima sosta per riflettere e capire: qualsiasi governo futuro che accetterà di rispettare i confini stabiliti dagli accordi europei in vigore non avrà alcuna possibilità di utilizzare strumenti di intervento nell’economia; né per “sostenerla” e indirizzarla verso una “crescita” che dovrebbe restare affidata alle sole “forze di mercato”, né – orrore! – per aleviare le sofferenze della popolazione con misure di welfare.
Sul fronte recupero evasione la Corte dunque «indica le inaccettabili dimensioni della non compliance» e ciò dimostra «che gli spazi da recuperare a tassazione sono ancora molto ampi». Servono comunque «azioni idonee a favorire il consolidamento di comportamenti di massa più corretti». Questo perchè «gli effetti finanziari del contrasto all’evasione fiscale potranno continuare ad essere determinanti nella misura in cui si riuscirà a trovare il necessario equilibrio tra l’azione repressiva e l’induzione alla tax compliance».
La Corte dei Conti rileva come nel recente passato si sia ridotto il ricorso alle entrate una tantum ricorrendo viceversa «all’intensificazione e al potenziamento delle attività di contrasto all’evasione». L’analisi dei risultati conseguiti «conferma l’efficacia degli strumenti utilizzati, anche se interrogativi si pongono sulla loro capacità di assicurare anche per il futuro la tenuta del livello complessivo dell’entrata». Un dubbio che – secondo i magistrati contabili – «vale per i proventi da giochi e i risultati in materia di riscossione per i quali sono da attendersi difficoltà via via maggiori per continuare a realizzare gettiti significativamente crescenti. Per quanto riguarda il gettito da lotta all’evasione «questa componente ha portato circa 63 miliardi, il 58,5% delle maggiori entrate nette complessive stimate dal 2006 al 2013 ma con un crescendo che nelle manovre 2009 e 2010 attribuisce alla lotta all’evasione la quasi totalità delle maggiori entrate previste». La Corte dei Conti ricorda le dimensioni del fenomeno: come stimato dall’Istat l’economia sommersa potrebbe aver raggiunto nel 2008 la quota del 17,5% del Pil ossia 275 miliardi interrompendo la tendenza al ridimensionamento avviata 7 anni prima».
Siete avvertiti. Se non altro…
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